Dopo un decennio di continua espansione, per la prima volta nel 2014 il mercato cinematografico della Malesia ha conosciuto una flessione nel numero di biglietti venduti. Dagli oltre 61 milioni del 2013, si è scesi nel 2014 a 60.66 milioni. Si tratta comunque di una cifra rimarchevole, se si pensa che nel 2006 il totale non raggiungeva i 28 milioni di ingressi e in termini percentuali, la flessione è inferiore al -0,60%. Considerando poi che il prezzo medio dei biglietti – per via anche del crescente numero di film in 3D – ha conosciuto un incremento medio quasi del 50%, l’incasso complessivo del mercato locale ha verificato un’espansione non disprezzabile, raggiungendo i 747.15 milioni di ringgit (ca. 188 milioni di euro o 202 milioni di dollari) contro i 692.17 milioni (ca. 174 milioni di euro o 187 o milioni di dollari) del 2013, ovvero una crescita percentuale pari quasi all’8%.
Eppure l’aria che tira nell’industria è tutt’altro che piacevole. Perché segnali nefasti che da anni incombevano sulla produzione locale hanno preso pieno corpo nell’anno passato. Nel 2014, il numero di film malaysiani (in lingua malese e in lingue cinesi) usciti in sala ha superato le 80 unità (erano meno di 40 fino al 2010), ma gli incassi complessivi sono scesi dagli 85.34 milioni di ringgit (circa 21.5 milioni di euro o 23 milioni di dollari) del 2013 ai 78.61 (circa milioni di euro o 21 milioni di dollari) milioni dello scorso anno, con un declino percentuale prossimo all’8%. Sebbene il budget medio delle produzioni locali sia sceso da 1.95 milioni di ringgit (ca. 490,000 euro o 527,000 dollari) a 1.25 milioni (ca. 314,000 euro o 338,000 dollari), anche l’incasso medio per titolo è sceso da circa 1.20 milioni di ringgit a meno di un milione di ringgit per film. In termini percentuali, il calo degli incassi medi pare commisurato, se non favorevole rispetto al calo dei costi di produzione, giacché per i primi si registra una decrescita intorno al 22%, mentre i secondi sono scesi del 35% ca. Purtroppo, però, c’è un ulteriore fattore che va tenuto presente nel valutare questi dati. Il 2014 è stato infatti l’anno di The Journey, il film locale campione d’incassi di tutti i tempi (presentato in prima europea al Far East Film Festival 2014). Se si sottraggono dall’incasso complessivo dei film nazionali gli oltre 17 milioni di ringgit raggruzzolati da The Journey, la quota da spartire tra tutti gli altri titoli scende a circa 61.40 milioni di ringgit, per un incasso medio intorno ai 740,000 ringgit e un calo percentuale per titolo prossimo al 40%.
Si tratta di dati di per sé già preoccupanti, ma allorché si scorporano i dati in base alla lingua di produzione, la situazione assume coloriture ancor più interessanti. Tra i titoli usciti nel 2014, 23 hanno superato la soglia “simbolica” del milione di ringgit d’incasso. Di questi, 16 sono film in lingua malese e 7 in lingue cinesi (quattro in mandarino, tre in cantonese). Solo cinque di questi 23 titoli, però, hanno raggiunto la soglia più confortevole dei due milioni di ringgit e di questi 3 sono in lingue cinesi (The Journey, Ah Beng the Movie e Huat Ah! Huat Ah! Huat!) e 2 in malese (Balistik e Abang Long Fadil). Se si pensa poi che i film in lingue cinesi usciti nel 2014 sono stati in totale 11, si può arrivare ad una conclusione lapalissiana: il pubblico locale ha drasticamente snobbato le produzioni in lingua malese, che hanno registrato una devastante emorragia di biglietti venduti e di incassi.
Un’altra tendenza su cui vale la pena porre l’attenzione è la distribuzione nell’arco dell’annata dei suddetti successi di botteghino, più o meno relativi. Nessuno dei film che hanno superato la soglia dei due milioni di ringgit è uscito nella seconda metà dell’anno. Dei film nazionali usciti da luglio in poi dieci hanno, invece, superato la soglia del milione; tra questi, quello che ha incassato di più (oltre 1.8 milioni di ringgit) è Yu Lan Shen Gong, un film in cantonese. Da notare che solo due film in lingue cinesi sono usciti nella seconda metà dell’anno: due horror distribuiti a luglio in concomitanza con la festività cinese nota come Hungry Ghosts Festival.
Se da un lato, quindi, sono venuti al pettine i nodi che affliggono la produzione in lingua malese (opere raffazzonate che riciclano all’infinito idee trite e sovente volgari), sin qui salvata dalla finestra di programmazione obbligata nei cinema nazionali (in passato, prima della sproporzionata crescita delle produzioni locali, era di due settimane) e dall’immediato passaggio post-programmazione in sala sulla pay-per-view della TV via cavo del gruppo Astro, dall’altro, le fortunate produzioni in lingue cinesi sono sin qui limitate ad uscite squisitamente “stagionali”, in congiunzione con il Capodanno Lunare e con la suddetta festività dei “fantasmi affamati”. Il pressoché unico tentativo pionieristico di uscire da questi schemi l’ha offerto lo scorso anno l’horror In the Dark: il film ha sì superato il milione d’incassi, ma c’è da chiedersi se non sarebbe andato ancor meglio se fosse uscito a luglio anziché a fine marzo.
In termini di consenso critico, a parte The Journey, i film che hanno fatto parlare di sé sono giusto una manciata. Da un lato, si possono menzionare il succitato In the Dark di Yeo Joon Han, che però molti hanno visto come un compromesso commerciale per il regista dell’acclamato hit festivaliero Sell Out!, e Love in Cappadocia (Manisnya Cinta di Cappadocia) di Bernard Chauly, che è comunque parso meno ispirato del precedente Istanbul Aku Datang!; dall’altro due film che non hanno conquistato ampi favori al botteghino locale, ma che perlomeno hanno riscosso consensi nei festival internazionali: la sapida commedia dai toni metaforici Lelaki Harapan Dunya di Liew Seng Tat e il dramma fantastico Terbaik Dari Langit di Nik Amir Mustapha. Aggiungendo che il primo film malaysiano invitato in concorso al Festival di Tokyo, River of Exploding Durians di Edmund Yeo, probabilmente non verrà mai distribuito nelle sale locali, si può ben capire che si tratta di monocoli nella terra dei ciechi. Ma visto che nella sfera politica la Malesia sta conoscendo una preoccupante svolta islamista, si può ben comprendere che le fatue sorti dell’industria cinematografica locale non siano al momento una priorità nell’agenda pubblica del paese...
Paolo Bertolin