Il 2007 è stato un anno in cui pressoché tutti nell’industria cinematografica della Malaysia hanno avuto qualche cosa di cui rallegrarsi. Al contempo, continua a perpetrarsi una netta spaccatura nella realtà cinematografica del paese: da un lato, l’industria del cinema commerciale, girato esclusivamente in lingua malese, e rivolto unicamente al pubblico interno, dall’altro, la costellazione degli indipendenti, che girano in digitale e prevalentemente in cinese, e che da alcuni anni a questa parte hanno conquistato un vivo interesse presso il circuito dei festival internazionali. Una netta divisione che riflette le tensioni sotterranee più ampie che attraversano la composita società della Malaysia.
Sul piano della situazione industriale, le statistiche diffuse dal FINAS (l’organo governativo per il sostegno e la promozione del cinema nazionale) dicono che il 2007 è stato un anno d’indubbia crescita. Il numero totale di spettatori nelle sale della Malaysia è aumentato a 33,6 milioni contro i 27,9 del 2007 (un incremento superiore al 20%, nel 2004 il numero totale di spettatori ammontava a soli 16,7 milioni). Gli incassi sono conseguentemente lievitati da 234,98 milioni di ringgit (all’incirca 73,670,000 dollari USA) nel 2006 a 289,31 (circa 90,700,000 dollari). Una crescita innegabilmente connessa ad un ulteriore sviluppo nel paese dei multiplex: dalle 68 sale del 2006 si è passati a 76, con una crescita degli schermi da 287 a 353 e dei posti a sedere disponibili da 66,822 a 78,496.
La crescita quantitativa di pubblico e incassi pare aver beneficiato però più la produzione hollywoodiana che quella locale. Le pellicole in lingua inglese hanno raccolto, infatti, quasi il 70% degli incassi complessivi, quando nel 2006 controllavano circa il 60% del mercato malaysiano. Le pellicole in lingua malese (i dati del FINAS sono significativamente inventariati secondo l’appartenenza linguistica) hanno registrato un lieve incremento negli incassi complessivi, ma la percentuale di mercato è scesa a meno del 10,4%, contro l’oltre 12% del 2005 e 2006 e le percentuali sopra il 20% di 2003 e 2004. Per il resto, le pellicole in lingue cinesi sono crollate da quasi il 17% degli incassi nel 2006 a meno del 10% nel 2007 (segnale forse della disaffezione del pubblico malaysiano verso la produzione di Hong Kong), mentre quelle in tamil si sono mantenute su una quota poco inferiore al 5%.
Nonostante la contrazione di pubblico e incassi registrata dalla produzione nazionale, alcuni segnali positivi lasciano ben sperare e hanno dato conforto all’industria. Il numero totale di film malaysiani usciti in sala nel 2007 è stato eguale a quello del 2006 (ventotto, di cui ventuno titoli in lingua malese più sette film digitali, di cui sei in lingue cinesi e uno in tamil) e per il 2008 si prevede addirittura un incremento quantitativo. Inoltre, il film in lingua malese di maggior successo del 2007, l’horror Jangan Pandang Belakang (“Non guardarti indietro”) del prolifico Ahmad Idham, incassando quasi sei milioni di ringgit, ha registrato il più grande successo per una pellicola nazionale dal 2001. Un risultato che, assieme agli oltre cinque milioni di ringgit d’incasso di Cicak Man (“L’uomo geco”, commedia fantastica interpretata dal popolarissimo comico Saiful Apek) nel 2006, fa credere all’industria che il pubblico malese ami ancora vedere film locali. Si sono certo registrati alcuni flop fragorosi (segnaliamo Diva, tentativo fallimentare d’importare in Malaysia i moduli del cinema di Bollywood e soprattutto il kolossal storico 1957: Hati Malaya di Shuhaimi Baba, produzione ad ampia sovvenzione governativa prodotta per le celebrazioni del cinquantenario dell’indipendenza del paese che, costata tre milioni di ringgit ne ha incassati poco più di 300,000), ma i titoli il cui incasso ha superato i costi non sono stati pochi. Tra gli altri titoli redditizi del 2007 si segnalano la fortunata commedia horror di Mamat Khalid Zombi Kampung Pisang, due commedie con Saiful Apek, Otai e Nana Tanjung 2, l’action automobilistico Impak Maksima di Ahmad Idham e Mukhsin di Yasmin Ahmad, che con quasi due milioni di ringgit d’incasso ha ottenuto un risultato epocale per una pellicola indipendente dalle qualità artistiche riconosciute internazionalmente.
Nonostante il successo di pubblico e i premi vinti a Berlino e altri festival internazionali, il film di Yasmin Ahmad è stato però pressoché ignorato dalle nomination al Festival Filem Malaysia, tenutosi in luglio a Penang. I premi ufficiali dell’industria malaysiana hanno invece coronato il decoroso Cinta di Kabir Bhatia, sorta di Love Actually ri-ambientato a Kuala Lumpur e uscito nel 2006, ma la rosa delle nomination come miglior film includeva pure titoli d’assai questionabile riuscita quali Tentang Bulan di Ahmad Idham, The Red Kebaya di Oliver Knott e Waris Jari Hantu di Shuhaimi Baba. Un altro titolo indipendente, Chermin di Zarina Abdullah (presentato al Far East Film Festival 2007), nonostante un numero ingente di nomination, s’è dovuto accontentare di un premio speciale per il miglior esordio. Risultati che confermano l’atteggiamento “protezionistico” dell’industria mainstream malese.
Il che conduce a qualche considerazione sulla situazione degl’indipendenti, in particolare dei molti cineasti che girano in digitale e in lingue altre dal malese e che mancano di supporto e riconoscimento in patria. Per ottenere sostegni governativi alla produzione, elargiti dal FINAS, e gli sgravi fiscali accordati ai film di produzione nazionale, un film in Malaysia deve essere, infatti, girato prevalentemente in lingua malese (bahasa Malaysia). Una politica di protezionismo linguistico della maggioranza che contrasta con la realtà multienica di un paese con quasi un 25% della popolazione appartenente a etnia e lingue cinesi e circa un 7% di indiani, prevalentemente tamil. I film dei cineasti della cosiddetta new wave digitale malaysiana, quindi, oltre a non poter contare su fondi statali per il finanziamento, ai fini fiscali sono trattati come i film di Hollywood, nonostante in tutto il paese possano contare su un circuito di sole quattro sale attrezzate per le proiezioni digitali (tre a Kuala Lumpur e una a Penang).
In termini di riconoscimenti ai festival internazionali, il 2007 è stato un anno memorabile per questi cineasti “stranieri in patria”. Dopo aver vinto il New Currents Award al Festival di Pusan 2006, Love Conquers All di Tan Chui Mui ad inizio 2007 ha pure vinto il Tiger Award di Rotterdam. A febbraio, al festival di Berlino, Mukhsin di Yasmin Ahmad ha conquistato il premio speciale del concorso Generations, mentre Apa Khabar Orang Kampung? di Amir Muhammad veniva presentato con successo al Forum (il film è stato poi bandito dalla censura di Kuala Lumpur, in quanto incentrato su un soggetto tabù in Malaysia, ossia la storia della presenza comunista nel paese). Before We Fall in Love Again di James Lee a luglio ha ricevuto il premio come miglior film del Sud Est asiatico a Bangkok, mentre Mukhsin riceveva lo stesso riconoscimento a Manila in agosto. In ottobre, poi, l’opera prima di Liew Seng Tat, Flower in the Pocket, sempre prodotta dalla Da Huang (la casa di produzione di Tan Chui Mui, Amir Muhammad e James Lee) ha vinto, di nuovo, il New Currents Award di Pusan, aprendo per Liew un impressionante cursus honorum: Flower in the Pocket ha difatti poi vinto pure il Tiger Award di Rotterdam 2008 e il Regard d’Or di Friburgo 2008, mentre In What City Does It Live? il nuovo script di Liew, sempre a Rotterdam, riceveva il Prince Claus Fund Film Grant, come miglior progetto in via di sviluppo.
Messo a parte Mukhsin (girato comunque in malese), questi film rimangono in Malaysia patrimonio di una ristretta cerchia di happy few, con incassi, nei migliori dei casi, intorno ai 10,000 ringgit. Del resto, rimane aperta la questione dell’offerta e della conseguente “educazione alla visione” del pubblico in Malaysia: se i distributori malaysiani si rifiutano d’acquistare The Queen di Stephen Frears perché troppo difficile per il pubblico locale e se il velleitario primo Kuala Lumpur International Film Festival, tenutosi lo scorso novembre, nonostante il motto “Celebrating cultural diversity”, include nel suo programma titoli come Spider-Man 3 o Transformers, come ci si può aspettare che il pubblico di Kuala Lumpur risponda in massa agli esigenti film della Tan o di Lee?
Paolo Bertolin