I registi giapponesi spesso hanno carriere assai varie, in termini di genere o di mezzo. Scorrete la filmografia di diversi nomi noti e, oltre a film vincitori di premi ai festival, è facile che troviate filmetti porno, pubblicità televisiva per spaghetti giapponesi o videoclip per idoli da tempo dimenticati. Ma molti di loro, per inclinazione, talento o destino, finiscono per essere etichettati come specialisti di un determinato genere, oppure per come autori con uno stile preciso e tematiche ricorrenti.
Pochi, comunque resistono tanto fieramente alle classificazioni quanto Jissoji Akio. Negli anni Settanta era il primo regista della casa di produzione Art Theater Guild, a quel tempo uno dei pochi avamposti del cinema indipendente giapponese, e realizzava film equiparabili a quelli dei colleghi registi della ATG - Oshima Nagisa, Shinoda Masahiro, Terayama Shuji e Kuroki Kazuo - per audacia di sperimentazione e di temi.
Jissoji era anche uno dei creatori più importanti della serie Ultraman, un programma di fantascienza d'azione per ragazzi, su una famiglia di alieni dotati di superpoteri che combattono mostri, interpretato da attori in attillate tute rosso e argento. Lungi dal considerare la serie come un lavoro di bassa lega finalizzato solamente al guadagno, Jissoji lo prendeva sul serio, inserendo le sue preoccupazioni filosofiche nella sceneggiatura. Un po' come se Jean-Luc Godard avesse fatto il regista per un film su Batman.
Ma per quanto a zigzag potesse sembrare ai contemporanei la prima parte della carriera di Jissoji, adesso per le sue escursioni oltre i confini convenzionali tra arte e pop viene guardato come un avatar, anche se persino oggi è difficile trovare qualcuno che gli somigli. Diversi giovani registi giapponesi sarebbero felici di girare un film di supereroi in costume - la serie Ultraman, che quest'anno celebra il suo quarantesimo anniversario, e altre dello stesso genere hanno avuto un impatto duraturo sulle generazioni di ragazzini giapponesi (e di non poche ragazzine). Ma chi, all'interno di questo gruppo di adoratori della cultura trash, saprebbe anche realizzare l'equivalente dell' intransigente arte cinematografica della ATG? La risposta è: più di zero, ma meno di uno. Perfino lo stesso Jissoji non è più un regista ATG.
Nato a Tokyo il 29 marzo 1937, Jissoji è entrato alla facoltà di Letteratura francese della Waseda University, un ateneo privato d'élite, e mentre studiava alla Waseda, ha aderito a un circolo cinematografico, scrivendo saggi sul cinema francese. Laureatosi nel 1959, è stato ingaggiato dai predecessori della Tokyo Broadcasting System, uno dei principali network giapponesi, e ha fatto il suo debutto alla regia televisiva nel 1961. Grande ammiratore della Nouvelle Vague e del cinéma vérité, ha introdotto le loro tecniche nei suoi programmi musicali alla TBS.
Ha iniziato inoltre a girare fiction e nel 1965 è entrato a far parte del settore cinematografico della TBS, dove è stato aiuto regista del maestro degli effetti speciali Tsuburaya Eiji per il film tv in coproduzione franco-giapponese Spies on Parallel Tracks (Spy Heikosen). Con la collaborazione di Tsuburaya, ha poi diretto le popolari serie televisive Ultraman, Ultra Seven e Operation: Mystery (Kaiki Daisakusen).
Nel 1969 Jissoji ha creato la propria società di produzione, la Danso, parola che significa "divario" oppure "cambiamento", implicando una rottura con il passato. Quello stesso anno ha realizzato When Evening Falls (Yoiyame Semareba), un film di 44 minuti da una sceneggiatura di Oshima Nagisa, su quattro studenti che, per noia, accendono il gas in una stanza ermeticamente chiusa e cercano di vedere chi dei quattro resisterà più a lungo prima di morire. La ATG ha distribuito il film nelle sale insieme a Diary of a Shinjuku Thief (Shinjuku Dorobo Nikki, 1969) di Oshima. Subito dopo Jissoji ha lasciato la TBS per diventare un regista cinematografico - uno dei primi a fare il salto dal mondo della televisione. Con la sponsorizzazione della ATG, ha realizzato il suo primo lungometraggio, This Transient Life (Mujo), nel 1970. Tratto da una sceneggiatura di Ishido Toshiro, questo dramma di incesto e inganno ha provocato sdegno, ma è divenuto il più grosso successo di botteghino della ATG e ha vinto anche il Pardo d'Oro al Festival di Locarno.
È la storia di un giovane ribelle in lite col suo ricco padre, il quale vuole che lui prenda le redini degli affari di famiglia. Lui, invece, desidera fare sculture buddhiste, ma inizia una relazione appassionata con sua sorella, che rimane incinta e, con uno stratagemma e il sostegno del fratello, si fa sposare da un corteggiatore. Il protagonista diventa in seguito l'apprendista di uno scultore buddhista e va a letto con la giovane moglie del suo insegnante. Tutte queste macchinazioni conducono, come ci si può immaginare, a un epilogo tragico. Jissoji ha girato This Transient Life senza un minimo di complicità né di disapprovazione, optando invece per un'imparzialità bressoniana, un piacere godardiano nel movimento espressivo della cinepresa, oltre che per quello che potrebbe essere definito un interesse jissojiano negli eccessi erotici.
Jissoji ha continuato a realizzare film per la ATG per tutta la metà degli anni Settanta, con al centro erotismo e spiritualità nelle loro forme tipicamente giapponesi. Ha continuato inoltre a dirigere film per la televisione, estendendo allo stesso tempo la sua attività ai concerti, all'opera e alla rilegatura di libri.
Nel 1979 ha diretto un film della serie Ultraman e nel 1988, dopo circa un decennio di lontananza dal grande schermo, ha realizzato Tokyo: The Last Megalopolis (Teito Monogatari), un film di fantascienza/fantasy retrò, sceneggiato di Hayashi Kaizo da un romanzo di Aramuta Hiroshi. La storia si svolge dai primi anni del XX secolo al terremoto di Tokyo del 1923 e oltre; concerne i piani di un ricco industriale (Katsu Shintaro) di costruire una nuova Tokyo antisismica e il furore di un soldato-demone, Kato Yasunari (Shimada Kyusaku) desideroso di distruggere la città con l'aiuto di Masakado, un guerriero samurai dotato di superpoteri che si è rivoltato nella tomba per secoli. Prima, però, Kato rapisce e ingravida la virginale sorella di un architetto occidentalizzato con il suo seme malvagio.
La vicenda che ne deriva è un miscuglio selvaggiamente inventivo di storia e di mito giapponesi, di misticismo da fumetto e di fantascienza hollywoodiana, comprendente un rifacimento del terremoto di Tokyo con l'ausilio della computer graphics e degli spiritelli animati in stop-motion che invadono la rete metropolitana della nuova Tokyo. Con effetti speciali di Tsuburaya e scenografie create da Kimura Takeo (un collaboratore abituale di Suzuki Seijun), Tokyo: The Last Megalopolis è un tentativo sorprendente di uguagliare la concorrenza hollywoodiana nell'impatto visivo e nel potere narrativo. Il film è diventato il più grosso successo commerciale di Jissoji e ha ispirato anche una serie animata e due sequel dal vero, però non diretti da lui.
In seguito, Jissoji ha diretto altri film e programmi televisivi del filone fantascientifico, tra cui Ultra Q: The Movie - Legend from the Stars (Ultra Q: The Movie - Hoshi no Densetsu, 1990). Ha anche continuato esplorare l'aspetto nascosto dell'erotismo con Torture Me, Please - Henrietta (Ijimete Kudasai, Henrietta), storia della moglie di un gangster la quale, per pagare una montagna di debiti, discende in un inferno sadomaso, e La Valuse (1990), con una storia alla Rashomon su un processo per stupro in cui le versioni della vittima e del presunto stupratore sono radicalmente diverse. L'avvocato difensore indaga sulle affermazioni del suo cliente solo per ritrovarsi lui stesso precipitato in un'atmosfera mefitica di falsità.
Nel 1994 Jissoji ha fatto uscire nelle sale Watcher in the Attic (Edogawa Rampo Monogatari: Yaneura no Sanposha), il suo primo approccio in lungometraggio al mondo di Edogawa Rampo (Hirai Taro). Nato nel 1894, Rampo era un discepolo del suo omofono Edgar Allan Poe e di Arthur Conan Doyle, e rese popolare in Giappone il romanzo giallo con Akechi Kogoro, una versione locale di Sherlock Homes. Rampo creò il proprio mix di erotico e grottesco - chiamato in giapponese eroguro - di cui il racconto Watcher in the Attic è un primo esempio.
L'opera di Rampo ha ispirato decine di film e spettacoli televisivi fin dai tempi del muto, fra cui una versione cinematografica di Watcher in the Attic del 1976 diretta da Tanaka Nobobu. La versione di Jissoji è immersa in un'atmosfera di erotismo e decadenza d'epoca, con una base di umorismo perverso e di sguardo penetrante sulle più basse passioni umane. Come film giallo è indubbiamente antiquato (s'incentra - ombra di Sherlock Holmes! - sulle deduzioni di un investigatore dilettante con un fiuto stupefacente per gli indizi), ma Jissoji sa mantenere la tensione e l'interesse fino all'inevitabile finale a sorpresa.
La storia inizia con gli abitanti del Toeikan, una pensione economica di Tokyo, che bevono sakè e discutono sull'impatto che il sonoro avrà sul cinema. Uno di loro, un giovane languido di nome Goda (Mikami Hiroshi), se ne sta in disparte rispetto agli altri, facendo anelli di fumo e pensando a quanto immensamente noiose siano queste persone. Non hanno un solo pensiero originale tra tutti loro! Meglio morire e farla finita!
Invece che farla finita, Goda trova un nuovo motivo di interesse. Un giorno, mentre sta giocando a travestirsi con una parrucca da donna e rossetto, allenta per sbaglio una tavola dell'armadio, e dopo esservisi arrampicato sopra, scopre un passaggio debolmente illuminato sotto il tetto, che conduce alle altre stanze del Toeikan. Ben presto lo vediamo scorrazzare in giro come un ninja, fare buchi e spostare assi del soffitto per avere una vista migliore. Ciò che vede sono gli atti intimi - sadici, criminali o vagamente folli - che rivelano sui suoi coinquilini molto di più delle varie facciate che essi offrono al mondo.
Con il passare dei giorni, il piacere appassionato che Goda ha provato inizialmente con le sue esplorazioni inizia ad affievolirsi, e lui ha bisogno di stimoli nuovi. Gli viene in mente il dentista Endo (Mutaka Naomasa), un rospo disgustoso che una volta si era vantato con tutti quanti di aver tentato lo shinju (suicidio d'amore) con la giovane moglie di un collega. Mostrando una bottiglia di morfina, aveva detto a Goda e agli altri: "con questo si muore facilmente e senza soffrire". Goda decide di rubare la morfina e dare al dottor Endo un assaggio della sua stessa medicina. Organizza il crimine con un'ingegnosità degna di un "cattivo" di Conan Doyle, ma deve vedersela con un "ricercatore sulla psicologia umana" dal volto scavato, di nome Akechi Kogoro (Shimada Kyusaku), che manifesta un interesse fastidiosamente intenso nei confronti dei suoi coinquilini.
Con la sua atmosfera d'epoca, amorevolmente punteggiata di particolari, e l'atteggiamento di ironico distacco dai comportamenti ingannevoli e corrotti, Watcher in the Attic rasenta la commedia con pretese artistiche più alte, ma Jissoji si rifiuta di cercare le risate facili e il senso di superiorità - preferendo invece mostrare al pubblico il piccolo mondo del film dal punto di vista deviato di Goda.
Tre anni dopo, Jissoji è tornato a Rampo con The D Slope Murder Case (D Zaka no Satsujin Jiken, 1997)." Shimada Kyusaku interpreta nuovamente Akechi, che non abita più al Toeikan, ma sta ancora indagando sui recessi più oscuri della psiche umana. L'anno è il 1927, il luogo è la zona Dangozaka nel centro di Tokyo, dove viveva lo stesso Rampo dopo essere arrivato in città nel 1919 dalla nativa prefettura di Mie.
L'azione parte in un negozio di libri usati molto simile a quello che Rampo stesso gestiva una volta con i due fratelli. Invece che un aspirante scrittore, però, la proprietaria del negozio è una certa Tokiko (Yoshiyuki Yumi), una bellezza matura con una certa propensione per il sesso perverso.
Poi viene trovata morta - strangolata con un laccio dello stesso tipo che usava per il piacere. I sospetti cadono su un impiegato del negozio di nome Saito, che aveva il ruolo dominante nelle loro orge sadomaso. È implicato anche Seiichiro (Sanada Hiroyuki), un falsario travestito che Tokiko aveva assunto per copiare le stampe di belle ragazze legate di un famoso artista sadomaso.
Seiichiro si è buttato nel lavoro, realizzando copie impossibili da distinguere dagli originali. È così sicuro della sua abilità - e geloso degli originali che ha copiato - da distruggere gli originali e consegnare a Tokiko una serie di copie al loro posto. Quest'uomo corrotto ma pieno di talento è anche un assassino?
Akechi si butta subito sul caso, sondando i due sospetti con la sua solita aria affettatamente casuale, ma quasi innaturalmente perspicace. E ben presto stabilisce che il colpevole è.... Ma che importa? Le scene più memorabili del film non sono quelle in cui l'assassino viene smascherato, ma quelle in cui Sanada Hiroyuki interpreta Seiichiro, con una concentrazione, una passione, e un tocco di follia che trasformano quello che poteva essere un altro prodotto di genere in uno stupefacente ritratto dell'artista che è l'essenziale sotto ogni aspetto - eccetto la sua arte.
Nel 2005 Jissoji realizza Ubume (Ubume no natsu), un giallo basato su un romanzo di Kyogoku Natsuhiko considerato assolutamente impossibile da trasformare in un film. Un po' come nei film da Rampo, il protagonista, un venditore di libri usati di nome Kyogokudo (Tsutsumi Shinichi), è un intellettuale logoro con poteri insoliti. Invece di fare il detective dilettante, però, è uno studioso di strani fenomeni, sebbene neghi fermamente l'esistenza del paranormale - almeno all'apparenza. Un giorno un amico stupidotto, Sekiguchi (Nagase Masatoshi) arriva da lui con una strana notizia: una donna di sua conoscenza ha avuto una gravidanza di venti mesi. Come se non bastasse, il marito se n'è andato un anno fa, lasciandola da sola ad affrontare il suo insolito problema. La sorella della donna ha chiesto di ritrovare il marito scomparso a Sekiguchi e a Enozuki (Abe Hiroshi), un eccentrico investigatore privato che ha la capacità di vedere le memorie degli altri. Li aiuta anche la sorella di Enozuki, bella ma mascolina (Tanaka Rena), che intimidisce Sekiguchi, sebbene gli faccia appannare gli occhiali.
La strada che porta alla soluzione dei vari misteri del film è a dir poco lunga e tortuosa. Jissoji cerca di portare fedelmente sullo schermo un romanzo di seicento pagine ricco di dialoghi, il che significa che i protagonisti, soprattutto il venditore di libri di Tsutsumi, devono snocciolare battute e battute di dialogo avendo a malapena il tempo di respirare.
Gli attori si buttano nel loro lavoro con una baldanza che rasenta la comicità, ma Jissoji, come sempre, cerca qualcosa in più delle risate provocate dalle acrobazie verbali. Esplora la difficoltà di conoscere, non solo un altro essere umano (soprattutto il libraio, che è un mistero avvolto in un enigma), ma la natura stessa della realtà. Nel mondo di Ubume poche cose sono davvero come sembrano, compresa l'eroina perennemente incinta.
Nel 2005 Jissoji è tornato a Rampo con Rampo Noir (Rampo Jigoku, 2005), un film a episodi basato sulle storie di Rampo e diretto da due registi alle prime armi, Takeuchi Suguru e Kaneko Atsushi, e da due veterani, Jissoji e l' "imperatore" del film pink Sato Hisayaku. Tutti e quattro gli episodi sono interpretati da Asano Tadanobu, ma non nella stessa parte. Nell'episodio di Jissoji, The Hell of Mirrors (Kagami Jigoku) compare nuovamente Akechi (Asano), stavolta sulle tracce di un assassino con un modus operandi molto insolito: tutte le sue vittime sono donne, e vengono trovate morte con accanto uno specchio in stile giapponese. I sospetti cadono su Toru Ikki (Narimiya Hiroki), un fabbricante di specchi che ama in modo morboso - o meglio empio - il suo lavoro.
Mentre i suoi colleghi più giovani trattano i loro episodi soprattutto come esercizi di stile, Jissoji è più interessato alle psicologie dei due protagonisti e al loro scontrarsi in una lotta che può essere solo mortale. Sono uno studio sui contrasti: l'atteggiamento impassibile dell'Akechi di Asano è quasi imperscrutabile, l'ossessione folle dell'Ikki di Narimiya è chiara come un volto riflesso in uno specchio in piena luce. Ma i due sono anche vincolati - non solo come cacciatore e preda, ma come compagni di viaggio nei regni dell'oscurità, sebbene siano destinati a mete completamente diverse.
Lo stesso Jissoji ha intrapreso una direzione abbastanza diversa da altri che condividono il suo interesse per l'eroguro. Diversamente da Suzuki Seijun, che si congeda allegramente dalla realtà a favore di regni surreali da lui creati, Jissoji mantiene i piedi piantati per terra, anche se non proprio saldamente. Anche in un fantasy come Tokyo: The Last Megalopolis, gli eventi si sviluppano in una Tokyo riconoscibile, in un contesto storico reale.
Diversamente da Miike Takashi, che adora far impazzire il pubblico spostandosi improvvisamente nel grossolano, nel fantastico, o nell'assurdo, Jissoji non ama particolarmente gli scherzi e le burle. Invece sa cogliere le complessità dell'uomo in quel che viene comunemente considerato - anche da chi lo fa e da chi lo consuma - pulp superficiale. Ha il suo lato comico, ma pochi (o nessun) ammiccamento o cenno d'intesa al pubblico.
Può suonare come se Jissoji fosse un Don Chisciotte che si dà da fare per fabbricare pretenziose borsette di seta con un tessuto di nessun pregio. Invece è più acuto - e più scaltro. Realizza film stilisticamente importanti partendo dal materiale grezzo di genere, con profondità che sono lì apposta per essere portate alla luce. Ma non ha intenzione di mettere una pala al pubblico. Forse lo ha fatto quando lavorava per la ATG, ma nei suoi film tratti da Rampo la priorità principale è il divertimento. Le pale - e il lavoro di scavo con cui esse consentono di gettare uno sguardo sui limiti estremi dell'esperienza umana - sono facoltative.