Quando la Motion Picture Producers Association of Japan (Eiren), comunica le cifre annuali dell’industria del cinema giapponese, alla fine di gennaio, l’attenzione dei media si concentra sulle ultime tendenze del botteghino. Ma ciò che si è mantenuto costante, a volte anche per decenni, è altrettanto straordinario.
Una costante è, ad esempio, il modo in cui l’industria cinematografica locale riesce a dominare i suoi antagonisti, principalmente quelli di Hollywood.
Nel 2015, i film giapponesi hanno rivendicato una quota di mercato del 55,4%, ottava vittoria consecutiva per la squadra locale, e la nona dell’ultimo decennio.
Sono diverse le ragioni a cui è dovuto il declino dei film hollywoodiani in Giappone, a cominciare da una carenza di serie blockbuster che garantiscano l’afflusso in sala dei fan. L’ultima volta che i film stranieri hanno conquistato la maggior parte delle quote di mercato è stata nel 2007, anno in cui i nuovi episodi delle serie de Pirati dei Caraibi, Harry Potter e Spider-Man hanno guidato le classifiche annuali al box office. Peccato che queste serie siano finite (Harry Potter) o si siano interrotte, e quelle che le hanno sostituite non sono state all’altezza.
Un’altra delle ragioni è la mancanza di interesse del pubblico giapponese nei confronti dei film di supereroi e delle commedie hollywoodiane. Avengers: Age of Ultron, un film sui fumetti della Marvel che ha incassato 455 milioni di dollari negli Stati Uniti e quasi 1,4 miliardi di dollari nel resto del mondo, in Giappone nel 2015 ha realizzato proventi per 28,5 milioni di dollari, cifra corposa ma non proprio spettacolare, e si è piazzato in cima al mucchio dei film del cosiddetto genere amekomi (“American Comics”, fumetti americani).
Intanto, solo due commedie hollywoodiane – Ted 2 e Notte al museo – Il segreto del faraone – sono riuscite a piazzarsi tra i ventidue film stranieri che hanno incassato un miliardo di yen (circa 8,8 milioni di dollari) e oltre nel 2015. La prima doveva gran parte della sua popolarità alla tenerezza suscitata dallo sboccato orsetto che dà il titolo al film.
Un’altra costante è la schiacciante predominanza della Toho sui suoi concorrenti giapponesi al botteghino.
I film sfornati da questa potente casa di produzione, nonché distributore ed esercente, riempiono regolarmente la Top Ten annuale del botteghino giapponese. Nel 2015, otto dei dieci campioni d’incasso nazionali appartenevano al listino della Toho, come pure ventinove dei trentotto film che avevano incassato un miliardo di yen e oltre.
Le proporzioni da colosso raggiunte dalla Toho sono dovute soprattutto a un fattore che è risultato fondamentale per l’ascesa dei film giapponesi dall’inizio del nuovo millennio: i cosiddetti “comitati di produzione” – vale a dire consorzi di società multimediali creati per realizzare e promuovere film – si sono specializzati nell’individuare e attrarre il pubblico giovanile di riferimento che, in passato, sceglieva i film hollywoodiani per default.
Il partner preferito per la distribuzione e la proiezione, per questi comitati produttivi, è sempre stata la Toho, che gestisce la più grande catena giapponese di sale cinematografiche nelle posizioni urbane ed extraurbane più strategiche. In altre parole, più cresce il peso del comitato produttivo al box office, più cresce la Toho.
Ovviamente, i multisala della Toho proiettano anche film di Hollywood ma, come indica la statua a grandezza naturale di Godzilla che campeggia sul tetto della sede della Toho Shinjuku a Kabukicho, il quartiere dell’intrattenimento di Tokyo, la società è anche fortemente impegnata a spingere i propri prodotti – a cominciare dal suo iconico mostro sputafuoco.
Il prodotto è cambiato dai tempi della recessione degli anni Ottanta e inizio anni Novanta, quando l’intera industria del cinema giapponese sembrava sprofondare sempre di più verso l’oblio.
I film commerciali giapponesi, un tempo generalmente visti come intrattenimento trash per ragazzini e adolescenti o come tristi storie in costume per le persone anziane o di mezza età, sono ora principalmente episodi di franchise in multipiattaforma che prendono il via da romanzi bestseller, manga o videogiochi destinati a un pubblico piuttosto ampio.
Magari non un pubblico diviso in quattro settori (maschile/femminile/giovane/non tanto giovane) sui quali Hollywood solitamente sceglie il target dei suoi film, ma qualcosa di abbastanza simile.
Di solito, già nel momento in cui viene dato il via al film, si può già contare su una solida base di fan entusiasti e, con questo supporto, il comitato produttivo può investire in effetti speciali sbalorditivi o altri costosi valori produttivi con ragionevoli speranze di recuperare i costi.
Le eccezioni sono solitamente rappresentate da film di registi celebri come Mitani Koki o Kitano Takeshi, che fondamentalmente sono un marchio di per sé: attraverso il nome del regista e il cast all-stars, il film riceve già una copertura mediatica importante. Ma, tendenzialmente, le franchise portano guadagni più consistenti e per periodi più prolungati, rendendo difficile ai cineasti indipendenti – compresi quelli che hanno al loro attivo una bella sfilza di riconoscimenti ai festival – l’ingresso nel fortunato circuito dei film commerciali. Ormai sulla vetta non c’è più molto spazio.
Miike Takashi ha fatto il passo da re del cult a re del box office ormai da oltre una decina d’anni e, senza mai guardarsi indietro, ha infilato un successo dopo l’altro. Tuttavia, la sua ascesa come potenza del cinema commerciale non ha assolutamente intaccato la sua popolarità ai festival. Cannes richiede ancora Yakuza Apocalypse, un frenetico mix di generi che, senza il nome di Miike, verrebbe probabilmente presentato nel circuito dei festival del cinema fantastico e non al più importante evento cinematografico al mondo.
Ma il suo melodramma The Lion Standing in the Wind, del 2015, pur avendo incassato in patria la cospicua cifra di 10 milioni di dollari, è stato bocciato dai selezionatori dei festival internazionali.
Un ingresso più recente nei ranghi dei registi commerciali lo ha fatto Sono Sion che, con Shinjuku Swan, distribuito dalla Sony Pictures Entertainment Japan nel 2015, ha incassato 12 milioni di dollari ed è stato presentato ai festival di Torino, di Montreal e altri ancora.
Il regista sta attualmente lavorando a un sequel del film, ispirato a un fumetto besteller di Wakui Ken sulle vicende di un disoccupato che finisce per diventare un reclutatore di donne per l’industria del sesso di Shinjuku, il più grande quartiere della vita notturna di Tokyo.
Il prossimo film di Sono in uscita in Giappone sarà Whispering Star, un film tra fantasy e fantascienza interpretato da Kagurazaka Megumi, moglie e musa del regista, nei panni di una ragazza cyborg che fa consegne intergalattiche. Il film, che è stato presentato per la prima volta al Toronto Film Festival dello scorso anno, ha un affascinante sapore retrò in tutti i suoi aspetti, a partire dalla nettissima fotografia in bianco e nero fino alla valvola termoionica e altra tecnologia del Ventesimo secolo installata all’interno della navicella spaziale della protagonista che ha l’aspetto di una casa giapponese vecchio stile. Whispering Star è anche, nel contempo, estremamente minimalista e questo lo rende più un’opera d’arte che uno spettacolo di intrattenimento popolare.
Hiroki Ryuichi è un altro cineasta che fa la spola tra cinema commerciale e cinema indipendente. Il suo dramma adolescenziale romantico Strobe Edge ha incassato nel 2015 la bella cifra di 20 milioni di dollari grazie al massiccio afflusso in sala dei giovani appassionati del manga di Sakisaka Io da cui il film è stato tratto.
Un altro film di Hiroki, Kabukicho Love Hotel, è invece stato accolto più favorevolmente sul circuito festivaliero.
La storia è un dramma corale su varie coppie che si recano nell’albergo a ore che dà il titolo alla pellicola e sull’impassibile manager dell’hotel (Sometani Shota). Il film, che è stato presentato in Giappone nel gennaio del 2015 è diventato un successo del cinema indipendente e la calorosa accoglienza ricevuta a Toronto, Udine e in altri festival internazionali è stata replicata anche in patria, anche se i media giapponesi si sono concentrati soprattutto su una delle protagoniste, la famosa cantante della pop band AKB48 e anche attrice, Maeda Atsuko. Hiroki lavora spesso con giovani attrici in ascesa, ispirando inevitabilmente delle interpretazioni determinanti per la loro carriera.
Una delle ultime protette di Hiroki è Arimura Kasumi, la protagonista del suo film Natsumi’s Firefly, in cui è una fotografa alle prime armi che, durante una gita in montagna, incontra una strana famiglia che nasconde oscuri segreti. La sua svolta come attrice era avvenuta con Flying Colours di Doi Nobuhiro, nel quale interpreta una liceale con risultati inferiori alle aspettative che, ispirata da un anticonformista insegnante di doposcuola, decide di affrontare il test di ammissione a un’università d’élite. Questa storia di sforzo accademico “dalle stalle alle stelle”, ispirata a una storia vera, è stata un successo a sorpresa del 2015 e ha incassato 25 milioni di dollari.
In termini di peso al botteghino, però, Miike, Sono, Hiroki, Doi e praticamente qualunque altro regista di film giapponesi dal vero non sono assolutamente in grado di competere con l’animazione.
Nel 2015, dei venti film nazionali campioni d’incasso, otto erano pellicole di animazione, compreso il primo in classifica, Yo-Kai Watch the Movie: The Secret Is Created, Nyan!, che si è aggiudicato 69 milioni di dollari. Il film, una storia di animazione per giovanissimi tratta da un famoso gioco di ruolo creato per il Nintendo 3DS, è ora parte di una franchise che comprende giochi, manga, cartoni animati per la televisione e due film di animazione.
Al secondo posto è arrivato The Boy and The Beast, un fantasy di Hosoda Mamoru su un orfano che dal quartiere di Shibuya della Tokyo contemporanea viene trasportato in un mondo parallelo popolato da “bestie” per metà umane e per metà animali, fra le quali c’è anche un guerriero simile a un orso che fa del ragazzo il suo discepolo.
Il film, che è un misto tra una stravagante commedia sull’amicizia e un serio dramma di formazione , ha incassato 52 milioni di dollari e ha fatto inneggiare a Hosoda come all’erede del maestro dell’animazione Miyazaki Hayao, ora ritiratosi – i cui film regolarmente spazzavano via, superandone ampiamente gli incassi, i concorrenti hollywoodiani.
Ci sono tutte le premesse affinché le costanti di cui sopra, a cominciare dal dominio della Toho al box office, perdurino anche nel corso di quest’anno. Anche se Hosoda non uscirà con un nuovo film nel 2016, ci saranno altri due animatori in rapida ascesa e collegati a Miyazachi che invece lo faranno.
Uno di questi è l’animatore premio Oscar olandese Michaël Dudok de Wit, che sta girando e farà uscire a settembre The Red Turtle, il suo primo lungometraggio di animazione prodotto da un consorzio francese insieme alla Studio Ghibli, che è stata la casa creativa di Miyazaki per ben trent’anni.
Il secondo è Shinkai Makoto, spesso etichettato come un “nuovo Miyazaki” per un potenziale creativo e un’attenzione al dettaglio visuale che ricordano quelli del maestro, ma che ha uno stile esuberante e un tema favorito, quello degli amori giovanili, che sono indiscutibilmente suoi.
La Toho distribuirà la sua ultima fatica, Your Name?, a metà luglio, una collocazione importante durante le vacanze scolastiche, che per diverso tempo la casa di produzione aveva riservato ai film di Miyazaki. La storia è quella di un’adolescente di campagna e un ragazzo di città che si ritrovano misteriosamente l’uno nel corpo dell’altro.
È possibile che questi e altre nuove pellicole di animazione riescano a fare incassi simili a quelli di Miyazaki, compreso quello di La città incantata, il suo fantasy di formazione che detiene il record di campione d’incasso giapponese di sempre, con 30 miliardi di yen (circa 271 milioni di dollari) dal 2001?
Le possibilità sono ridotte, ma persino per lo stesso Miyazaki sono stati necessari diversi tentativi prima di arrivare in vetta al box office nel 1989 con Kiki – Consegne a domicilio.
Fra i film dal vero che quest’anno potrebbero diventare blockbuster c’è Terra Formars di Miike, una pellicola d’azione di fantascienza tratta da un manga di successo su un gruppo di giapponesi mandati su Marte a combattere contro degli scarafaggi giganti.
Il film sarà distribuito dalla Warner Bros. Japan il prossimo 29 aprile, durante le vacanze della Festa di Primavera.
Un altro grosso film la cui uscita è prevista nello stesso periodo è I Am Hero di Sato Shinsuke, un’epopea catastrofica su un virus misterioso che infetta il Giappone e che fa diventare chi ne è colpito estremamente forte e aggressivo – una specie di zombie sotto steroidi. Tratto da un fumetto di successo di Hanazawa Kengo, il film uscirà in sala il 23 aprile, sempre distribuito dalla Toho.
Sul mercato internazionale, il film nipponico più atteso per quest’anno è Godzilla Resurgence, un reboot della famosa serie del mostro della Toho dopo dodici anni di pausa.
Higuchi Shinji (regista dei due film Attack on Titan) e Anno Hideaki (della serie di animazione Evangelion) dirigono a quattro mani su sceneggiatura di Anno, con Higuchi che si occupa degli effetti speciali. Godzilla Resurgence sarà il ventinovesimo film della serie che prese avvio con l’originale del 1954, e sarà anche il primo a non utilizzare le tecniche degli attori in costume sviluppate dal maestro di tokusatsu (effetti speciali) Tsuburaya Eiji. Invece, pare che Higuchi e la sua squadra stiano filmando un costume senza un attore che lo indossi, sullo sfondo di uno schermo verde.
La Toho farà uscire il film nelle sale giapponesi il 29 luglio prossimo.
Film commerciali ad alto budget come questi si prendono quasi tutto l’ossigeno dei media locali, lasciando ben poco ai molti film, sia di fiction sia documentari, che rientrano nella categoria degli indipendenti. Fanno eccezione i film invitati ai tre principali festival del mondo, Cannes, Venezia e Berlino, e quelli che hanno avuto una nomination agli Oscar.
Un cineasta che occupa una posizione sia nell’ambito del cinema commerciale che di quello indipendente è Kore’eda Hirokazu, i cui drammi familiari si sono ritrovati sia in concorso a Cannes che nella classifica dei dieci film nazionali più visti. Il suo ultimo film, After the Storm (Umi Yorimo Mada Fukaku), narra la vicenda di una famiglia lacerata dal divorzio, in cui l’ex marito (Abe Hiroshi) e l’ex moglie (Maki Yoko) si ritrovano insieme al figlio undicenne nell’appartamento dell’anziana madre di lui (Kiki Kirin) e attendono la tempesta che dà il titolo al film. Il distributore Gaga farà uscire il film il 21 maggio, al culmine del fermento di Cannes.
Per la maggior parte dei registi indipendenti, comunque, non ci sono né complimenti da parte dei critici stranieri né tantomeno code davanti alle biglietterie dei cinema. Questa è stata la sorte anche del navigato Take Masaharu fino al film 100 Yen Love, un crudo dramma sulla boxe che vedeva Ando Sakura nel ruolo di una trentaduenne buona a nulla che cerca di dare una svolta alla propria miserabile esistenza diventando una pugile professionista.
La pellicola, che ha avuto larga visibilità fuori dal Giappone ed è stata presentata anche a Udine, al FEFF dello scorso anno, alla presenza di Take e Ando, è stata in seguito nominata agli Oscar come miglior film straniero. Non ce l’ha fatta ad entrare nella cinquina, ma in patria ha ricevuto diversi riconoscimenti, comprese le nomination della Japan Academy per il miglior film, la miglior regia (Take) e la migliore attrice protagonista (Ando).
Ad ogni modo, per un solo film come 100 Yen Love, ci sono molti film indipendenti degni di nota (e anche molti non proprio degni di nota) che difficilmente lasciano un segno sia a livello nazionale che internazionale. La black comedy di Uchida Eiji Lowlife Love (Gesu no Ai) racconta la storia di un cineasta che ha realizzato un film di questo genere e che anni dopo cerca disperatamente di girarne un altro.
Interpretato dal versatile caratterista Shibukawa Kiyohiko, il regista protagonista del film è il lowlife (balordo) del titolo, che gestisce una scuola di recitazione apparentemente solo per molestare sessualmente le sue studentesse, ma che ha anche una sincera (o, qualora non doveste sentirvi caritatevoli, perversa) devozione nei confronti del cinema, anche se per sopravvivere gira film porno.
Nonostante tutto il fango gettato sul mondo del cinema indipendente da questa storia che, afferma Uchida, si ispira a storie di vita vissuta, Lowlife Love si conclude con una debole nota di speranza. Se lo squattrinato, ma mai domo protagonista può continuare a insistere, perché non può farlo anche l’intera industria cinematografica giapponese?