Giocando con i generi: i film di Ryoo Seung-wan

Ryoo Seung-wan, nato nel 1973, è di poco più giovane del gruppo di cineasti che ha inaugurato quello che ora identifichiamo come New Korean Cinema alla fine degli anni Novanta e nei primi anni di questo secolo, tra i quali Hong Sang-soo, Lee Chang-dong, Park Chan-wook, Bong Joon-ho e Kim Jee-woon. Nato nella città di Asan, nella provincia di Chungcheong, Ryoo ha iniziato la sua carriera nel cinema lavorando come assistente alla regia per altri cineasti, fra cui Park Chan-wook, e alla fine aveva messo da parte uno stock di spezzoni di pellicola in 16mm, avanzati da un progetto dello studio, sufficiente a consentirgli di scrivere, dirigere e interpretare un film indipendente realizzato con un budget ridottissimo (meno di 50.000 US$ di spese totali) intitolato Die Bad (2000). Il film, che vede fra gli interpreti anche Ryoo Seung-beom, fratello del regista, nel ruolo di un giovane delinquente, ha una insolita struttura narrativa antologica (in parte resa necessaria dalla mancanza di budget) e alla sua uscita in sala ha impressionato diversi critici e spettatori, perché ricordava alcuni capolavori crudi e potenti del New American Cinema come Mean Streets di Martin Scorsese e Tuta blu di Paul Schrader. Nella lista dei migliori film dell’anno 2000 stilata da critici e giornalisti per la prestigiosa rivista Cine 21, Die Bad si trovava al quarto posto, mentre i voti dei lettori lo collocavano al terzo posto, malgrado inizialmente il film fosse stato proiettato in un solo cinema.

Sin da questo promettente debutto, Ryoo ha coerentemente esibito una sorprendente volontà e capacità di impegnarsi creativamente con generi cinematografici esistenti modificandoli e superandone i vetusti cliché e affrontando i desideri e le preoccupazioni reali della popolazione sudcoreana. Le sbalorditive innovazioni portate dal regista ai vari generi filmici coreani comprendono: l’offerta alle famose attrici Jeon Do-yeon (vincitrice anni dopo del premio come miglior attrice al Festival di Cannes per la sconvolgente interpretazione in Secret Sunshine [2007]) e Lee Hye-young dei ruoli principali di No Blood No Tears (2002), da molti considerato come un ardito esperimento nel genere dei caper movie, notoriamente declinati (fino ad allora) al maschile; la fusione dei film d’azione di arti marziali in stile hongkonghese con i blockbuster di supereroi in stile hollywoodiano, incentrati principalmente sugli effetti visivi, per creare una forma ibrida in Arahan (2004); il rimaneggiamento delle caratteristiche classiche del genere noir all’interno di un dramma sulla boxe in The Crying Fist (2005); la costruzione di uno straziante thriller d’azione urbana alla Walter Hill con City of Violence (2006), che è anche una feroce critica della gentrificazione e dell’ipertrofizzazione che hanno sopraffatto le città di provincia sudcoreane. In tutti questi film Ryoo ha costruito uno stile cinematografico vernacolare che fonde stili espressivi tipicamente coreani con le influenze del New American Cinema degli anni Settanta, vale a dire dei film di Martin Scorsese, Paul Schrader, Walter Hill e Brian De Palma.

Con il pregevole successo al botteghino (7,17 milioni di biglietti venduti) del suo Berlin File, un thriller di spionaggio teso e splendidamente realizzato del 2013, le abilità registiche di Ryoo – fino a quel momento apprezzate principalmente da cinefili e critici – hanno finalmente trovato ampio consenso da parte del pubblico. Film politicamente maturo e complesso, Berlin File prende i soliti cliché di un thriller di spionaggio da Guerra Fredda in cui gli agenti nordcoreani e sudcoreani giocano al gatto e al topo, e li aggiorna astutamente per portare in primo piano i dilemmi morali e la disperazione dei protagonisti nordcoreani, intrappolati in un sistema spietato che li tratta come fossero nient’altro che pedine su una scacchiera.

Da qui Ryoo è passato al suo nuovo film, Veteran (2015), un thriller poliziesco d’azione indirizzato al grande pubblico, che presenta uno sbirro cocciuto (interpretato dal grande Hwang Jung-min) contro il malvagio erede di una potente cosca (straordinariamente impersonato dal giovane divo Yoo Ah-in) che si crede al di sopra della legge. In questo thriller decisamente appassionante, Ryoo mescola tutto l’acume cinematografico di un supersuccesso della Marvel Studio con una stimolante coscienza sociale che punta il dito contro i super ricchi, i media corrotti e il sistema legale che viene così facilmente lubrificato da mazzette e favoritismi. Il film è riuscito a cogliere lo Zeitgeist della classe media sudcoreana e, in particolare, il massiccio risentimento che si sta diffondendo sempre più nei confronti del comportamento corrotto e irrazionale del governo e delle principali multinazionali, e che nel 2017 è sfociato nel corteo di protesta di milioni di persone con in mano delle candele accese e ha portato al successivo impeachment della presidente Park Geun-hye. Veteran è diventato il quarto campione d’incasso di tutta la storia del cinema coreano, con 13,4 milioni di biglietti venduti (a titolo di esempio, il film straniero campione d’incassi di sempre in Corea fino al 2017 è Avatar, che si colloca al quinto posto dopo Veteran, con 13,3 milioni di biglietti).

Purtroppo, l’ultimo film di Ryoo, The Battleship Island (2017), anche se tratto da una scrupolosa ricerca storica sui minatori coreani che lavorarono durante la Guerra del Pacifico ad Hashima, un’isola completamente brulla al largo delle coste del Giappone sudoccidentale, ha avuto sui media recensioni controverse, alcune delle quali completamente infondate. La pellicola mescola ambiziosamente diversi generi filmici ed è nel contempo thriller di spionaggio sulla Seconda Guerra Mondiale, film di evasione, indagine realistica e coraggiosa sulle difficoltà dei coreani colonizzati dal Giappone, e persino commedia musicale. È caratterizzata da alcune sbalorditive sequenze d’azione e vanta le straordinarie interpretazioni di Hwang Jung-min, Lee Jung-hyun nonché dell’attrice bambina Kim Soo-an, ma non solo. Anche se si potrebbe obiettare che il film ha una caratterizzazione piuttosto semplicistica dei giapponesi, ritratti come irrimediabilmente malvagi, che forse indulge in un’eccessiva violenza e spargimenti di sangue e che ha anche altre lacune, The Battleship Island ha ricevuto ancora una volta il consenso del pubblico coreano, vendendo all’incirca 6,6 milioni di biglietti per collocarsi al quinto posto tra i principali successi al botteghino del 2017.

Ryoo Seung-wan, nel 2018, rimane uno dei più popolari cineasti sudcoreani, ma se possiamo fare riferimento al passato, il suo spirito innovativo e sperimentale (sia come autentico cineasta sia come intrattenitore ansioso di accontentare il grande pubblico) continuerà a spingerlo in nuove e interessanti direzioni, invece di fargli semplicemente riciclare le stesse formule già utilizzate nei film che gli hanno già fatto raggiungere il successo. È questa la ragione per la quale noi specialisti del cinema coreano siamo sempre in ansiosa attesa del suo prossimo progetto.
Kyu Hyun Kim