Omaggio A Ringo Lam

Ringo Lam è stato tra le prime celebrità hongkonghesi a sbarcare, nel lontano aprile 1998, al Cinema Ferroviario di Udine trasformato per l’occasione in pagoda cinese. Una decina d’anni prima d’incontrarlo di persona presso uno dei suoi ristoranti favoriti a Kowloon, Hong Kong, alcuni suoi film li avevo scoperti in fetide salette londinesi specializzate in action e horror esotici. Quentin Tarantino fin dal suo esordio Le iene aveva del resto abbondantemente citato e popolarizzato l’opera di Ringo Lam. Anche da vecchi amici addicted del cinema asiatico quali Pierre Rissient e Derek Elley, le saghe disperate dirette da Lam erano amatissime, pur non approdando mai ai festival internazionali.

Lam così come Johnnie To, Yim Ho, Wong Kar Wai, Ann Hui, Tsui Hark, Peter Chan, Fruit Chan e altri loro colleghi li conoscemmo proprio mentre incombeva il dannato handover, la restituzione della colonia britannica alla Cina. Una “fine del mondo” della quale i cineasti dibattevano ossessivamente tra di loro e in pubblico, esprimendo non solo paure di censure feroci, imposizioni dittatoriali, strangolamento dell’industria cinematografica locale, ma spesso anche speranze in opportunità nuove, orizzonti più vasti, trasfusioni sanguigne.

Vent’anni dopo purtroppo i pessimisti hanno avuto ragione. Anziché trasferirsi armi e bagagli a Pechino o a Hollywood, nel nuovo millennio Ringo Lam ha scelto la via del silenzio, assentandosi, o quasi, dal proprio mestiere. Quando l’intervistammo nel 2001 assieme a Hubert Niogret per il reportage Hong Kong Cinema, il regista si dichiarava ormai a riposo, senza progetti né rimpianti. Da intellettuale raffinato qual’era rifletteva sul futuro, si chiedeva se i film un giorno sarebbero stati proiettati sullo spazio anziché sullo schermo, e se gli spettatori avrebbero fatto da protagonisti essi stessi dei film.

I cinesi hanno una mentalità diversa, molto differente dall’Occidente, la nostra è una specie di filosofia. I nostri concetti di giustizia, di famiglia, di valori, sono molto dissimili da quelli dell’Occidente. Mi sembra che tutti i film occidentali siano basati sulla scienza e sulla logica. Se pensate a molti film cinesi, invece, sono più cerebrali, sono cose mentali, che la scienza non spiega. Ora abbiamo storie da favola. In passato credevamo che ci fosse una specie di Gorgone, e che fosse possibile costruire un edificio senza gru, semplicemente a mano. Stiamo parlando di poteri psichici, ma se lo racconti a un pubblico occidentale, diranno che sono tutte bugie. Abbiamo mentalità diverse, siamo stati cresciuti in modo diverso”.

Ringo Lam ci ha lasciato due testamenti, uno su pellicola e uno su carta.

Sky on Fire (2016) fin dal titolo evoca i suoi pamphlet realizzati al lanciafiamme e centrati sulle disfunzioni sociali macroscopiche, sotto Sua Maestà Britannica, di scuole, città, prigioni. Un caos permanente che al regista senza dubbio piaceva. Lo fa andare in bestia invece l’ordine imposto dall’alto del grattacielo di mille piani gestito da una malevola industria farmaceutica. Lam concentra in questo mostro architettonico il core business del capitalismo cinese. Correndo da un meandro all’altro della vicenda e del palazzaccio, non vede l’ora di dargli fuoco. Mettendo in scena con enfasi wagneriana il più grandioso dei suoi olocausti conclusivi Ringo Lam si vendica beffardo, dandoci dentro alla batteria come il suo amato Ringo Starr: vadano tutti a crepare all’inferno!

Il testo che segue Ringo Lam l’ha pubblicato in The Ultimate Guide to Hong Kong Film Directors, 1979-2013, a cura di Freddie Wong Kwok-shiu, Hong Kong Film Directors Guild, 2014, p. 387.
Quando facevo il regista, molti restavano sorpresi dalla mia determinazione senza compromessi e dalle mie opinioni inflessibili. Ma non mi sono mai pentito del modo in cui ho gestito le cose. Detto questo, vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato a portare a termine i miei film!
Il mio atteggiamento nei confronti del cinema lo si potrebbe riassumere come ‘metterci tutta l’anima e tutto il cuore’. Solo film realizzati con questo stato d’animo potevano permettermi di esprimere me stesso documentando i miei pensieri e le mie sensazioni in quel particolare periodo.
Quando guardo i miei film, riesco a vedere la traiettoria della mia crescita personale. Ricordare le storie dietro le quinte, ardue e complicate, è molto più significativo del film stesso. Anche se ci fossero molte più persone su questa terra, non ce ne sarebbero due uguali. I miei pensieri e le mie idee sono unici. Quindi, se tratto il cinema con autenticità e onestà, credo che le singolari qualità dei miei film possano trasparire. Questo è il passo fondamentale del mio processo creativo. Ma ora basta parlare, godiamoci i film!”
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Lorenzo Codelli