Il decennio oscuro. I registi coreani negli anni settanta.

Quando iniziai a esplorare la storia del cinema coreano, vi scoprii un settore totalmente inesplorato. Nelle scarse fonti che all’epoca fui in grado di reperire, gli anni Cinquanta venivano descritti come un decennio di improvvisa rinascita del cinema commerciale dopo la distruzione causata dalla Guerra di Corea; tale rinascita era dovuta al successo di melodrammi di elegante fattura come Madame Freedom (1956, diretto da Han Hyeong-mo) e i primi film di Shin Sang-ok. Gli anni Sessanta furono un’epoca aurea in cui si produsse ogni genere di film, da capolavori dark come The Housemaid (1960) di Kim Ki-young e Obaltan/Aimless Bullet (1961) di Yu Hyun-mok a epopee storiche, commedie familiari e i film di genere di registi come Lee Man-hee. Negli anni Ottanta, un lento ammorbidimento della censura e alcune riforme per la regolamentazione del settore aiutarono l’esordio di una nuova generazione di cineasti socialmente impegnati come Park Kwang-su e Jang Sun-woo. E gli anni Novanta, con l’ingresso dei più importanti conglomerati finanziari coreani nell’industria cinematografica, segnarono l’inizio di una trasformazione che avrebbe condotto al cinema coreano di oggi, commercialmente esuberante e rivolto a un pubblico giovanile.

Contrariamente alla descrizione dettagliata dei periodi summenzionati, agli anni Settanta spesso si riservava solo un breve riassunto. Negli anni Settanta la vendita di biglietti crollò, e la televisione si sostituì al cinema come principale mezzo di intrattenimento per le famiglie. La censura raggiunse i massimi livelli del periodo postbellico e per diverse società cinematografiche la produzione di film locali era considerata solo un’esigenza dettata dal governo. Il cinema coreano piombò in un profondo baratro, dal quale impiegò quasi trent’anni per riemergere.

La prima volta che scrissi di storia del cinema coreano - un breve saggio postato sul web nel 1999 - dedicai anch’io poco spazio agli anni Settanta. Ma col passare degli anni, dopo aver visto un numero maggiore di film e aver acquisito una maggior comprensione della storia del cinema in Corea, cominciai a sentirmi colpevole di negligenza. Il paradosso degli anni Settanta è che, sebbene sia vero che la qualità media dei film coreani raggiunse in quell’epoca i livelli più bassi, le migliori pellicole di quel periodo fanno mostra di un’originalità e una forza pari a quelle di tutte le altre epoche. Malgrado dovessero lavorare con budget limitati, attrezzature scadenti e tempi di produzione stringatissimi, negli anni Settanta i cineasti coreani furono in grado di realizzare qualcosa di notevole.

Questa retrospettiva di dieci film non vuole rappresentare l’intera cinematografia del “decennio più buio”. Negli anni Settanta emersero diverse tendenze tematiche e di genere e ognuna di esse varrebbe forse una retrospettiva. Negli ultimi anni alcuni festival, tra i quali il Puchon International Fantastic Film Festival, hanno messo in luce i disinvolti film d’azione e i “western della Manciuria” che hanno influenzato alcuni registi coreani contemporanei come Kim Jee-woon e Ryoo Seung-wan e che, pur con strutture spesso scadenti e trame poco coerenti, possiedono un’energia e un’imprevedibilità che li fanno amare dal pubblico contemporaneo. Altre tendenze commerciali degli anni Settanta comprendono una serie di commedie giovanili lanciate dal successo di Yalkae, a Joker in High School (1976) di Seok Rae-myeong, film di guerra anticomunisti come Testimony (1973) di Im Kwon-taek, epopee storiche caldeggiate dal governo come The War Diary of Admiral Lee Soon-shin (1977), e soprattutto la tendenza degli “hostess film”, melodrammi interpretati da donne di ceto sociale basso o prostitute che in qualche modo dovevano impersonare le ferite di un’epoca turbolenta e difficile.

Anche se in alcuni film della presente rassegna si può percepire l’eco di queste tendenze generali, essa è incentrata su un certo tipo di regista: cineasti creativi e altamente individualisti, mossi dalla necessità di esplorare temi significativi e spingere il cinema coreano verso direzioni nuove. Le ambizioni di tali registi erano particolarmente destinate a scontrarsi con il sistema della censura governativa e, più in generale, con la struttura normativa dell’industria cinematografica, e non solo per il fatto che molte idee e questioni che essi desideravano sollevare erano destinate a essere tagliate dalla censura in sala montaggio. Dopo la messa al bando delle produzioni indipendenti e la concentrazione del settore in pochi grandi gruppi, l’industria cinematografica coreana sembrava una grande fabbrica destinata a produrre un particolare tipo di film; i registi con ambizioni più ampie, che volevano creare opere originali e di qualità duratura, erano costretti a trovare un modo per aggirare il sistema.

I cineasti su cui si concentra la retrospettiva provenivano da esperienze molto diverse tra loro e hanno utilizzato strategie differenti per superare gli ostacoli collocati sul loro cammino. Im Kwon-taek si era affermato negli anni Sessanta come solido regista di film di genere, ma nel decennio successivo riuscì a indirizzarsi verso uno stile filmico più riflessivo, anche accettando a volte di girare pellicole commissionate dal governo che altri cineasti cercavano di evitare. Kim Ki-young, benché sia ora ritenuto uno dei maestri di quel periodo, all’epoca era molto meno apprezzato e incontrò sempre maggiori difficoltà con produttori e rappresentanti della censura nel corso del decennio. Kim Soo-yong continuò a essere richiesto durante tutto il decennio per la sua capacità di realizzare film di alta qualità con tempi di lavorazione molto stretti e questo gli permise, in alcune occasioni, di girare i film modernisti e sperimentali che lo interessavano di più. Yu Hyun-mok era considerato un maestro ma non aveva mai legato con il grande pubblico e negli anni Settanta si orientò spesso su film  anticomunisti per mantenersi in attività. Infine, diversi giovani registi come Ha Kil-chong - rientrato in Corea nel 1970 dopo aver studiato alla scuola di cinema dell’Università della California (UCLA) - e Kim Ho-seon cercarono attivamente di ridare impulso alla cultura cinematografica coreana e di introdurre nuovi stili cinematografici, pur incontrando diverse resistenze.
 
È certo che, se questi cineasti si fossero trovati in un contesto più favorevole negli anni Settanta, avrebbero realizzato film molto diversi; eppure, il loro genio traspare anche nelle opere che essi riuscirono a girare. In modo spesso indiretto, queste opere esprimono un sentimento di resistenza nei confronti dell’autoritarismo e dell’oppressione sociale tipici della società coreana degli anni Settanta. La frustrazione nei confronti della situazione contingente spesso si estende anche all’estetica filmica, attraverso immagini bizzarramente espressioniste o approcci narrativi inaspettati. La retrospettiva è un omaggio a ciò che questi ambiziosi registi furono in grado di realizzare nelle circostanze più sfavorevoli, ed è anche un’opportunità per raccontare la storia delle loro battaglie.

Mettere insieme una rassegna sul cinema coreano degli anni Settanta non è compito facile, se consideriamo il fatto che diverse pellicole dell’epoca sono danneggiate e che molte delle società che hanno prodotto questi film hanno chiuso i battenti ormai da diverso tempo, complicando le questioni relative al copyright. In alcuni casi siamo anche stati obbligati a rivedere le nostre scelte iniziali. Ci auguriamo perciò che il pubblico sia comprensivo se le pellicole proiettate a volte non sono in ottime condizioni. Malgrado ciò, siamo certi della qualità dei film che abbiamo recuperato e non vediamo l’ora che questa opportunità getti un po’ di luce su uno dei periodi più bui e tormentati del cinema coreano.
Darcy Paquet