Italian Premiere
Deliver Us from Evil
t.l. Liberaci dal male
다만 악에서 구하소서 (Daman ageseo guhasoseo)
South Korea, 2020, 108’, Korean
Directed by: Hong Won Chan
Script: Hong Won Chan
Photography (color): Hong Kyeong-pyo
Editing: Kim Hyeong-ju
Production Design: Jo Hwa-seong
Music: Mowg
Producers: Kim Won-guk, Kang Kwan-ho, Kim Cheol-yong
Cast: Hwang Jung-min (Kim In-nam), Lee Jung-jae (Ray), Park Jung-min (Yu-i), Choi Hee-seo (Seo Young-joo), Park So-yi (Yoo-min), Park Myung-hoon (Shimida), Kosuke Toyohara (Koraeda)
Date of First Release in Territory: August 5th, 2020
Kim In-nam (Hwang Jung-min, The Spy Gone North) è un ex agente segreto che faceva parte di una squadra per operazioni “sporche” ormai estinta e che attualmente è un sicario su commissione. Nella scena di apertura lo vediamo uccidere brutalmente un boss della yakuza giapponese, in quello che dovrebbe essere il suo ultimo lavoro. Sfortunatamente, però, scopre che la sua ex amante Young-joo è stata assassinata a Bangkok e che la loro figlioletta di dieci anni Yoo-min è stata rapita da un’organizzazione dedita al traffico di bambini. In-nam parte per Bangkok, ma lì scopre che il boss della yakuza che ha ucciso era nippo-coreano e che il fratello del morto, Rei (Lee Jung-jae, Svaha: The Sixth Finger), un malvivente psicotico che ha la tendenza a squartare le sue vittime come maiali, è determinato a trovarlo e a macellarlo.
Scritto e diretto da Hong Won Chan, che ha esordito alla regia con l’interessante horror psicologico Office, Deliver Us from Evil è un thriller d’azione realizzato sfarzosamente e meticolosamente ma emotivamente freddo. La trama e la caratterizzazione sono quanto di più risaputo si possa immaginare, e questa sembrerebbe essere proprio l’intenzione di Hong, che non si preoccupa di esplicitare alcuni dettagli sui personaggi e sul loro passato: ad esempio, non scopriamo mai che lavoro svolgesse esattamente In-nam in ambito governativo e per quale ragione tutti gli agenti fossero stati improvvisamente licenziati. L’atmosfera complessiva del film è cupa, austera e priva di romanticismo, ma c’è qualche tocco di ironico distacco rispetto agli eventi. L’approccio di Hong ricorda allo spettatore lo stile registico impassibile di Kitano Takeshi, anche se privo del suo controllo estetico molto zen.
Come nel suo film precedente, Hong esibisce un occhio eccezionale per il dettaglio e un immaginario visivo che lascia a bocca aperta. La fotografia di Hong Kyeong-pyo (Parasite, The Wailing) è a tratti dolorosamente squisita e brillantemente esemplificativa, mentre a volte suggerisce, attraverso sfumature e tonalità, contenuti emozionali che non vengono trasmessi attraverso i dialoghi. Il production designer Jo Hwa-seong (The Man Standing Next), il trucco e gli effetti speciali firmati CELL e gli effetti visivi curati da Demolition sono tutti al massimo. Le sequenze d’azione supervisionate da Lee Geon-moon fanno uso di alcuni trucchi nel montaggio come i fermo immagine che modificano radicalmente la velocità di un colpo (come in Tokyo Fist di Tsukamoto Shin’ya), ma sono adeguatamente incisive. Vale particolarmente la pena notare la colonna sonora di musica elettronica di ispirazione industrial-noise a cura di Mowg (Unstoppable, Exit).
Visti i caratteri archetipici e (forse deliberatamente) stereotipati dei protagonisti, non sorprende che né Hwang né Lee riescano a rendere i loro personaggi coinvolgenti, empatici o divertenti. In-nam assomiglia a uno di quegli agenti britannici dell’MI6 in pensione che in certi banali thriller angloamericani appaiono improvvisamente in qualche ex colonia britannica, come Hong Kong o l’India, e fanno pasticci nel contesto locale durante la risoluzione di qualche questione familiare personale. Allo stesso modo, Lee Jung-jae è danneggiato dalla sua caratterizzazione alquanto sopra le righe del gangster. Il vincitore a sorpresa sul piano della recitazione è Park Jung-min (Time to Hunt) nel ruolo di un transgender coreano espatriato in Thailandia, in uno stereotipo al limite dell’offensivo ma che almeno offre un contrappunto necessario allo stoicismo lugubre di In-nam e alla psicosi articolata a casaccio di Rei. Park è davvero bravo nella parte di Yu-i, apparentemente inetto ma in fin dei conti resiliente.
Deliver Us from Evil è un film curioso, che si divide in parti uguali tra stereotipi triti e una stilizzazione impeccabile, con specifiche tecniche di prim’ordine ma due personaggi inerti al centro della storia. Sicuramente è un film esteticamente bellissimo e molto ben realizzato, con alcune sequenze d’azione di alto livello che soddisferanno gli appassionati del genere dei film d’azione asiatici nei quali gli strumenti di offesa preferiti sono coltelli e machete.
Hong Won Chan
Hong Won Chan ha studiato cinematografia alla Sangmyung University e alla Korea National University of Arts. Nel 2004 ha realizzato il cortometraggio The End of an Alley in 2004, e ha successivamente intrapreso la carriera di revisore di sceneggiatura, lavorando per film molto importanti come The Chaser (2008), The Scam (2009), The Yellow Sea (2010) e Confession of a Murder (2012). Il suo film d’esordio come regista, Office, è stato presentato nell’ambito delle Séances de Minuit al festival di Cannes del 2015, e ha vinto diversi premi in Corea. La sua opera seconda, Deliver Us From Evil, è stata il campione d’incassi coreano durante la pandemia del 2020.
FILMOGRAFIA
2015 – Office
2020 – Deliver Us from Evil