Il persistente declino dell’industria del cinema filippino, un tempo fiorente, non dovrebbe sorprendere nessuno. È da dieci anni che tanto gli operatori del settore quanto gli osservatori parlano della sua morte imminente, ma nessuno ha fatto nulla per impedirla. Non il governo, che continua a imporre tasse molto alte senza dare alcun sostegno in cambio, né i produttori, che continuano a riciclare vecchie formule cinematografiche nella speranza di guadagnarsi l’affetto del pubblico, che invece hanno irrimediabilmente perduto. E, di certo, nemmeno i grandi divi del cinema filippino che, invece di lottare per salvare l’industria alla quale devono così tanto, hanno scelto di fuggire in massa verso un altro mondo fantastico: quello della politica, dove la loro popolarità supera le loro più evidenti lacune.
I numeri raccontano una storia deprimente. Dalla metà degli anni Ottanta fino al 1996 il cinema filippino era una fucina, con oltre 200 film realizzati ogni anno. Nel 1997 la produzione di film iniziò a contrarsi e la tendenza discendente non si è ancora arrestata. Nel 2006 sono stati prodotti solo 56 film e si prevede che quest’anno ne vengano prodotti solo una trentina, la cifra più bassa nella storia del cinema filippino.
Le statistiche dell’European Audiovisual Observatory evidenziano che le Filippine hanno registrato il più grosso crollo nella vendita di biglietti. Nel 1996, l’ultima “buona annata”, sono stati venduti 131 milioni di biglietti, che nel 2003 sono diventati 80 milioni e nel 2004 63 milioni.
Gli osservatori attribuiscono questa situazione agli elevati costi di produzione e al prezzo dei biglietti, oltre ai problemi economici che affliggono il Paese malgrado il governo abbia assicurato che l’economia sta andando bene. L’industria cinematografica filippina è probabilmente la più tassata del mondo: il 33% degli utili lordi va alla tassa municipale, un altro 12% all’imposta sul valore aggiunto e un ulteriore 8% in altre tasse. Questo significa che all’incirca il 52% degli utili lordi di un film vengono erosi dalle tasse, senza che niente di questo ritorni all’industria del cinema. Il governo ha istituito un Comitato di Valutazione dei Film che concede abbattimenti delle imposte ai film giudicati “meritevoli” dai membri del comitato, ma su 150 film esaminati da questo Comitato, solo nove hanno ottenuto riduzioni sulle imposte.
I biglietti costano da 80 a 160 pesos filippini, (64 Php = 1 euro), un prezzo basso se paragonato al livello dei prezzi della regione, ma troppo alto se si considera il potere d’acquisto di un filippino medio. Così, invece di andare al cinema, molte famiglie comprano semplicemente DVD pirata, che costano da 40 a 80 pesos. Si stima che le vendite di video pirata abbiano raggiunto i 4,5 miliardi di pesos nel 2005, mentre le entrate lorde al botteghino nello stesso anno sono state di 2,8 miliardi di pesos.
Il Metro Manila Film Festival (MMFF) era stato organizzato durante il regime del Presidente Marcos come vetrina per il cinema filippino di eccellenza. Per tutta la durata del festival, nessun film straniero doveva essere proiettato nell’area metropolitana di Manila, al fine di incoraggiare il pubblico a favorire i film locali. Le prime edizioni del festival hanno presentato diversi capolavori come as Burlesque Queen (Burlesk Queen) di Celso Ad Castillo, This Is How We Were, How Are You Now? (Ganito Kami Noon, Paano Kayo Ngayon?) di Eddie Romero e Miracle (Himala) di Ishmael Bernal.
Il MMFF è oggi un esercizio annuale di assurdità. L’unica caratteristica che si è conservata nel tempo è l’esclusione dei film stranieri. Non esiste più alcuna aspirazione all’eccellenza; i film sono scelti sulla base del loro potenziale commerciale da un comitato composto dai sindaci della città di Manila e delle municipalità dell’area metropolitana. Il comitato di selezione non ha nemmeno bisogno di vedere un pezzetto del film: le scelte si fanno sulla base del riassunto della sceneggiatura e di una lista di registi e divi che potrebbero (perché non hanno ancora firmato il contratto) far parte della produzione del film. Negli ultimi tre anni, i campioni d’incassi del festival sono stati il film fantasy d’azione My Fairy Wife (OK Ka, Fairy Ko) e i suoi sequel, uno dei quali lo scorso anno non solo è arrivato in cima alla classifica di botteghino, ma è anche stato premiato come miglior film in un panorama molto scarno (praticamente anoressico) di film in concorso.
Gli esperti attribuiscono questa spirale discendente del cinema filippino al dominio dei film hollywoodiani: basta aprire un giornale per vedere la pubblicità di qualche nuovo film di Hollywood che sbandiera incassi di 100 milioni di pesos nella prima settimana di programmazione, mentre nella pagina successiva ci si vanta degli incassi di qualche film locale, che ammontavano a 3 milioni di pesos il primo giorno di uscita.
Certo, non aiuta il fatto che per ogni film filippino in uscita nelle sale di Manila, ce ne siano dieci che arrivano da Hollywood, e tutti con grossi divi e grossi budget a disposizione per il lancio pubblicitario. Ma attribuire tutta la colpa al cinema hollywoodiano sarebbe come incolpare cinquant’anni di dominio coloniale americano per tutto quello che non funziona nelle Filippine. A un certo punto sarà il caso che ognuno si assuma le proprie responsabilità.
La questione è semplice: i cineasti hanno perso il contatto con il pubblico. C’è una sorta di “sconnessione” tra quel che i produttori credono che il pubblico voglia e quel che il pubblico realmente vuole.
Il film horror di Chito Roño Sukob, noto anche come The Wedding Curse, ha incassato oltre 100 milioni di pesos nella prima settimana di programmazione e i produttori, incoraggiati da questa pioggia d’oro al box office, hanno cercato approfittare della “formula dell’ horror asiatico” con risultati disastrosi. I risultati di botteghino di The Blossoming Of Maximo Oliveros (Ang Pagdadalaga Ni Maximo Oliveros), diretto da Auraeus Solito, sembrava dovessero risvegliare l’interesse generale nei confronti dei film indipendenti girati in digitale. Invece, quando film in digitale successivi come Bigtime e la produzione filippino-americana a basso budget Cavite non hanno avuto risultati altrettanto brillanti, i gestori hanno semplicemente interrotto le proiezioni di tali film. Il successo di The Bet Collector (Kubrador) di Jeffrey Jeturian e dei film di Lav Diaz (l’ultimo era Heremias) ai festival internazionali, non ha coinciso con l’entusiasmo del pubblico nazionale.
Respinti al botteghino, i divi del cinema si sono allora rivolti alle liste elettorali. Gli attori rappresentano la categoria più rappresentata in Senato: su 24 seggi alla Camera Alta, tre sono occupati da divi dei film d’azione e due dai mariti di superstar del cinema drammatico. In un’intervista, il presidente dell’Accademia del Cinema delle Filippine, Leo Martinez, ha esortato i suoi colleghi attori a non candidarsi alle elezioni quest’anno, e ha suggerito che dovrebbero prima guardare alla miriade di problemi che affligge l’industria del cinema e, solo dopo avervi rimesso un po’ di ordine, possono aspirare a cariche pubbliche. Gli attori però non ascoltano, o forse non riescono semplicemente a sentirlo per via dell’acclamazione delle folle.