IN CINA, IL CINEMA DELL'ALTRA METÀ DEL CIELO

La Cina è in grande movimento. Contrariamente a quanto è avvenuto nel resto del pianeta che si interroga sulla pace e sulla guerra e combatte il pericolo della recessione, per la Cina il 2002 è stato un anno di frenetico sviluppo in tutti i settori. L’“economia socialista di mercato”, che nel 2002 ha fatto raggiungere al Paese un tasso di crescita superiore al 7%, sembra rivolgersi sempre più alle donne, e non solo in quanto consumatrici. Nel settore dell’imprenditoria, della finanza, della cultura, della moda, sempre di più sono le donne a “fare tendenza”. Innumerevoli ricerche, articoli di giornale, inchieste, interviste, si interrogano sui motivi e sulle protagoniste del Rinascimento femminile cinese; a Shanghai recentemente si è svolto anche un convegno - al quale hanno partecipato centinaia di donne, intellettuali e non - su cosa significhi essere donna nel nuovo millennio e su come sia possibile mantenere un’identità femminile vis á vis dello sviluppo economico che sta profondamente cambiando il tessuto sociale del Paese ed i rapporti tra i sessi. Ovviamente il cinema riflette questa situazione sia sul piano narrativo sia su quello degli autori. E quindi in tempi recenti sempre più sono i film che parlano di storie di donne, le affrontano dal punto di vista delle donne, e sono diretti da donne. Nuove voci si sono aggiunte a quelle delle poche registe già conosciute, ed ormai non sono più soltanto - o principalmente - le attrici a rappresentare l’immaginario femminile. Nonostante le donne abbiano partecipato sin dall’inizio allo sviluppo dell’industria cinematografica cinese, tematiche e sensibilità femministe cominciarono ad apparire soltanto negli anni Ottanta, in particolare nelle opere di due registe della cosiddetta Quarta Generazione, Huang Shuqing e Zhang Nuanxin. La prima affrontava nel film Woman, Demon, Human (1987) il tema della identità femminile attraverso la storia di un’attrice dell’Opera di Pechino che recita ruoli maschili (il nuovo film di Huang Shuqin, Hi! Frank, 2002 racconta di un altro e più recente tipo di ambiguità, quello di un’anziana cinese che va a visitare la figlia emigrata negli USA e deve confrontarsi con la propria e con l’altrui identità culturale). Zhang Nuanxin nel film Sacrifice of Youth (1985) utilizzava invece la voce narrante della protagonista per raccontare la storia di una giovane intellettuale mandata in campagna durante la Rivoluzione Culturale. (È inevitabile notare anche in questo caso come siano cambiati i tempi, visto che nel recente Pretty Big Feet di Yang Yazhou, 2002, la giovane intellettuale di turno decide volontariamente di trasferirsi a lavorare in campagna per sfuggire all’abbrutimento spirituale della vita borghese di città). Alle antesignane di un cinema al femminile sono seguite diverse autrici quali Hu Mei (Far From Home, 1978, Army Nurse, 1985, ed il nuovissimo On the Other Side of the Bridge, 2002, la storia vera di una donna austriaca che dagli anni Trenta fino alla morte avvenuta nei giorni scorsi ha vissuto in un remoto villaggio cinese), Li Shao Hong (Bloody Morning, 1990, Family Portrait, 1993, Blush, 1995 ed il recentissimo - non ancora uscito nelle sale - Baby in Love), Peng Xiaolian (tra i suoi film ricordiamo Three Women, 1987, My Classmate and I, 1987, ed il recente Shanghai Women, 2002, uno splendido affresco familiare: la storia di tre generazioni di donne - nonna, madre, figlia - che cercano in modi diversi di affermare la propria dignità ed indipendenza sullo sfondo di una metropoli che sta rapidamente cambiando) e Ning Ying (For Fun,1992, On the Beat, 1995 e I Love Beijing, 2001, film che nonostante siano incentrati su personaggi maschili rivelano una capacità di osservazione e sensibilità tipicamente femminili). A questo gruppo di registe recentemente si sono aggiunte le giovani Li Hong (Tutor, 1999, vincitore del premio del pubblico al primo Far East Film, e Murder in Black and White, 2001), Emily Tang (Conjugation, 2002, realistico ritratto di un gruppo di studenti alle prese con le conseguenze psicologiche e materiali della tragedia di Tiananmen), Ma Xiaoying (Gone Is The One Who Held Me Dearest In The World, 2002), e Xu Jinglei (Me and Dad, 2003, non ancora uscito nelle sale). I film che parlano di donne da una prospettiva femminile lo fanno senza alcun sentimentalismo. Sono principalmente storie drammatiche di confronti difficili e lotte per affermare la dignità collettiva delle donne e l’individualità di ciascuna di esse. In termini di genere, l’unica eccezione in tempi recenti è Pretty Big Feet, che è una commedia ma che, attraverso l’interpretazione di Ni Ping (vincitrice del premio come migliore attrice all’Hundred Flowers Film Awards 2002) - nei panni di un’insegnante in un villaggio della Cina più povera che trova in una giovane intellettuale borghese una sorta di alter ego - acquista un notevole spessore. Il debutto editoriale di Ma Xiaoying, Gone Is The One Who Held Me Dearest In The World, è particolarmente degno di nota in quanto la regista, nonostante sia molto giovane, nel film dimostra già una grande maturità. La storia che il film racconta è molto semplice e complessa allo stesso tempo, il rapporto di una figlia, una scrittrice di mezz’età, con la madre morente. La protagonista, interpretata in modo straordinario da una Siqin Gaowa da Oscar, ci guida con la sua voce fuori campo attraverso il senso di colpa, la frustrazione, l’affetto, il dolore di entrambe le donne consapevoli della fine imminente. Sublimamente aiutata dal personaggio della madre interpretato da Huang Suying, un’anziana attrice che non ha avuto paura di mostrare in questo film una vulnerabilità e spregiudicatezza inusuali in Cina per un’attrice della sua generazione. Il 2002 per il cinema cinese è stato decisamente l’anno dei grandi personaggi ed interpreti femminili. Con l’eccezione di una delle primedonne dell’industria cinematografica, l’attrice Liu Xiaoqing (considerata la matriarca del cinema cinese contemporaneo per interpretazioni di classici quali Hibiscus Town di Xie Jin e molti altri), che è invece finita sulle pagine dei giornali per una condanna al carcere per motivi fiscali (ma il fatto che le autorità giudiziarie abbiano scelto proprio Liu per lanciare un segnale di inflessibilità dimostra quanto grande sia la popolarità dell’attrice). Il film di Huo Jianqi Life Show (2002) - vincitore del 6° Shanghai Film Festival - ruota intorno all’intensa interpretazione dell’attrice Tao Hong (ha vinto il premio come migliore attrice), che nel film è una donna di una bellezza ipnotica ma lacerata da grande insicurezza. L’ambientazione del film nella enorme città di Chongqing, costruita tutta in salita sulle rive del Fiume Azzurro, sembra quasi una metafora della fatica esistenziale della donna. Anche Gong Li ha dato un’altra prova di grande bravura nel recente film di Sun Zhou Zhou Yu’s Train (2002), nel quale ritorna al suo ruolo abituale (cioè precedente a Qiu Jiu, del 1992, ed a Breaking the Silence del 1999) di donna bellissima, sexy ed appassionata, ma con la maturità interpretativa che ha acquisito nel frattempo. Lu Liping, una delle migliori attrici della Cina Popolare, in Shanghai Women ha offerto un ritratto estremamente realistico e sofisticato di una madre moderna che, reduce da due matrimoni falliti, deve fare i conti da una parte con il peso delle tradizioni - rappresentato dall’atteggiamento di condanna della sua anziana madre per il fallimento della sua vita matrimoniale - e dall’altra con il senso di responsabilità nei confronti di sua figlia, per la quale vuole essere un modello di emancipazione femminile. Xu Jinglei ha ampiamente confermato, con l’interpretazione di una giovane nevrotica nel nuovo film di Zhang Yuan, I Love You (2002), il talento già mostrato l’anno precedente in Spring Subway di Zhang Yibai. Abbandonato il carattere contenuto ed introverso della protagonista del film precedente, Xu Jinglei si abbandona questa volta a cambi improvvisi di umore, isteria, ed attacchi di gelosia sfrenata ed incontrollabile. In un film che crea nello spettatore un progressivo senso di claustrofobia, un rapporto d’amore tra due giovani si trasforma in insofferenza, attraverso un crescendo parossistico di violenza mentale e fisica. Xu ha dimostrato una grande maturità espressiva in questo film, che traspare anche dal suo debutto registico, Me and Dad (2002), film non ancora uscito nelle sale. È la storia di un affetto tardivo e tormentato tra un padre e la figlia ritrovata già adolescente, che si trasforma in una complicità e dipendenza affettiva quasi incestuosa. Il film è stato scritto, diretto ed interpretato da Xu Jinglei, che si conferma una vera promessa del cinema d’autore. Merita una menzione anche la bravissima Zhou Xun che, dopo aver interpretato i film Suzhou River di Lou Ye e Hollywood Hong Kong di Fruit Chan, ha continuato nella caratterizzazione di muse irreali e sfuggenti con il personaggio di Huanzi nel film Where Have All The Flowers Gone di Gao Xiao Song (prodotto nel 2000 ma uscito nel 2002), una storia romantica di amori adolescenziali e problemi esistenziali girata con uno stile da videoclip. Nel rapporto a tre che si instaura tra una giovane studentessa e due suoi compagni di scuola, il personaggio femminile è quello che tiene in pugno gli altri due. In generale I film prodotti in Cina negli ultimi anni tendono a rappresentare personaggi maschili deboli, alle prese con crisi d’identità (si pensi per esempio a film quali The Missing Gun di Lu Chuan, del 2001, o il già menzionato I Love Beijing) e personaggi femminili che, sebbene od in virtù dell’ambiguità che esprimono, sono molto più forti. Lo stereotipo della donna vittima e debole non funziona più, i personaggi femminili sono tormentati ma non aspettano che la soluzione ai loro problemi esistenziali arrivi dalle figure maschili. Ed è sintomatico che il remake di una delle pietre miliari del cinema cinese, Springtime in a Small Town di Fei Mu (1948), sia stato girato dal regista Tian Zhuangzhuang proprio recentemente (2002). Nella storia di una donna che sì, vorrebbe che fosse l’amante ritrovato a riscattarla dal grigiore della propria esistenza, ma sollecita attivamente tale liberazione invece di assumere un atteggiamento passivo nei confronti dell’uomo e del proprio destino, è possibile in qualche misura intravedere le contraddizioni che sono ancora attuali nel processo di emancipazione delle donne in Cina e che la cinematografia contemporanea riflette.
Maria Barbieri