Italian Premiere | Out Of Competition | Restored Classics | 50/50: Celebrating 50 Years of Korean Film Preservation
Jirisan è una montagna panoramica ma aspra e irregolare, la seconda della Corea del Sud per ampiezza, che si estende su tre province nell’estremità sudorientale della penisola.
Attualmente la montagna è una destinazione molto popolare per gli escursionisti, ma nel corso dei secoli è stata anche un nascondiglio perfetto per chi voleva sfuggire al braccio della legge. Fu questo che accadde quando, a metà degli anni Cinquanta, un gruppetto di partigiani comunisti che combattevano in Corea del Sud si rifiutarono di riconoscere l’armistizio firmato per chiudere la Guerra di Corea. Per quanto sfiniti, affamati e sempre più disillusi, i partigiani si rifiutarono di arrendersi e continuarono a ingaggiare occasionali schermaglie con la polizia e l’esercito sudcoreani.
Sono questi gli “eroi” del film Piagol. Il gruppo si nasconde in una gola chiamata Piagol, facendo incursioni e saccheggi per poter sopravvivere, ed è guidato da uno spietato capitano che si fa chiamare Agari e non si farebbe il benché minimo scrupolo a uccidere i suoi commilitoni qualora lo ritenesse necessario. Cheol-su, più riflessivo, sta cominciando a nutrire dubbi sull’ideologia comunista, mentre Ae-ran, una soldatessa esperta e determinata, rimane ideologicamente convinta, ma inizia a sviluppare dei sentimenti nei confronti di Cheol-su. Intanto, una soldatessa di un altro gruppo arriva ferita a Piagol, dando inizio a una serie di conflitti e desideri che presto sfuggono a ogni controllo.
Piagol fu realizzato nel 1955, a soli due anni di distanza dalla firma dell’armistizio, e gli eventi che vi erano descritti rappresentavano questioni ancora molto attuali. Il regista Lee Kang-cheon dichiarò di volere che il film fosse un’immagine delle contraddizioni intrinseche all’ideologia comunista che avrebbero portato al suo fallimento. Quando dovette far passare il film al vaglio della censura governativa per la distribuzione in sala (a causa dell’argomento trattato il film doveva essere approvato da diverse sezioni del governo, compreso il ministero della difesa), si premurò di spiegare agli ufficiali governativi che il film non celebrava in alcun modo la resistenza dei protagonisti, ma il governo non ne era cosi convinto. “Come spettatore, non prende naturalmente le parti dei protagonisti quando guarda un film?” gli chiesero. “Non è pericoloso distribuire una storia simile quando in Corea del Sud ci sono ancora persone che durante la guerra hanno preso le parti della Corea del Nord?”.
Il dibattito se è come mostrare Piagol finì per diventare decisamente controverso e venne ampiamente coperto dalla stampa nazionale. Alla fine il film arrivò in sala, ma solo dopo che erano stati operati cambiamenti significativi, compreso l’inserimento in sovraimpressione della bandiera sudcoreana nell’ultima immagine del film. Per molti versi, questa pellicola viene ricordata soprattutto per le questioni che sollevò sul modo in cui il cinema locale avrebbe dovuto ritrarre i nordcoreani (i quali, dopotutto, erano stati parte di un’unica nazione fino a 10 anni prima) e i sostenitori dell’ideologia comunista.
La pesante reazione del governo contro questo film servì da avvertimento ai cineasti, e tale avvertimento sarebbe diventato ancor più esplicito negli anni Sessanta quando il regista Lee Man-hee venne arrestato per aver presentato i soldati nordcoreani sotto una luce troppo umana nel suo film Seven Women Prisoners (1965). Per decenni l’idea di realizzare un altro film come Piagol fu qualcosa di impensabile, ed è quindi significativo che, quando finalmente vi fu un allentamento della censura alla fine degli anni Ottanta, uno dei primi film ad avvantaggiarsene fu North Korean Partisan in South Korea (Nambugun), diretto da Chung Ji-young e scritto da Jang Sun-woo, sulle esperienze dei partigiani sul monte Jirisan durante e dopo la guerra. Questi due film quindi aprono e chiudono un’epoca in cui era semplicemente impossibile rappresentare i nordcoreani del nord o i loro sostenitori come personaggi a tutto tondo, imperfetti però umani.