Mifune Toshiro è stato il primo attore giapponese (o addirittura asiatico) a diventare una star internazionale del cinema d’azione. Nato nel 1920, divenne uno dei pochi giapponesi noti agli amanti del cinema stranieri – un altro era il regista che lo rese famoso, Kurosawa Akira. Ma, mentre i film che Mifune fece con Kurosawa negli anni Cinquanta e Sessanta definirono la sua immagine per molti – l’indomito e impetuoso guerriero di I sette samurai (Shichinin no Samurai) o l’astuto e trasandato ronin (samurai senza padrone) di La sfida del samurai (Yojimbo) – egli lavorò a lungo con altri registi, sia in patria che all’estero. I risultati, come la criticatissima commedia di Steven Spielberg del 1979 sulla seconda guerra mondiale 1941 – Allarme a Hollywood, oppure la miniserie Shogun del 1980, molto apprezzata seppur culturalmente stonata, non costituiranno le sue prove più convincenti, ma hanno introdotto il suo nome ancor più profondamente nella coscienza popolare occidentale. Quando morì nel 1997, all’età di settantasette anni, aveva interpretato quasi 170 film. Così, quando Mifune: The Last Samurai di Steven Okazaki è stato presentato in Giappone al Kyoto International Film and Art Festival lo scorso ottobre, la mia prima domanda è stata come mai questo tipo di lungometraggio documentario, parlato in inglese, ci avesse messo così tanto a essere realizzato. Risposta in breve: i numerosi titolari dei diritti coinvolti, comprese alcune società cinematografiche giapponesi notoriamente poco propense alla cooperazione, sono stati l’ostacolo più grande per qualunque potenziale documentarista di Mifune. Ma il consumato produttore Nakazawa Toshiaki, che ha realizzato il film vincitore agli Oscar 2008 Departures, ha proposto un documentario su Mifune a uno di quei titolari di diritti, la Mifune Productions, come una propaggine di una biografia di Mifune alla quale stava lavorando all’epoca. Fondata dallo stesso Mifune e ora diretta da suo figlio Shiro insieme al nipote Rikiya, la Mifune Productions ha dato la sua benedizione al libro, che è stato pubblicato nel 2014, e anche al documentario. “Fortunatamente il libro è stato un grandissimo successo, così [Nakazawa] ha iniziato a mettere in piedi un comitato di produzione”, ha spiegato Rikiya al festival di Kyoto. “È così che il progetto è iniziato”. Avendo sentito parlare del progetto da un altro produttore, Okazaki si è proposto come regista. Visti i numerosi premi ricevuti da questo cineasta residente negli Stati Uniti, tra cui un Oscar per il documentario del 1991 Days of Waiting e un Emmy per il documentario del 2007 White Light/Black Rain per la HBO, non c’è voluto molto per convincere i produttori. “Ero preoccupato per le autorizzazioni necessarie alla realizzazione del film”, dichiara Okazaki a The Japan Times. “Nessuno aveva mai fatto un documentario ambizioso su Mifune o Kurosawa. Ma ce l’abbiamo fatta. Abbiamo usato tutto il materiale che siamo riusciti a trovare”. In aggiunta alle clip e ai fotogrammi provenienti dai film di Mifune, Okazaki e il suo staff hanno intervistato non solo ex membri del Kurosawa-gumi (“unità di produzione Kurosawa”), come lo storico supervisore alla sceneggiatura Nogami Teruyo, ma anche il regista Martin Scorsese. Questi, parlando nel film del ruolo di Mifune in Rashomon, che segnò nel 1950 la svolta internazionale della sua carriera, lo paragona a “un animale in gabbia”. Spielberg elogia l’interpretazione di Mifune in 1941 – Allarme a Hollywood dichiarando: “Aveva un tale coraggio che si sarebbe perfino fatto esplodere sullo schermo”. Nato e cresciuto come nippoamericano sansei (di terza generazione) a Venice, California, Okazaki ammirava Mifune da diverso tempo. “Sono cresciuto con i film di Mifune, in particolare con I sette samurai e con la ‘trilogia dei samurai’”, dichiara. “Da ragazzo mi fece una forte impressione vedere un asiatico con una tale dignità e in grado di prendere chiunque a calci nel sedere. Era diverso da chiunque altro”. Ma i sedici film che Mifune fece con Kurosawa – il fulcro del documentario – sono stati realizzati più di mezzo secolo fa. L’ultimo, Barbarossa (Akahige), uscì nel 1965. Okazaki si preoccupava che gli altri attori e collaboratori sopravvissuti potessero non aver voglia di rilasciare interviste. “Ma erano tutti così genki (vivaci), così felici di parlare di Mifune e dei bei vecchi tempi”, dice. “Le prime persone che ho incontrato sono stati Uni Kanzo, il coreografo dei duelli alla spada, e Kagawa Kyoko. Uni era così eccitato che si alzò con un balzo e ci mostrò lo stile di combattimento alla spada di Mifune. Kagawa è stata così meravigliosa e cortese, era la diva dei miei film preferiti, come I cattivi dormono in pace. ‘Accidenti’, pensavo, ‘credo che ce la possiamo fare’”. Il film, che è stato presentato in prima mondiale alla Mostra di Venezia 2016, non è esattamente un’agiografia – si racconta di Mifune pesante bevitore, del suo cattivo carattere e del suo stile di vita stravagante – ma Okazaki afferma anche che la sua ricerca non ha cambiato la sua visione essenziale del soggetto. “Mifune era esattamente quello che sembrava”, spiega. “Maestoso, coscienzioso, buffo e potenzialmente instabile. La sua infanzia in Manciuria e il fatto di aver visto giovani uomini andare incontro alla morte durante la seconda guerra mondiale lo hanno chiaramente fatto diventare la persona che era. Non ho trovato nulla che contraddicesse la sua immagine pubblica. Proprio no”. Rikiya, che è stato vicino a suo nonno negli ultimi dieci anni della sua vita (“Quando ero alle elementari lui viveva alla porta accanto e io andavo direttamente da lui quando uscivo da scuola”), lo ricorda come un uomo “dalla disposizione mentale internazionale”. “Però era fiero di essere giapponese”, aggiunge. “Voleva diffondere la cultura giapponese oltreoceano”. Mifune: The Last Samurai potrebbe essere descritto come un contributo postumo a quella missione. La Strand Releasing sta distribuendo il film nei festival e nei cinema statunitensi, a cominciare dal San Diego Asian Film Festival l’11 novembre 2016. Inoltre, Mifune ha avuto la sua stella sulla Hollywood Walk of Fame in una cerimonia celebrata il 14 novembre 2016. Una distribuzione giapponese è in programma per il 2017, ma non sono state decise né le date né le sale. Okazaki dichiara che il suo scopo, in Mifune come negli altri documentari, non è tanto quello di istruire quanto di “rendere umano il soggetto e raccontare una buona storia”. “Ma spero che le persone che amano Mifune e Kurosawa lo trovino piacevole e ne traggano qualcosa”, dice. “Questi sono gli uomini che hanno influenzato Spielberg, Scorsese e George Lucas, e che continuano ad avere una grossa influenza sui film che vediamo oggi. Gli spettatori più giovani dovrebbero conoscere il loro lavoro”. Ma quel pubblico, lamenta Okazaki, non conosce Kurosawa e Mifune, e non conosce nemmeno molti altri grandi del cinema del Ventesimo Secolo. “Adorerebbero I sette samurai se solo lo conoscessero. Ma in questo caso non ho alcun potere”, dichiara. “C’è così tanto grande cinema da vedere che non si trova su Netflix”.
The Japan Times
16 novembre 2016
Mark Schilling