Letter to an Angel

European Premiere | Out Of Competition | PART 2 - A/B side VIBES. Greatest Hits from ‘80s & ‘90s

 

“In un certo luogo, in un certo tempo”. Con questa didascalia si apre Letter to an Angel di Garin Nugroho, predisponendo una collocazione spaziale e temporale indistinta, quasi fossimo nel territorio dei miti o delle favole. Eppure il racconto che segue, sin dalla prima sequenza che documenta un rituale di sepoltura con spostamento di un’enorme pietra tombale, è fortemente caratterizzato geograficamente – siamo a Sumba, isola dell’Indonesia orientale, tra Bali e Timor, caratterizzata da una cultura animista e dalla presenza di cavalli, domestici e allo stato brado – ma anche temporalmente – giacché nel racconto vediamo immagini di Madonna e Mikhail Gorbachev, descritto come un eroe “con il coraggio di difendere ciò in cui crede”. Su questo fondale, tra quinta imaginifica e documentazione antropologica, Nugroho inscena le sorti di Lewa, un ragazzino indomito, prode cavallerizzo, che rifiuta di riconoscere nel testo scolastico di lingua indonesiana l’immagine della “madre” – della propria madre, apparentemente morta in un incidente stradale (e per questo Lewa si appropria dell’immagine di un poster della cantante Madonna affisso sulla fiancata del relitto dell’autobus su cui la madre viaggiava), ma anche, pensando in termini metaforico-politici, di una madre indonesiana unificante, in un gesto di resistenza culturale e rivendicazione identitaria.

Quando Garin Nugroho realizza Letter to an Angel, infatti, l’Indonesia è ancora sotto la dittatura militare del Generale Suharto (che durerà sino al 1998) e l’industria cinematografica nazionale è letteralmente azzerata, con registi, produttori, attori e maestranze dediti pressoché unicamente alla produzione dei sinetron, le soap opera televisive. Girare un film nella remota isola di Sumba nei primi anni Novanta, lavorando con le popolazioni locali, dando voce alla loro lingua e riprendendo in maniera documentaria le loro pratiche rituali, è un gesto di notevole coraggio artistico e politico, al limite della follia.

Ma al di là del gesto politico, Letter to an Angel, che fece la sua prima al Forum della Berlinale 1994, è un oggetto cinematografico stupefacente, affascinante e inclassificabile.

Perché se da un lato si sostanzia di quel dato etnografico e antropologico di cui si è detto, dall’altro la sceneggiatura scritta da Nugroho con Armantono (collaboratore anche sugli script di Leaf on a Pillow, 1998, e Opera Jawa, 2006) combina suggestioni ispirate da ben tre opere letterarie, i racconti Una carta a Dios del messicano Gregorio Lópes y Fuentes e A Country Boy Quits School del cinese Lao She e il romanzo Lo straniero del francese Albert Camus.

 

Paradossalmente – o no – il risultato è un racconto magmatico, frastornante e pieno di sorprese, dove il piccolo Lewa affida al postino lettere che scrive ad un angelo, riceve in regalo da una modella di passaggio a Sunda per un servizio fotografico una macchina Polaroid e per uno scatto irrispettoso scatena una vera e propria guerra tra villaggi confinanti, ma soprattutto osteggia la tracotanza del boss locale Kuda Liar (cavallo selvaggio), assurdo ammiratore ed emulo di Elvis Presley.

 

Tra personaggi coloriti ed evocativi, tra accensioni di violenza, quella dello spietato Kuda Liar e dello scontro tra villaggi, ma anche quella documentaria, con i sacrifici rituali di animali (in particolare i cavalli in occasione dei funerali), di lirismo figurativo (le danze al tramonto) e addirittura di erotismo (lo stupro di Berlian Merah e l’abbraccio tra Lewa e quest’ultima), senza dimenticare un prefinale da dramma processuale, Letter to an Angel sfugge dai canoni dell’ortodossia della bella scrittura cinematografica, offrendo un’esperienza di cinema singolare e frastornante.

 

A trent’anni dalla sua prima, grazie al restauro e digitalizzazione effettuati nel 2019 dall’Asian Film Archive di Singapore partendo da due copie positive reperite in Indonesia e Giappone, si tratta di un’avventura cinematografica che vale davvero la pena di (ri)scoprire.

Paolo Bertolin
FEFF: 2024
Regia: Garin NUGROHO
Anno: 1994
Durata: 120'
Stato: Indonesia

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