Quando uscì il film di cappa e spada di Chang Cheh The
One-Armed Swordsman (Mantieni l’odio per la tua vendetta),
nel luglio 1967, Hong Kong era scossa da disordini
senza precedenti. Un gran numero di lavoratori, studenti
e cittadini di ogni ceto sociale si riversava sulle strade
per protestare contro l’oppressivo regime colonialista britannico.
La protesta sfociò poi nel terrorismo. Le unità di
polizia erano occupate a sedare i disordini, e solo dopo
cinque mesi venne finalmente ripristinato l’ordine.
In questo periodo di disordini, The One-Armed
Swordsman polverizzò tutti i record d’incasso precedenti
e incoraggiò la Shaw Brothers e altre società cinematografiche
a produrre in massa film wuxia (di cappa e
spada) dello stesso stile.
La popolarità dei film wuxia precedette di sei anni i film di
kung fu. A metà degli anni Sessanta gli spaghetti-western
italiani e i film di samurai giapponesi ebbero un fortissimo
impatto a Hong Kong e nel Sudest asiatico. La Shaw
Brothers iniziò immediatamente a produrre film d’azione
con “caratteristiche cinesi” per accaparrarsi una quota
del mercato. Questi esperimenti erano sceneggiati da
Chang Cheh e diretti e interpretati da neofiti. Il risultato fu
“un nuovo genere di wuxia”, una serie di film di cappa e
spada con azione vigorosa, emozioni forti, estrema violenza
e bagni di sangue.
I primi tentativi riuscirono solo in parte. Ma quando Come
Drink With Me (1966, King Hu) e The One-Armed
Swordsman (1967, Chang Cheh) divennero grandi campioni
d’incasso, la Shaw Brothers fece di tutto per promuovere
“l’era dei film wuxia a colori”.
Nel 1968 The One-Armed Swordsman fu distribuito in
Italia ed ottenne un’accoglienza tiepida. Ricordo di aver
visto per caso la versione italiana del film in un piccolo
cinema di Capri, nel dicembre 1971. Non c’erano molti
turisti a Capri in inverno e la sala era semivuota. In quel
periodo, nel sudest asiatico furoreggiava The Big Boss di
Bruce Lee (Il furore della Cina colpisce ancora, 1971) e
la febbre del kung fu stava per diffondersi in tutto il
mondo. In meno di un anno anche l’Italia venne contagiata
dalla stessa mania e, a metà agosto del 1973, si contavano
nelle sale italiane più di trenta diversi film di arti
marziali.
The One-Armed Swordsman raccontava la storia di un
giovane cavaliere (Wang Yu), il cui rapporto con una condiscepola
(Pan Yingzi) sfocia in un equivoco, in una nevosa
sera d’inverno, quando lei gli taglia il braccio destro.
Da allora, il cavaliere vive da recluso in un villaggio di
pescatori con la sua benefattrice (Lina Chiao) e si allena
assiduamente alla spada usando solo il braccio sinistro.
Quando un implacabile nemico minaccia di distruggere la
sua vecchia scuola di arti marziali e la sua condiscepola
viene rapita, lo spadaccino monco torna per salvare la
vita al maestro e alla sua famiglia, e uccide il nemico con
la sua spada mozzata. Poi se ne va. Vediamo l’eroe perdere
il braccio dopo meno di un terzo del film, ed è un
ardito tocco narrativo. Assistiamo alla sua depressione,
poi alla sua decisione di diventare un eroico spadaccino
monco.
Da un lato si avverte l’influenza dello spaghetti-western, nel quale l’eroe affronta la disgrazia e l’umiliazione ma
alla fine infligge il meritato castigo ai suoi tormentatori.
Dall’altra parte, Chang prende a prestito il romanzo di
arti marziali di Louis Cha nel quale il giovane eroe - il cui
braccio viene tagliato dalla ragazza che lo ama - risponde
al male con il bene. Il prestito di Chang non sembra
fuori luogo.
La vera innovazione del film consiste nella resa cinematografica
delle sequenze d’azione. La fotografia, il montaggio,
la scenografia e la musica sono utilizzate per creare
ritmo e atmosfera. La scena del taglio del braccio di
Wang Yu durante una notte nevosa comunica un senso di
gelida crudeltà. L’eroe si ristabilisce in un villaggio di
pescatori e trova l’amore nella donna che lo ha salvato.
La loro scena d’amore si svolge vicino al fiume. Le scene
di allenamento si svolgono al crepuscolo o all’alba, il che
crea un’atmosfera particolare.
Ciò che va enfatizzato, però, sono le scene di combattimento
ben coreografate e l’insolita foggia delle armi. Il
Demone dal Lungo Braccio e la sua banda combattono
con un’arma che intrappola e blocca le spade d’oro degli
avversari, che vengono poi uccisi a colpi di daga. Questa
arma micidiale non può nulla contro la spada mozzata di
Wang Yu. Il Demone dal Lungo Braccio (Yang Zhiqing)
porta sulla schiena quattro corte lance e un bastone di
metallo, ed è anche abile con la frusta. Ogni arma ha i
suoi punti di vantaggio, ai quali per l’avversario è difficile
resistere.
Nel combattimento finale tra Wang Yu e Yang Zhiqing il
pubblico aspetta con ansia di vedere come farà Wang Yu
a sconfiggere le armi del nemico con la sua corta spada
mozza. La sequenza è molto ben organizzata. Nella
scena della frusta, la macchina da presa a mano segue i
movimenti dei duellanti e la scena è resa ancora più efficace
dagli effetti sonori. L’intero film evoca sensazioni di
tragedia, malinconia e depressione mischiate ad eroismo
e nobile sofferenza. Sono elementi essenziali che possono
spiegare il successo del film al box office.
Dopo The One-Armed Swordsman, Chang ottenne un altro
successo nel medesimo anno con The Assassin/Da Cike,
seguito da The Golden Swallow/Jin Yanzi (1968), e da
The Return of the One-Armed Swordsman/Di Bi Dao Wang
(La sfida degli invincibili campioni, 1969). Questi successi
conferirono status e rispettabilità a Chang e ai film di arti
marziali della nuova scuola. Chang era l’unico leader della
nuova scuola, e ispirò molti imitatori. Alla Shaw Brothers
registi di ogni età vennero costretti a seguirne le orme.
Fu così che, nel 1968, la Shaw realizzò 12 film di arti
marziali su un totale di 29 produzioni. Nel 1969 ci furono
17 film wuxia su 35, nel 1970 16 su 34, nel 1971 24 su
39 e nel 1972 ben 26 su 37. Le arti marziali erano
diventate il genere principale della Shaw Brothers.
A detta dello stesso Chang, fu solo con The Golden
Swallow che egli fissò il proprio stile. A partire da questo
film diventa sempre più evidente che Chang amava concentrarsi
sui nobili sentimenti e sulle aspirazioni del cavaliere
errante, sulla sua vita, sulla sua morte, sulla sua
ribellione giovanile. Questi temi vengono spinti a un
romanticismo estremo. I temi dell’amore tra uomo e
donna e dell’amore morale, sono relegati ai margini;
quelli prominenti sono l’amicizia maschile, la ricerca dell’individualismo
e la rettitudine. I suoi film solitamente finiscono
con una morte violenta e anche quando l’eroe è
colpito mortalmente, egli combatte fino all’ultima goccia di
sangue, continuando a uccidere nemici.
nickelodeon Hong Kong.
Chang usa deliberatamente il ralenti per prolungare le
sensazioni della morte. Questa è l’estetica della violenza
di Chang, che all’epoca sollevò molte critiche negative. Si
difendeva dicendo di voler esprimere la bellezza del
maschilismo: “Uso la danza per esprimere il dolore, l’emozione,
la morte. Il mondo intero è immerso nella violenza,
come può evitarla il cinema? Ovviamente ogni
autore ha il suo stile, ma il mio stile di emozione maschile
e di ribellione è integrato con la violenza, e non c’è niente
di male in questo”. Chang anche puntualizzò nelle sue
memorie: “The Assassin [che include una macabra scena
di morte] è stato realizzato durante i moti del 1967. Non
vivevo all’interno degli studi della Shaw allora. Quando
andavo a lavorare, mi imbattevo nei risultati delle esplosioni
di bombe fatte in casa. Il fervore, la violenza e lo
spirito di ribellione di The Assassin furono chiaramente
influenzati dai disordini del 1967”.
Alcuni critici si sono soffermati sulle caratteristiche yang
gang (maschili) dei suoi film, che sono state considerate
semplice machismo, con tutte le sue implicazioni di audacia,
illimitata dimostrazione di forza, amore per il combattimento
e il martirio. Tuttavia, se guardiamo più attentamente
i primi lavori di Chang, abbondano le descrizioni di
uomini scalognati, cavalieri erranti che vengono trattati
con freddezza, o sono vittime dell’equivoco, e che sono
messi alle strette dall’amore. Questi eroi cercano di sfuggire,
si chiudono, e diventano dei falliti introspettivi.
Rinascono attraverso la guida e l’incoraggiamento di
amici, sia maschi sia femmine, e riguadagnano gradualmente
la fiducia e il rispetto di sé prima di ridiventare dei
macho.
Di lì in poi, ripagano l’amicizia loro data, combattono e
addirittura muoiono per i loro amici. Questo per dire che
gli eroi di Chang Cheh non sono yang gang tutto d’un
colpo. Al contrario, c’è un lungo processo di delicatezza
yin (femminile), nel quale gli eroi sono immersi nell’infelicità,
nella malinconia, nella depressione e in ogni genere
di emozioni complesse. Tali emozioni vengono espresse
in modo alquanto anomalo, che è nuovo e peculiare all’interno
del cinema wuxia.
Chang Cheh non fu l’unico regista della Shaw Brothers ad
occuparsi di arti marziali ma come stile personale è il più
sorprendente e il più coerente. In seguito si fossilizzò in
un cinema sciatto e i suoi standard peggiorarono notevolmente.
Le sue idee però sono rimaste solide. Ha fatto
crescere molti discepoli, tra i quali Wang Yu, Di Long,
David Chiang/Jiang Dawei, Wu Ma, Danny Lee/Li Xiuxian, e
John Woo/Wu Yusen, ciascuno dei quali ha elaborato un
proprio stile personale, continuando la tradizione dei film
d’azione.
A metà degli anni Settanta Lau Kar-leung/Liu Jialiang,
istruttore di arti marziali di Chang e coreografo delle
scene d’azione, divenne regista a sua volta, sfondando
nel mondo del cinema con il kung fu. Negli anni Ottanta i
risultati di Lau superarono quelli di Chang.
Nota: Parte di questo articolo è stata pubblicata nell’antologia
The Shaw Screen, edita dall’Hong Kong Film
Archive, 2003.
Law Kar