Mandare un messaggio: il cinema coreano nel 2018

Ci sono dei momenti, nella storia di qualsiasi industria cinematografica, in cui il pubblico fa ben capire quello che prova. Gli ultimi 12 mesi sono stati un periodo del genere. Una sfilza di uscite di blockbuster ad alto budget e di alto profilo che si aspettava avessero successo sono state respinte dal pubblico in modo così deciso da risultare alquanto sorprendente. Il dibattito online sui film, che è sempre stato polarizzato, ha mostrato un livello di rabbia e frustrazione sostenuto e notevole. All’opposto, il risultato di film che offrivano qualcosa di nuovo o che erano realizzati in uno stile – o appartenevano a un genere – poco seguito negli ultimi anni, spesso è andato al di là delle aspettative. Se guardiamo all’anno passato nel suo complesso, c’è stata una evidente discrasia fra il tipo di film che il pubblico voleva vedere e il tipo di film che i grandi studios coreani distribuivano nelle sale. Dopo aver perso una strabiliante quantità di denaro, le case di produzione cinematografiche ora sembrano avere ricevuto il messaggio.

Pensiamo, per esempio, a The Drug King, una produzione ad alto budget uscita nel dicembre 2018. Sulla carta, questo dev’essere sembrato un progetto a colpo sicuro. Il regista Woo Min-ho usciva dal successo di un film imponente e apprezzato come Inside Men (2015). Il protagonista Song Kang-ho vantava una lunga e sicura biografia di successi, di recente col massiccio riscontro di A Taxi Driver nel 2017, e si può contare su di lui quando si tratta di fornire un’interpretazione dinamica e sorprendente. Accanto a lui, le parti secondarie erano affidate a un cast robusto, che comprendeva Bae Doona e Jo Jeong-seok. La storia è basata su eventi reali e fa riferimento ai grandi cambiamenti sociali del tardo XX secolo – un approccio che ha funzionato bene in passato. E per finire, il film è stato distribuito dalla potente compagnia di distribuzione Showbox durante il periodo clou del box office invernale, quando gli studenti finiscono gli esami e prendono d’assalto i cinema in massa.

Eppure, The Drug King ha incassato solo per una frazione delle sue consistenti aspettative (1,8 milioni di biglietti venduti, molto al di sotto del livello in cui sarebbe andato in attivo). I commenti online sono stati spietati, attaccando il prevedibile plot di ascesa e caduta e il modo in cui il film si affidava a contenuti provocatori per attirare l’attenzione. In un batter d’occhio il film ha cominciato a essere indicato come il simbolo di tutto ciò che non va nel cinema coreano d’oggi. Per quanto sia vero che The Drug King è inferiore a Inside Men in termini di narrazione e realizzazione, pare probabile che se questo film fosse stato distribuito cinque anni prima non avrebbe minimamente incontrato lo stesso livello di critiche. In altre parole, molto dell’ostilità diretta verso The Drug King potrebbe essere stata un riflesso della frustrazione accumulatasi nei confronti dei film coreani in generale.

Consideriamo per contrasto il caso della commedia a medio budget Extreme Job. Diretto dall’emergente Lee Byoung-heon, uno dei pochi registi specializzati in commedie all’interno dell’industria cinematografica, il film parla di un gruppo di poliziotti che si sforzano di mantenere un basso profilo mentre sono impegnati nella sorveglianza di un’organizzazione criminale. Per dotarsi di una base, decidono di rilevare un ristorante in fallimento che vende pollo fritto di fronte al nascondiglio dei criminali, sentendosi sicuri che non vedranno l’ombra di un cliente. Ma quando un singolo cliente comincia a sdilinquirsi su Internet a proposito dell’originale piatto fusion di pollo fritto improvvisato da uno dei poliziotti, il ristorante diventa un successo virale, e ben presto il gruppo è travolto dal lavoro.

In questo caso agivano dinamiche completamente diverse. Non c’è dubbio che il film sia divertente e possegga un ritmo efficace; data la risposta positiva del pubblico, non stupisce che sia diventato un successo. Ma le dimensioni di questo successo sono andate oltre le più rosee aspettative d’incasso. Uscito a fine gennaio 2019, Extreme Job è rimasto per un intero mese in vetta alla classifica, raggiungendo la stupefacente cifra di 16,3 milioni di biglietti venduti, e diventando il secondo film coreano più popolare di tutti i tempi dopo l’epopea storica del 2014 Roaring Currents (17,3 milioni di biglietti). In termini di incassi, Extreme Job si situa al vertice con 123 milioni di dollari statunitensi. Il regista Lee merita indubbiamente tutto il credito per questo successo, ma è anche vero che il film sembra aver beneficiato della domanda, insoddisfatta e di lunga data, di una commedia di buon livello.

Come mai sono state realizzate così poche commedie coreane negli ultimi anni? Per la maggior parte la responsabilità è del buon senso convenzionale degli investitori e delle grandi case di produzione. Le commedie erano considerate un genere “antiquato”, che andava bene per i primi anni Duemila ma non era più adatto per il pubblico contemporaneo. Ora, naturalmente, questo facile buon senso è andata in pezzi, e le compagnie cinematografiche si stanno precipitando ad aggiungere commedie alle loro line-up.

Ma il problema va oltre una semplice questione di genere. Esiste una sorta di schema base per garantire gli incassi – basato sull’attrazione dei divi, gli alti valori di produzione, e dei temi seri e impegnativi – che è stato largamente adottato dagli investitori. Il concetto che la produzione di medio livello stia venendo espulsa dall’industria, per lasciare solo film a basso budget od opere di grandezza del blockbuster che possono assicurarsi una vasta distribuzione, è stato ripetuto come un mantra, anche di fronte a prove del contrario. Come risultato di queste convinzioni (e dell’aumento dei costi di produzione, dovuto particolarmente a nuove regole sindacali), nel 2018 si sono verificati un massiccio aumento nel numero di film ad alto budget (che viene definito a partire da 10 miliardi di won, ossia 9 milioni di dollari) e un livello relativamente basso di film a medio budget (da 3 milioni a 7 milioni di dollari).

Alla fine, per i film ad alto budget è stato un massacro, mentre i film di medio budget se la sono cavata piuttosto bene. Molti dei blockbuster che hanno fatto flop erano diretti da registi che possedevano un solido curriculum di successi al botteghino: Kim Jee-woon (Illang: The Wolf Brigade), Kang Hyeong-cheol (Swing Kids), Kim Byung-woo (Take Point), Choo Chang-min (Seven Years of Night), Yeon Sang-ho (Psychokinesis), Woo Min-ho (The Drug King) e Lee Jeong-beom (Jo Pil-ho: The Burning Rage).

Ciascuno di questi film aveva un’accettabile strategia per raggiungere il successo al box office, ma parte del problema era che tutti quanti avevano, più o meno, la stessa strategia. Si nota chiaramente una certa fatica del pubblico nel rapportarsi a quel genere di dramma cupo e pesante che caratterizza buona parte delle crescenti produzioni ad alto budget. Un recente blockbuster (che non nominerò, per evitare spoiler) termina con i carismatici protagonisti del film abbattuti a colpi di mitragliatrice. L’obiettivo era di far riferimento alla tragica storia moderna della Corea e provocare un’impennata di sentimento nazionale, ma dopo aver visto per anni film di questo genere, gli spettatori non sembrano essere più nello spirito adatto. Il concetto che i blockbuster dovrebbero essere film piacevoli da guardare è qualcosa che negli ultimi tempi è stato trascurato.

Uno sguardo ai blockbuster che in effetti sono riusciti a raggiungere un successo adeguato alle loro dimensioni risulta illuminante. Il film di gran lunga più fortunato del 2018 è Along with the Gods: The Last 49 Days, che a inizio agosto ha venduto 12,3 milioni di biglietti. È il sequel di un film ancora più di successo, Along with the Gods: The Two Worlds, uscito a fine 2017. Basato su un popolare web comic, presenta un mix di spettacolo e melodramma ambientato nel regno dell’aldilà. Malgrado un’accoglienza non entusiastica da parte della critica, il film ha esercitato un richiamo per tutte le età e ha posto le basi per sequel ancora più redditizi in futuro.

Un altro successo commerciale, benché non dello stesso livello, è la prima produzione ad alto budget del regista Kim Kwang-sik, The Great Battle, costato 20 milioni di dollari. Ispirato a uno scontro nel VII secolo fra le forze della dinastia Tang e i difensori della piccola Fortezza di Ansi, il film è molto spettacolare e si avvale di una carismatica interpretazione del popolare divo Jo In-sung. Anche se non è particolarmente innovativo, trae beneficio da un ritmo efficace e da una preparazione del confronto finale molto coinvolgente sul piano emotivo. In altre parole, diverte – e gli spettatori hanno fatto la fila, trasformandolo nel secondo maggior incasso dell’anno per un film coreano, con un totale di 5,4 milioni di biglietti venduti.

Altri due film ad alto budget sono riusciti a riportare un incasso rispettabile, guadagnandosi un passaparola positivo grazie a caratterizzazioni e narrazioni efficaci, oltre al contenuto e a un’ambientazione veramente memorabile. The Spy Gone North è stato presentato in anteprima a Cannes nel mese di maggio 2018 ed è arrivato a vendere 4,9 milioni di biglietti durante la sua uscita estiva. Ambientato negli anni Novanta e basato sulla drammatica esperienza autentica di una spia infiltrata, questo film costato 20 milioni di dollari presenta le relazioni fra Nord e Sud sotto una nuova prospettiva, offrendo anche alcune riprese di Pyongyang magnificamente realizzate.

Dal canto suo Believer di Lee Hae-young, un remake alla lontana di Drug War di Johnnie To, è stata l’unica uscita ad alto bugdet del 2018 che sembra aver realmente acquistato slancio grazie all’aiuto del passaparola. Con le sue memorabili interpretazioni, fornite da un cast d’insieme di grandissimo talento, il film ha dimostrato che non tutte le pellicole dal contenuto cupo sono condannate al fallimento: possono aver successo con un racconto teso e offrendo qualcosa di originale. Pur essendo stato distribuito “fuori stagione” in maggio, Believer si è portato a casa più di 5 milioni di biglietti venduti.

Il quadro complessivo appare molto più roseo per i film del 2018 a medio budget, che hanno richiamato gli spettatori fondamentalmente per la potenza del racconto. Il capofila è stato Intimate Strangers, remake coreano del famoso successo italiano del 2016 Perfetti sconosciuti, che ha fatto proliferare numerosi remake in tutto il mondo. Attenendosi abbastanza strettamente all’originale, il film coreano ha beneficiato di un buon cast e di un passaparola entusiastico, cosicché ha racimolato l’impressionante numero di 5,3 milioni di biglietti venduti. Considerando la modestia del budget, si pone come una delle uscite più redditizie dell’intero anno.

Ha attratto l’attenzione anche Default, il secondo film di Choi Kook-hee (Split), che prende in esame il modo discutibile in cui la Corea del Sud ha risposto alla crisi finanziaria asiatica del 1997, e i suoi negoziati a porte chiuse con il Fondo Monetario Internazionale su un pacchetto di bailout di dimensioni record. Il film, che ha qualcosa in comune con l’hollywoodiano La grande scommessa, descrive anche gli effetti duraturi della crisi sulla middle class sudcoreana, ed è arricchito in particolare da un’eccezionale interpretazione dell’attrice Kim Hye-soo.

Parlando di cinema di genere, anche l’apprezzato thriller di Lee Kwon Door Lock è costruito sulle capacità interpretative di un’attrice molto stimata. Kong Hyo-jin è un’impiegata di banca che sospetta che qualcuno stia cercando di introdursi nel suo appartamento. Il film, remake del thriller spagnolo Bed Time di Jaume Balagueró, amministra abilmente la suspense ed è stato ben ricevuto dal pubblico. Nel frattempo anche il popolare Ma Dong-seok (Train to Busan) ha trovato una vetrina per le sue qualità di star in Unstoppable, un piacevolissimo e divertente film d’azione che richiama la serie Taken.

Sebbene i primi mesi del 2019 siano stati dominati dall’estremo successo di Extreme Job, alcune altre opere si sono guadagnate l’attenzione delle platee. Innocent Witness è un dramma giudiziario su una ragazza autistica (Kim Hyang-gi) che è la sola testimone di un oscuro crimine. Quando l’avvocato della difesa (Jung Woo-sung, in un’interpretazione carismatica) comincia a cercare un modo per screditare la testimonianza della giovane, si ritrova a provare un’empatia crescente verso il punto di vista di lei.

Infine, il drammatico Birthday occupa una posizione speciale fra i film recenti. Sarebbe duro sopravvalutare gli effetti del tragico affondamento del ferry-boat Sewol, avvenuto del 2014, sulla società coreana contemporanea. Anche se le questioni politiche intorno a quell’evento sono complesse, Birthday evita la politica e descrive una famiglia lacerata dalla perdita del figlio adolescente. Il film è centrato sulle strazianti interpretazioni dei premiati attori Sol Kyung-gu e Jeon Do-yeon, e risulta non meno significativo che abilmente realizzato; mostra inoltre l’apparizione di un entusiasmante nuovo talento nel debutto del regista Lee Jong-eon, per lungo tempo aiuto regista di Lee Chang-dong.

E così, qual è la situazione attuale del cinema coreano? Sebbene le statistiche generali del 2018 mostrino solo un modesto declino, il consistente numero di pesanti fallimenti al box office suggerisce che produttori e investitori devono farsi un esame di coscienza. L’ultimo decennio ha visto una crescente sistematizzazione del cinema coreano, nel senso che le maggiori compagnie sono diventate sempre più potenti. Sotto un certo aspetto questo processo ha reso l’industria più forte, ma l’ha anche lasciata vulnerabile in senso creativo. Più le grandi case di produzione si attengono a formule e modelli predefiniti, più è probabile che gli spettatori si stanchino di veder ripetere all’infinito gli stessi tipi di film.

Potrebbe anche accadere che, un giorno o l’altro, ci troviamo a guardare in retrospettiva al 2018 come al momento chiave in cui il pubblico si è fatto sentire, ed ha espresso la sua insoddisfazione circa lo stato corrente del cinema coreano. A una prima occhiata sembra che gli studios stiano comprendendo il messaggio; ma se siano, sul serio, abbastanza flessibili da venire incontro ai gusti in evoluzione del pubblico, questo è ancora da vedersi.
Darcy Paquet