Ricorda con ironia: il cinema di Singapore nel 2017

In un anno che di ironia è stato traboccante, i fondi statali o di enti collegati allo stato sono diventate le principali fonti di finanziamento per il cinema indipendente a Singapore. Vien da riflettere sul reale significato oggi della parola “indipendenza”.

Prendiamo ad esempio il progetto Lapis Sagu, un concorso cinematografico organizzato dal Ministero delle Comunicazioni e dell’Informazione di Singapore per promuovere i rapporti tra locali e stranieri congiuntamente alle questioni sull’integrazione sociale (il Lapis Sagu, un dolce locale a diversi strati, simboleggia l’integrazione e la tolleranza). Il concorso ha ricevuto oltre 1200 adesioni e, una volta effettuate le selezioni, sono stati realizzati quattro cortometraggi.

Ma i finanziamenti statali hanno un prezzo e, dei quattro film realizzati, solo tre hanno ricevuto l’autorizzazione per la distribuzione; il ministero ha rifiutato il cortometraggio sugli zombie di Eric Khoo dopo averlo testato con dei sondaggi e aver deciso che il film – in cui gli stranieri venivano dipinti come zombie per descrivere “la paura dell’altro” – potesse essere ritenuto offensivo.

Ironicamente, la promozione ufficiale del progetto recitava: “Singapore è un melting pot di culture, ricca di gusto e dal carattere unico. Siamo tutti legati come gli strati elaboratamente sovrapposti del Lapis Sagu. Il progetto Lapis Sagu è una piattaforma creativa per un dibattito aperto [corsivo mio] sulla diversità culturale e l’integrazione sociale a Singapore”. I tre cortometraggi rimanenti, riuniti in un film antologico dal titolo Together Apart, sono B.M.T. (Beijing. Mumbai. Tampines) diretto da Kelvin Tong, Sanjay di K. Rajagopal e The Manifest di Sanif Olek.

Sanjay dipinge le difficoltà di una giovane coppia appena giunta a Singapore dall’India. The Manifest, una storia di fantascienza, esplora le tensioni fra un ingegnere spaziale di Singapore e un cittadino naturalizzato, che insieme partecipano a una missione importantissima. B.M.T. (Beijing. Mumbai. Tampines) racconta l’esperienza del servizio militare condivisa da indigeni e cittadini naturalizzati, che ricordano conversazioni commoventi avute con le proprie madri.

I tre cortometraggi possono essere visti su Internet sul sito www.lapis-sagu.sg.

Reclamizzato come progetto finanziato senza l’aiuto delle solite fonti governative, il National Volunteer and Philanthropy Centre, sostenuto dal Ministero della Cultura, della Comunità e della Gioventù [! – punto esclamativo mio] ha lanciato un programma di 15 corti girati da noti registi di lungometraggi come Eric Khoo (Mee Pok Man, 1995), Kelvin Tong (Eating Air, 1999), K. Rajagopal (A Yellow Bird, 2016), Boo Junfeng (Apprentice, 2016) e Kirsten Tan (Pop Aye, 2017).

Fra i cineasti emergenti ci sono Sean Ng, 28 anni, e Chong Yu Lun, 25 anni, che non hanno ancora girato lungometraggi. Ognuno dei 15 corti parlava di una storia vera accaduta tra gli anni Settanta e gli anni Novanta del Novecento e serviva a promuovere e spingere alla generosità e al volontariato. Il regista Jeffrey Tan, 40 anni, facente parte dell’organizzazione che sta dietro a questo progetto cinematografico ha affermato: “Attualmente circolano moltissimi video negativi. Quasi un milione di singaporiani ha visto il video sulla coppia che ha maltrattato un anziano a Toa Payoh. Quello che stiamo cercando di fare qui è dimostrare che la gentilezza sta nei gesti semplici”. I 15 cortometraggi saranno distribuiti in rete da giugno fino alla fine di quest’anno.

Va menzionato anche 667, prima antologia di cortometraggi in dialetto per la produzione esecutiva di Royston Tan nell’ambito del SCCC Cultural Extravaganza del Centro Culturale cinese di Singapore. I registi dell’antologia sono Kirsten Tan, He Shuming, Liao Jiekai, Eva Tang e Jun Chong, ognuno dei quali ha presentato rispettivamente i dialetti di Teochew, Hainanese, Hokkien, Cantonese e Hakka allo scopo di riflettere sulle radici culturali cinesi di Singapore per “cercare di comprendere, apprezzare, conservare e trasmettere questo patrimonio” [sono senza parole…].

All’inizio del 2017, quando Pop Aye di Kirsten Tan ha vinto il premio speciale della giuria per la migliore sceneggiatura all’interno della sezione World Cinema Dramatic del Sundance Film Festival, non è stata una sorpresa che abbia ricevuto la nomination al premio Straits Times Singaporean of the Year 2017. Non c’è nulla di meglio dei singaporiani per riportare Singapore sulla scena mondiale. La stessa Tan, che ha trascorso due anni in Thailandia con lo zaino in spalla, descrive il proprio film come la storia di “due disadattati, un uomo sul viale del tramonto e il suo elefante di strada in cerca di un senso di appartenenza nel tempo e nello spazio”.

Ora che, con il film Shirkers, Sandi Tan ha vinto il premio per la miglior regia nella sezione World Cinema Documentary del Sundance di quest’anno, viene da chiedersi se non potrebbe trovare anche lei un senso di appartenenza entro i confini spaziotemporali di Singapore.

La regista ha dichiarato: “Nei primi Anni Novanta, quando ero un’adolescente bravissima a piratare i VHS a Singapore, parlavo con i miei amici, fanatici di cinema come me, di realizzare un film indipendente, un road movie surreale da me scritto e interpretato, la storia di un’assassina sedicenne di nome S. Il film, una volta realizzato, ha preso il titolo di Shirkers. Lo abbiamo girato in 16mm e il regista era il mio mentore Georges Cardona, un docente di cinema quarantenne che ci disse di essere americano. Dopo la fine delle riprese, sparì con tutte le 70 bobine di pellicola, all’incirca 700 minuti di lavoro, mandando in frantumi tutti i nostri sogni. Le mie amicizie subirono un duro colpo. Vent’anni più tardi, il materiale venne miracolosamente recuperato e io – ormai diventata una scrittrice a Los Angeles – dovetti affrontare un’odissea personale attraverso due continenti sulle tracce di Georges, e nel farlo, ho riscoperto le mie”.

“Non sono certa del posto che questo film occuperà nella mia mente e nella storia del cinema di Singapore”, ha dichiarato la regista. “Shirkers non è un film singaporiano perché io mi trovo qui negli Stati Uniti e gran parte di questa storia è accaduta dopo che avevo lasciato Singapore, dove era solo iniziata”. Vale la pena notare che se Shirkers fosse stato distribuito all’epoca in cui è stato prodotto, sarebbe stato precedente all’opera prima di Eric Khoo, Mee Pok Man (1995) e chissà che piega avrebbe preso la storia del cinema di Singapore.

Se a Singapore nel 2015 sono usciti 20 film e all’incirca 15 nel 2016, lo scorso anno ne sono stati distribuiti solo 11. Il regista e attore comico Jack Neo si è preso una pausa e, invece di girare i soliti film per il pubblico del Capodanno cinese, ha prodotto Take 2 di Ivan Ho (lo sceneggiatore di Ah Boys to Men 3), una commedia su alcuni ex detenuti. Neo ha invece affrontato di petto il mercato natalizio con un altro sequel della commedia Ah Boys to Men 4. Il film seguiva le vicende di alcuni amici durante il servizio militare. Partendo da un budget di 2,7 milioni di US$, il film ne ha incassati 4 milioni.

Intanto la spalla comica di Neo, Mark Lee, ha interpretato The Fortune Handbook di Kelvin Sng, destinato specificamente al pubblico del Capodanno cinese.

La documentarista Tan Pin Pin (Singapore GaGa, 2005, Invisible City, 2007 e To Singapore, with Love, 2013) ha fatto ritorno con un’altra riflessione sul ricordo e su Singapore, stavolta attraverso il meccanismo delle capsule temporali (In Time To Come, 2017). Il film vanta un’inquadratura memorabile e meravigliosamente ampia in cui alcuni canoisti in un bacino idrico si stagliano contro un cielo al tramonto.

Persi nel mucchio c’erano film come The Tenants, un dramma in mandarino ricco di suspense, per la regia di Mike Koh, la commedia di formazione Lucky Boy di Boris Boo e il molto pubblicizzato film biografico della popstar locale Dick Lee, che ha diretto Wonder Boy a quattro mani con Daniel Yam. Era la prima volta che Lee si cimentava nella regia, cosa questa che ha suscitato clamore tra i media.

È forse di maggiore interesse, però, il film di Abbas Akbar Chennai 2 Singapore, prima coproduzione Tamil-Singapore per la cui realizzazione ci sono voluti sei anni, un periodo che rispecchiava la storia del film, quella di un aspirante cineasta Tamil che arriva a Singapore per trovare i finanziamenti necessari a realizzare il film dei suoi sogni. Con grande sagacia commerciale la colonna sonora del film è stata lanciata un anno prima dell’uscita in sala del film. Il compositore Mohamaad Ghibran e il regista Akbar hanno intrapreso un viaggio da Chennai a Singapore, e ogni volta che i due attraversavano un confine passando dal Bhutan a Myanmar, dalla Thailandia alla Malaysia, usciva una canzone del film. È significativo che la colonna sonora sia arrivata prima su iTunes All India Music Store quell’anno.

Ma uno dei film più controversi dell’anno è stato Siew Lup (il cui significato letterale è “carne arrosto” in dialetto cantonese), la seconda parte della trilogia erotica di Sam Loh, Femme Fatale, in cui si vedevano diverse scene di topless. Tuttavia, al pari del film di Eric Khoo In the Room, anch’esso ad alto tasso sessuale, Siew Lup non ha fatto presa al botteghino.

Loh ha tuttavia commentato che le restrizioni imposte dalla censura ai film R21 (vietati ai minori di 21 anni), come Siew Lup, sono state un grosso ostacolo per la commercializzazione: il fatto che le locandine del film non potessero essere esposte nelle biglietterie delle sale cinematografiche e che le proiezioni non fossero consentite nei quartieri satellite dove si concentrano le case popolari, ha pregiudicato le possibilità del film di trovare un suo pubblico.

“La questione è che stiamo cercando di fare un genere diverso di cinema singaporiano”, ha dichiarato il regista, “un tipo di cinema che di solito arriva dalla Corea del Sud o dal Giappone”.

Almeno altri tre film sono stati poco o per nulla distribuiti nelle sale di Singapore. Uno di questi è Hush di Kan Lume e Djenar Maesa Ayu, una coproduzione tra Singapore e Indonesia che ha come protagonista la cantante indonesiana Cinta Ramlan e ne descrive lo stile di vita libero. Per molti versi questo è un film più erotico rispetto a Siew Lup o In the Room: girato in uno stile quasi documentaristico, Cinta Ramlan racconta i suoi numerosi incontri erotici dimostrando una volta per tutte che il sesso è tutto nella testa.

Come Hush, che è stato presentato allo Jogja NETPAC Asian Film Festival (Indonesia) nel 2016, anche Certified Dead di Marrie Lee è stato proiettato per la prima volta all’Hanoi International Film Festival (Vietnam) dello stesso anno, per poi uscire in sala a Singapore per un’unica proiezione nel settembre scorso. Il film di Lee, seppur danneggiato da interpretazioni disomogenee nella prima mezz’ora, ha una trama veramente interessante, quella di un uomo morto il cui corpo non si decompone rapidamente ma continua a vivere in uno stato di coscienza che però che non ha niente a che vedere con gli zombie. Va menzionato il fatto che la regista Marrie Lee era stata anche l’interprete di un film classico di culto, They Call Her Cleopatra Wong (1978).

Infine, Flights Through Darkness di Wong Kwang Han non ha mai visto la luce a Singapore. Anche questo film, come Hush, è stato presentato prima allo Jogja-NETPAC Asian Film Festival e poi all’ASEAN International Film Festival di Sarawak, Malaysia.

Flights Through Darkness, realizzato con un budget ridottissimo e che vede il regista nella parte di protagonista, ha solo un’altra interprete, l’attrice Jaclyn Mah. Come recitava la cartella stampa, “Il film è ambientato in una stanza d’hotel dove un uomo e una donna si incontrano, fanno sesso e si distruggono reciprocamente. Il film si svolge per episodi durante la loro breve relazione, portando i protagonisti da un appuntamento all’altro. Apparentemente claustrofobica, la storia è la rappresentazione della vita a Singapore e la stanza d’albergo è una metafora del paese: confortevole, piccola, comoda, ma non una vera casa. I due protagonisti si trovano di fronte al prezzo da pagare per uno sviluppo economico inarrestabile che mette i risultati, il denaro, il benessere e la reputazione al di sopra di qualunque altra cosa. Si scontrano tra loro e così facendo si scontrano anche con l’essenza stessa di Singapore”.

Oltre che con il concetto e il prezzo da pagare per essere “indipendenti” in questo paese.
Philip Cheah