Italian Premiere | In Competition | White Mulberry Award Candidate
Guest star:
KIM Tae-yang, director
PARK Bongjun
Un uomo e una donna si incontrano per caso per la strada. All’inizio è difficile capire il rapporto che li lega, ma attraverso qualche indizio sparso, sia detto che non detto, la sensazione è che i due abbiano una storia. Senza scavare troppo nel loro passato, il film si sposta al capitolo successivo di un trittico, con la donna che incontra un altro uomo.
L’uomo che inizialmente sembrerebbe essere il protagonista non è presente nel secondo capitolo e la sua assenza rimane sullo sfondo, mentre la donna fa un altro percorso con un uomo nuovo. Ci chiediamo allora se non sia lei la protagonista della storia, ma il film gioca con questa definizione e mantiene le distanze da tutti.
Nel frattempo assume un ruolo importante nella vicenda anche la città di Seoul, in particolare il quartiere storico di Jongno, in cui vi sono diversi palazzi e la piazza Gwanghwamun.
Mentre si assiste a un’evoluzione dei personaggi, lo stesso accade per lo sfondo in cui si muovono. Nell’arco dei quattro anni in cui si svolge la storia, il tempo che passa si riflette sul film, sui personaggi, sulle relazioni e persino sulla visione artistica mentre la città stessa è trasformata dalla gentrificazione. Come per afferrare il presente prima che lo sviluppo urbano ne cancelli l’identità, il modo elegante che il film ha di descrivere Seoul sembra essere una lettera d’amore alla città più che una storia romantica tra esseri umani.
La narrazione è guidata dalle conversazioni tra i personaggi e, siccome lo sviluppo drammatico viene evitato di proposito, dobbiamo solo affidarci ai dialoghi.
Ma, paradossalmente, sono gli altri aspetti del film a darci maggiori informazioni: le interpretazioni delicate ma articolate, lo sfondo che si muove e cambia continuamente, la musica. A nasconderci ulteriormente la possibilità di avere un’immagine completa, in senso letterale e figurato, è l’uso del teleobiettivo, che elimina senza alcuna remora ciò che sta attorno ai personaggi lasciandoci vedere il minimo indispensabile. Mettere insieme i pezzi del puzzle diventa un processo interattivo e i modi in cui il film potrebbe essere interpretato sono infiniti. Attraverso il suo stile unico, il regista esordiente Kim Tae-yang ci offre un nuovo genere di film romantico che è lontanissimo da quelli a cui sono abituati gli spettatori coreani. Non ci sono frasi sdolcinate, non ci sono scene provocanti o di sesso, nessuna vendetta e nessuna tresca. Eppure il film in qualche modo ci fa sentire il desiderio e l’amarezza solitamente legati alla rottura di una storia sentimentale.
Anche il modo in cui sono suddivisi i diversi capitoli del film crea ulteriori livelli che riflettono le stratificazioni della stessa città di Seoul. Analizzando la definizione dei tre significati della parola mimang, il film mette in discussione prospettive e possibilità in modo letterario. Il film The Widow (Mimang-in in lingua coreana), che sarà proiettato anch’esso al FEFF quest’anno, fa una comparsa in uno dei capitoli per offrire un’ulteriore definizione di mimang. Forse questa libertà di elaborazione e la ragione che sta dietro all’attuale successo internazionale del film che, dalla sua presentazione in anteprima al Toronto International Film Festival, ha partecipato a innumerevoli festival in varie aree del mondo come l’Europa, il Sud-est asiatico e l’America del Nord.