Tanaka Seiji è nato a Itoshima, nella prefettura di Fukuoka, nel 1987. Dopo aver abbandonato gli studi al Nihon University College of Art, ha trascorso due anni in California in un community college con l’obiettivo di diventare sceneggiatore. Dopo aver fatto ritorno in Giappone, ha iniziato a scrivere soggetti teatrali e a realizzare cortometraggi, lavorando nel frattempo alla produzione di video per una società informatica. Circa tre anni fa un amico attore di Tanaka, Minagawa Yoji, gli ha proposto di girare un film insieme, con Minagawa nel ruolo di produttore. Ai due si è aggiunto anche un altro amico attore, Isozaki Yoshitomo, per creare la società di produzione One Goose. Il risultato di questa collaborazione è Melancholic, l’opera prima di Tanaka che è stata proiettata in anteprima mondiale al Tokyo International Film Festival del 2018 nella sezione Japanese Cinema Splash, ottenendo il premio in questa sezione per la miglior regia.
‒ Perché è andato negli Stati Uniti per imparare il mestiere di regista?
Ho frequentato l’università in Giappone per due anni. Studiavo drammaturgia, e un giorno ho pensato che volevo imparare a scrivere sceneggiature. Non c’era una ragione particolare per cui ho deciso di andare in America, è stata solo un’idea, e pensavo fosse la cosa giusta da fare in quel periodo. Quella dell’università pubblica è stata una scelta che potevo ragionevolmente permettermi. Volevo imparare a scrivere sceneggiature ma era obbligatorio frequentare tutte le lezioni per ottenere una laurea in cinematografia, e quindi, oltre alla scrittura, ho imparato a girare, a recitare e a dirigere un film. Quello che ho imparato e le esperienze che ho fatto all’università hanno cambiato il mio modo di vedere il cinema. Prima di frequentarla non avevo mai visto i film come qualcosa che andava costruito. Riconosco che adesso il mio approccio alla regia è più americano.
‒ Dopo essere rientrato in Giappone lei pensava a se stesso come “uno sceneggiatore fallito”. Se si guarda indietro, c’è qualcosa che avrebbe fatto diversamente?
Subito dopo essere ritornato in Giappone, ho ottenuto un lavoro di scrittura per un’opera teatrale dal grosso budget e ho pensato che la mia carriera sarebbe andata bene, ma dopo uno o due anni mi sono ritrovato a non avere successo in nulla. Ho deciso di girare tre cortometraggi in un anno ed è quello che ho fatto, ma non li ho fatti vedere a nessuno perché non avevo fiducia in me stesso come regista. Credevo però di avere almeno un po’ di talento come sceneggiatore, e quindi non ho mai pensato di mollare. Ho svolto dei lavori non collegati al cinema ma non ho mai smesso di scrivere.
‒ Ha detto che il protagonista nonché produttore del film, Minagawa Yoji, le ha chiesto di scrivere la sceneggiatura di Melancholic. Com’è che ha finito per occuparsi anche della regia?
Yoji mi ha chiesto di scrivere e dirigere un lungometraggio a novembre o dicembre del 2017. Ho immediatamente acconsentito perché sembrava una grande opportunità e pareva divertente. Ha detto che, in qualità di produttore, si sarebbe occupato di trovare i soldi. Quasi tutti gli attori erano persone con cui avevamo già lavorato in produzioni teatrali. Abbiamo girato Melancholic in dieci giorni, nei fine settimana a cavallo tra gennaio e febbraio 2018. Yoji mi ha chiesto di finire il montaggio per l’estate in modo da poter sottoporre il film al Tokyo International Film Festival (TIFF). Ho finito la mattina dell’ultimo giorno utile alla presentazione, e non potevo crederci quando siamo stati scelti per il festival.
‒ Ora che ha vinto il premio per la miglior regia nella sezione Japanese Cinema Splash al TIFF, si vede più come un regista che come uno sceneggiatore?
Mi vedo ancora come uno sceneggiatore piuttosto che come un regista. Ci sono troppi cineasti straordinari in giro, e non sono certo di poter sopravvivere come regista, ma credo di avere una minima possibilità di farcela come sceneggiatore.
‒ Ha citato Mitani Koki e Woody Allen come sue fonti di ispirazione. Ma ci sono stati altri registi che hanno influenzato più direttamente Melancholic?
L’atmosfera e il modo in cui la storia viene narrata sono influenzati da Woody Allen, soprattutto per quel che riguarda il protagonista Kazuhiko. Non c’è mai stato nessuno “omicidio in un bagno pubblico”, almeno durante la mia esistenza, ma i conflitti emotivi di Kazuhiko sono ispirati alla mia esperienza personale. Il liceo che ho frequentato aveva un’ottima reputazione a livello accademico e alcuni dei miei ex compagni di classe che avevo incontrato a una rimpatriata erano diventati persone di successo, mentre io non avevo nulla di cui parlare. È per questo che ho inserito la scena della rimpatriata in Melancholic.
‒ Ha in cantiere qualche nuovo progetto?
Ci stiamo preparando per l’uscita in sala di Melancholic questa estate. Stiamo anche pensando a un nuovo progetto per un lungometraggio le cui riprese inizieranno quest’anno o il prossimo. Non abbiamo però ancora deciso la storia.
Mark Schilling