Quest’anno il Gelso d’Oro alla Carriera è assegnato a Brigitte Lin, l’iconica attrice che tra gli anni Settanta e gli anni Novanta era ai vertici del cinema di Taiwan e di Hong Kong. Il 24 marzo 2018 abbiamo incontrato Lin a Hong Kong per parlare di alcuni dei momenti più memorabili della sua carriera. Ecco alcuni estratti di quella conversazione.
— L’ingresso nell’industria cinematografica
Mentre lavoravo a Outside the Window (1973) ero felicissima. Non avevo mai lavorato nel cinema prima di allora. Prima che iniziassi, la gente continuava a dirmi quanto fosse disorganizzata e pericolosa l’industria cinematografica, ma dopo aver conosciuto il regista mia madre mi diede il permesso. Tutti dicevano che fosse una persona fantastica; mia madre ha voluto informarsi per sincerarsene e alla fine mi ha lasciato fare. Tutti i membri della troupe erano in effetti persone carine e rispettabili, eravamo una specie di famiglia. Alla fine delle riprese se ne sono andati tutti, ma io non sarei mai venuta via perché ci divertivamo davvero tanto insieme.
Durante quella prima esperienza nel mondo del cinema mi sentivo in paradiso. Ero così felice, mi trattavano tutti benissimo. La recitazione mi incuriosiva tanto; ho sempre amato guardare film e mi divertivo proprio. Una volta, mentre stavo provando sul set, mi sentii molto triste perché tutti se ne sarebbero andati a fine giornata, ma poi fui sollevata all’idea che l’indomani avremmo continuato a provare.
Quando poi hanno iniziato a volermi in troppi per i loro film, ho iniziato ad avvertire la pressione. Sono diventata famosa da un giorno all’altro: mi ero appena diplomata, non avevo molta esperienza e non conoscevo bene l’industria cinematografica. All’improvviso ho dovuto affrontare tantissime situazioni diverse. Di solito si va avanti per gradi e si impara come gestire le cose, ma io non potevo. Quando sono venuta a Hong Kong per la promozione del film ho dovuto affrontare tutta la stampa, parlare al pubblico, fare foto e incontrare molti produttori. All’epoca gli agenti di spettacolo non esistevano, dovevo gestire tutto da sola.
— Le fasi della carriera
La mia carriera ha attraversato tre fasi: gli anni Settanta, gli anni Ottanta e gli anni Novanta. Negli anni Settanta ho interpretato melodrammi romantici; negli anni Ottanta ho esplorato varie direzioni; negli anni Novanta ho girato soprattutto film wuxia.
Avevo diciassette anni quando è iniziata la prima fase della mia carriera. Ero una ragazza proveniente da una famiglia tradizionale che stava entrando nel mondo dello spettacolo e sapevo che la mia vita non sarebbe stata più la stessa. Ero così agitata che prima dell’inizio delle riprese ho avuto mal di stomaco per tre giorni. Vivevo in una grande incertezza. Un caro amico mi disse: “Dopo questo primo passo, la tua vita non sarà più la stessa”. Aveva proprio ragione. A Taiwan vigeva ancora la legge marziale, era difficile andare all’estero e l’unico modo era diplomarsi e andare all’università. Le università però erano poche, ci volevano ottimi voti per entrare e a me studiare non piaceva granché, per cui non ci sono riuscita. Mi stavo preparando per riprovarci l’anno successivo, ma sono stata scelta da vari produttori e talent scout. Ho avuto la grande fortuna di incontrare un regista famoso e di non dover avere a che fare con gli aspetti più ambigui del settore.
Pochi anni dopo lavoravo così tanto da non riuscire più a reggere la pressione. Me ne sono andata da Taiwan e non volevo più sentir parlare di cinema. Sono arrivata negli Stati Uniti e ci sono rimasta un anno e mezzo. A metà del 1981 sono tornata a Taiwan, ed era cambiato tutto. I melodrammi erano completamente spariti. Per la prima volta sentii che stavano soppesando il mio valore e capii quale fosse il mio posto nel settore. Mi ridussero il compenso, ci andavano cauti perché ero stata via per un po’ di tempo e non erano sicuri che fossi ancora un’attrazione. Era tutto diverso perché la gente che lavorava in quei film di realismo sociale era diversa da quella che lavorava nei melodrammi. All’epoca l’ambiente era davvero malsano, io non avevo un manager e dovevo gestirmi tutto da sola. Le commedie che ho interpretato erano grandi successi e mi venivano offerti ruoli che non potevo rifiutare a causa delle forze in gioco: era impossibile dire di no. Non potevo più restare a Taiwan. Nel 1984 Ringo Lam mi propose di interpretare The Other Side of Gentleman (1984). È stato allora che decisi di andarmene per sempre da Taiwan per trasferirmi a Hong Kong. Quello fu il secondo momento cruciale della mia carriera.
Il terzo punto di svolta è rappresentato dal personaggio di Asia Invincibile [in Swordsman II (1992)]. Ho detto subito sì a Tsui Hark. Era molto preoccupato che non accettassi, perché dovevo interpretare un uomo, ma io ho detto di sì perché mi fidavo di lui. Sapevo che non mi avrebbe fatto fare brutta figura; ma tutti quanti avevano qualcosa da ridire. James Wong [paroliere, regista e sceneggiatore] disse: “Come gli viene in mente di far interpretare un uomo a una bella donna come te?” Io pensavo già alla pensione, per questo ho accettato un sacco di film! Avevo guadagnato decine di milioni di dollari e mi sentivo pronta a ritirarmi dalle scene. Casualmente, proprio in quel periodo ho incontrato mio marito. Lui mi ha cambiato la vita: ho messo su famiglia e ho scelto una vita diversa, ritirandomi per sempre dal mondo dello spettacolo.
È difficile immaginare che una giovane attrice dai capelli lunghi che recitava melodrammi romantici avrebbe finito per interpretare un uomo spietato: che cambiamento enorme! Non ho mai pensato che la mia vita fosse tanto movimentata, ma guardando indietro, devo dire che ho condotto un’esistenza piuttosto varia!
— Girare le scene pericolose senza controfigura
Durante le riprese di Dragon Inn (1992) dovevano riprendermi in primo piano mentre delle frecce di bambù mi venivano scagliate contro. Il coreografo d’azione, Yuen Cheung-yan, mi spiegò la scena e io avevo paura che le frecce mi colpissero sugli occhi, così lui mi disse: “Non succederà. Se anche succedesse, chiuderesti gli occhi istintivamente”. Mi sentivo tranquilla, ma una delle frecce mi colpì davvero sull’occhio. E io chiusi davvero gli occhi, istintivamente. E per fortuna, altrimenti avrei perso l’occhio! Ad ogni modo la cosa più importante, per me come per chiunque altro sul set, era terminare il film. L’assistente alla regia mi chiese se me la sentivo di continuare. Certo che me la sentivo! Mi faceva male, ma non mi sarei fermata per questo.
In Swordsman II c’era una scena in cui dovevo saltare a testa in giù da un’altezza pari a un palazzo di cinque piani. Per fare quell’acrobazia avevo solo un cavo legato tra le gambe. È facile immaginare cosa sarebbe successo se quel filo si fosse spezzato, ma non potevo nemmeno pensarci, perché dovevamo fare tutto ciò che il regista ci chiedeva. Era così imbarazzante, un’attrice con le gambe aperte e cinque-sei uomini che la tiravano su con un cavo. Quando ho visto il film in sala, ho cercato di vedere se in quell’inquadratura in cui ho rischiato la vita mi si vedeva la faccia. L’ho guardato diverse volte ma non sono riuscita a vedermi la faccia, avevo i capelli davanti!
Quando giravo Police Story (1985) c’erano due scene piene di evoluzioni. Jackie Chan mi disse che poteva trovare delle controfigure per quelle scene, ma che se le avessi fatte io la gente si sarebbe sempre ricordata di quello che avevo fatto. Quelle parole mi tentavano, così ho detto che sarei stata disposta a provarci, proprio per quel motivo.
Nella prima scena dovevano afferrarmi, ribaltarmi e sbattermi su un tavolo. Ero spaventata perché non ero mai stata scaraventata così, prima. Mi hanno sollevata e sono svenuta a mezz’aria. Jackie vide la registrazione e volle rifare la scena perché la mia faccia non si vedeva. Avevo già un livido enorme sulla coscia, ma dovevo farlo di nuovo. Mi ha detto di guardare la macchina da presa a tutti i costi, poi mi ha detto di rinforzare il girovita per non farmi venire altri lividi. Ho seguito le sue indicazioni e sono stata ben attenta a guardare in macchina, e alla fine la scena è venuta bene.
Nell’altra scena invece dovevano lanciarmi attraverso una lastra di vetro. Ero di nuovo spaventata. Prima hanno provato con un’altra persona, che si è procurata un taglio in faccia. Jackie cercò di tranquillizzarmi dicendomi: “È stato un incidente. A te non succederà”. Eravamo pronti a girare, ma mi sono accasciata a terra perché dal nervosismo mi era venuto il mal di stomaco. Mi è successo per cinque volte, tanto ero spaventata, ma alla fine sono andata avanti e ce l’ho fatta. Mi sono ricordata che la cosa fondamentale era guardare la macchina da presa o tutto sarebbe stato inutile e l’ho fatto così bene che Jackie si è davvero preoccupato e mi ha chiesto se stavo bene. Stavo benone!
— Tsui Hark e Wong Kar-wai
Tsui Hark è un caro amico. I miei due migliori amici nel mondo del cinema sono Tsui Hark e Nansun Shi. Tsui Hark ha trovato in me dei punti di forza che le altre persone non vedevano, e li ha fatti risplendere. Tsui Hark partiva da una sceneggiatura, così io potevo esercitarmi basandomi su di essa.
Wong Kar-wai invece non parte mai da una sceneggiatura. Io avevo bisogno di un copione per prepararmi, per cui per Ashes of Time (1994) continuavo a chiederglielo; non voleva darmelo, ma alla fine ha ceduto. Ero felice perché finalmente potevo studiare la parte, ma lui disse che non voleva che mi preparassi e che non era neanche sicuro che sul set avrebbe seguito il copione. A cosa serviva, allora, avere la sceneggiatura?
Durante la lavorazione di Hong Kong Express (1994) sapevo che la storia parlava di una ex celebrità e di un poliziotto e ho girato il film tenendo in mente questo. Abbiamo continuato a girare senza una sceneggiatura; facevo solo ciò che il regista mi diceva di fare. Non avevo idea di cosa stesse succedendo.
Quando lavoravo su un film di Tsui Hark sapevo sempre molto bene quello che stava succedendo. Con i film di Wong Kar-wai invece era il contrario, giravo una scena senza sapere se ci sarebbe stata nel montaggio finale. A essere sincera, non avevo idea di cosa avessi fatto alla fine delle riprese di Hong Kong Express; è stato solo quando l’ho visto al cinema che ho scoperto che interpretavo una trafficante di droga.
È raro che io apprezzi le mie interpretazioni nei film, ma mi piace molto il mio ruolo in Ashes of Time. Ho davvero adorato quella parte; le mie espressioni e tutto il resto erano così precise. William Chang mi ha aiutata molto: mi ha spiegato quasi ogni singola inquadratura in modo che potessi capire cosa dovevo fare. Dei cento film che ho interpretato, quello che ho capito meglio è Red Dust (1990). Sanmao, la sceneggiatrice, mi ha chiamata, mi ha fatta sedere e mi ha spiegato ogni singola parola, ha persino suonato dei dischi e mimato dei brani per me, quindi conoscevo Red Dust a menadito. D’altra parte, i film che mi lasciavano più perplessa erano quelli di Wong Kar-wai, mentre il regista di cui mi fidavo di più era Tsui Hark.
— Il ritiro dalle scene
Non mi sono mai lamentata delle difficoltà, ho solo pensato che fosse quello che dovevo fare, e l’ho fatto per 22 anni. Mentre impersonavo Asia Invincibile, mi sentivo come se non avessi l’energia sufficiente per continuare a recitare, anche se il cuore lo voleva. È allora che ho iniziato a pensare al ritiro dalle scene. Swordsman II è stato un grande successo, e ho detto a Nansun Shi che forse era ora che me ne andassi in pensione. Era il 1991 e continuavo a rifiutare film a destra e a manca. Un amico giornalista mi disse: “Brigitte, stai invecchiando. Dovresti approfittarne per mettere un po’ di soldi da parte”. Ho pensato che avesse ragione, che forse avrei dovuto pensare a ritirarmi e sistemarmi, così ho accettato tutto quello che mi capitava per le mani, perché all’epoca mi offrivano un sacco di soldi. Swordsman II mi ha cambiato la vita. Era una nuova fase.
— Il lavoro di scrittrice
Scrittrice, io? A scuola non finivo mai un tema. A casa mia non c’era nessun testo stampato – né libri, né riviste o giornali.
Non so mai se alla gente interessa ascoltare quello che ho da dire. Alcuni mi hanno detto che avrei dovuto scrivere perché sono bravissima a parlare, e quest’idea mi ha fatto una certa impressione. Una volta a una cena un amico di Nansun, Ma Ka-fai, mi ha chiesto se volevo scrivere [rubriche] per un giornale. Non pensavo di saper scrivere, ma secondo lui avrei dovuto farlo e mi ha dato il suo biglietto da visita. Quello che mi ha fatto iniziare a scrivere è stata la morte di James Wong [nel 2004]. James aveva sempre voluto che scrivessi, ma io mi ero sempre sottratta. Volevo fare qualcosa per James, allora ho pensato di scrivere un saggio per commemorarlo e volevo che fosse pubblicato sul giornale per il quale lui mi aveva chiesto di scrivere. Così ho contattato Ma Ka-fai, che ha pubblicato il mio saggio il giorno del funerale di James. Quel testo ha ricevuto molti feedback positivi, e questo fatto mi ha incoraggiata a scrivere.
[Nota: Lin ha pubblicato due raccolte di saggi]
— Andare al Far East Film
A dirla tutta, mi hanno proposto tanti riconoscimenti alla carriera e retrospettive, ma non ho mai accettato perché non volevo tornare sotto i riflettori. Nansun mi ha raccontato che da molto tempo il Far East Film Festival promuove il cinema asiatico e penso che questo sia molto importante. Sabrina e Thomas hanno avuto il sogno di creare questo festival grazie a Hong Kong Express ed è stato un enorme successo, è diventato un festival a cui vogliono partecipare in tanti. Significherà moltissimo per me parteciparvi in occasione del ventesimo anniversario. Questo dimostra che il cinema è qualcosa di così importante che ha spinto Sabrina e Thomas a realizzare tanto. Mi piace davvero aiutare le persone che hanno sogni e ideali, quindi questa è una cosa che voglio proprio fare.
Kevin Ma