Tempi difficili: il cinema di Hong Kong nel 2018

Nel 2018 Hong Kong ha registrato un incremento degli incassi al botteghino, fatto questo che conferma la forza del comparto cinematografico nella Regione Amministrativa Speciale, dopo due anni di contrazione delle vendite dei biglietti. La spesa per il cinema è cresciuta quasi del 6%, assestandosi su 1,96 milioni di dollari hongkonghesi (249 milioni di dollari statunitensi), e anche il numero di titoli usciti in sala è aumentato dell’8%, arrivando a quota 300. Per i cineasti locali, però, il problema è che sono raramente le produzioni locali a costituire le principali attrazioni.

A guidare la classifica dei film hongkonghesi è Agent Mr. Chan di Jeff Cheung, che ha realizzato 44,7 milioni di dollari hongkonghesi (5,7 milioni di US$). Il film, che mette insieme la commedia cantonese e le spiritosaggini demenziali da superspia, è stato un grande successo a Hong Kong nel periodo del Capodanno Lunare, non tanto però da rientrare nella Top Ten generale del botteghino. Tra i primi dieci titoli, infatti, ben otto sono franchise statunitensi, guidati da Avengers: Infinity War, al primo posto con 153,3 milioni di dollari hongkonghesi (19,6 milioni di US$), mentre la nona e la decima posizione sono occupate da successi coreani. Nel registro ufficiale del 2018 sono stati classificati come film locali soltanto 53 dei titoli distribuiti, la stessa cifra dell’anno precedente. La quota di mercato per il cinema locale è calata leggermente, passando dal 14% dell’anno precedente al 13% dello scorso anno.

Come nel 2017, anche lo scorso anno sono passate intere settimane senza che al pubblico venisse presentato un nuovo film hongkonghese di rilievo. Il profilo delle uscite è stato estremamente variabile, con alcuni film locali relegati in sale fuori mano o proiettati in orari difficili. Spesso le proiezioni di film hongkonghesi si concludono con un breve saluto degli attori o di altri cineasti che implorano il pubblico di parlare bene del loro lavoro e di mettere dei like sui social media. Questo fa crescere l’entusiasmo per le opere locali, ma non sempre si traduce in un successo in sala. Ciò è tanto più difficile in quanto il cinema locale è considerato dal pubblico un prodotto di secondo livello, un pregiudizio che è sorto a metà degli anni Novanta, a causa delle opere mediocri e raffazzonate che venivano distribuite. I prodotti importati, roboanti e raffinati, sono spesso considerati più redditizi.

Visto che è difficile attrarre le folle in patria, un ruolo importante per il cinema hongkonghese è rappresentato dalle coproduzioni con la Cina continentale. Grazie alla collaborazione con le società del continente, i cineasti di Hong Kong hanno accesso agli oltre 60.000 schermi del paese, perché le coproduzioni vengono classificate come opere nazionali, non importate, e non sono pertanto soggette al sistema delle quote. Il rendimento potenziale su scala nazionale è molto più ampio, quindi i cineasti possono aspirare a valori di produzione molto più elevati.

Un caso emblematico del 2018 è rappresentato dall’intenso film cinese a tema militare Operation Red Sea, diretto dallo specialista di action Dante Lam, che è balzato al vertice del box office cinese in febbraio ed è rimasto al primo posto fino alla fine dell’anno. Altri cineasti che si sono avvalsi dei grossi budget delle coproduzioni sono Soi Cheang, il cui fantasy The Monkey King 3 è stato uno delizie del Capodanno Lunare, e Tsui Hark, che con Detective Dee: The Four Heavenly Kings, continua con le emozioni forti e complesse che hanno reso celebre la serie.

L’inghippo insito nella coproduzione con la Cina è che gli autori devono adeguarsi alle prescrizioni della censura di Pechino e devono quindi essere abilissimi negli esercizi di equilibrismo per ottenere il visto di censura per il grande schermo. Alcune proibizioni sono facilmente comprensibili, come le questioni politiche, il soprannaturale, o ancora il fatto che i malfattori se la cavino senza essere puniti; ma altre cambiano nel tempo. Affinché una coproduzione possa approdare a un qualsiasi schermo cinematografico, compresi quelli di Hong Kong e persino quelli dei festival all’estero, è necessario innanzitutto che ci sia il via libera dalla Cina. Inoltre, nelle sale di Hong Kong arriva l’edizione cinese del film.

Gli sviluppi della trama, ficcati nella sceneggiatura per superare gli ostacoli della Cina, possono rivelarsi incredibilmente evidenti; e spesso intervengono alla fine bruschi aggiustamenti per rimuovere le zone moralmente grigie e assicurarsi che i cattivi, anche se al limite, non arrivino ai titoli di coda senza ricevere la giusta punizione. In mani esperte, un colpo di scena in linea con i dettami cinesi può essere integrato senza intoppi e persino contribuire all’atmosfera di un film, ma purtroppo questa non è la norma. L’effetto di queste regole sul cinema di genere ha determinato anche il declino dei film dell’orrore, che erano uno dei punti fermi dei circuiti cinematografici di Hong Kong.

I cineasti che optano per le coproduzioni devono anche fare i conti con il divario esistente nei gusti del pubblico tra Hong Kong e la Cina continentale – divario che riguarda tutto, dallo storytelling agli stili comici e ai divi preferiti. Le differenze nella risposta del pubblico possono essere anche molto nette, specialmente se gli hongkonghesi percepiscono che una produzione è rivolta principalmente al pubblico continentale. Operation Red Sea ne è un ottimo esempio: a Hong Kong il film ha realizzato solo 8,7 milioni di dollari hongkonghesi (1,1 milioni di US$), ed è entrato a malapena nella Top Ten delle produzioni locali.

Dato che il mercato della Cina continentale è molto più esteso, gli hongkonghesi temono che le co-produzioni con caratteristiche distintamente locali scompaiano. Tra i crossover di successo figurano le coproduzioni Project Gutenberg di Felix Chong e Golden Job di Chin Ka-lok, due polizieschi giramondo che fanno appello alla nostalgia per il cinema hongkonghese. Ma i film incentrati sui temi tipici di Hong Kong sono principalmente prodotti destinati a una distribuzione locale, che optano per budget ridotti: un tipo di produzione cinematografica che è in gran parte il campo d’azione dei registi di nuova generazione di oggi. I produttori di questi film spesso mirano a premi e partecipazioni a festival, per suscitare interesse nei mesi precedenti la loro uscita su vasta scala.

Nel 2018 il pubblico affezionato al cinema di Hong Kong ha trovato una gran varietà di titoli, anche se di qualità piuttosto disomogenea (nella sua classifica annuale la Hong Kong Film Critics Society ha ritenuto opportuno premiare due soli film del 2018 e raccomandarne solo quattro, una ben misera cifra). Sul versante dei film a grosso budget, Project Gutenberg è stato una bella sorpresa. È la storia di un pittore (Aaron Kwok) che si mette a lavorare a tempo pieno come falsario alle dipendenze di un enigmatico capo (Chow Yun-fat). Il film ha preso la sfacciata spavalderia del cinema poliziesco di Hong Kong degli anni Ottanta e l’ha combinata con gli sgargianti valori di produzione moderni e l’abbondante ricorso a location estere. Anche Operation Red Sea di Dante Lam è stato girato all’estero, in Marocco, dove sono state realizzate le scene mozzafiato in cui eroi cinesi salvano dei loro concittadini da un paese fittizio devastato dalla guerra.

Gli amanti del fantasy hanno trovato pane per i loro denti con il sensazionale The Monkey King 3 di Soi Cheang, tratto da un classico della letteratura: un film carico di effetti speciali, in cui gli esploratori arrivano in un regno tutto al femminile. Da qui si dipana una nuova storia, arricchita da immagini splendide supportate da un’attenta sceneggiatura. Monster Hunt 2 di Raman Hui, uscito in occasione del Capodanno Lunare come il film di Cheang, continua la storia di Wuba, un mostriciattolo carino inseguito da animali molto più malvagi, che utilizza una miscela elegante di animazione e azione dal vivo. La serie Detective Dee di Tsui Hark arriva al quarto episodio con The Four Heavenly Kings, in cui l’investigatore della dinastia Tang affronta illusionisti, stregoneria e altro ancora in una giostra di sfrenata creatività.

Sul fronte del film drammatico si registrano diversi titoli soddisfacenti. Men on the Dragon, storia di gente in crisi di mezza età del regista esordiente Sunny Chan, ha suscitato interesse per il suo cast corale, i leggeri tocchi comici e lo sguardo strettamente locale al cinema sportivo, di conseguenza è rimasto in sala gran parte dell’estate. Uscito in anteprima nel 2018, per essere poi distribuito quest’anno, Still Human, opera prima di Oliver Chan, ha commosso il pubblico con la vicenda della relazione tra una collaboratrice domestica filippina (Crisel Consunji) e il suo anziano datore di lavoro in sedia a rotelle (Anthony Wong), e ha lasciato il segno grazie alla raffinata sceneggiatura e alla intensa interpretazione dei protagonisti.

Le emozioni sono ancora più forti in Three Husbands di Fruit Chan, un titolo uscito in anteprima che ruota intorno alle vicende di una prostituta misteriosa che lavora perlopiù in una barca, un’opera di umorismo nero immersa in un simbolismo relativo alla Hong Kong contemporanea. Materiale politico è presente anche in A Family Tour di Ling Yiang, un piccolo film basato in parte sull’esperienza diretta del regista come filmmaker cinese in esilio a Hong Kong. È una storia pacata e a basso budget su una furtiva riunione di famiglia che ha luogo quando una regista partecipa a un festival a Taiwan. Il film riflette anche le difficoltà incontrate da chi, oggi, cerca di realizzare a Hong Kong una pellicola apertamente politica.

La nostalgia è l’attrattiva principale di House of the Rising Sons, che parla delle origini del gruppo pop locale The Wynners ed è diretto dal batterista del gruppo, Anthony Chan. La storica band è nota per il suo stile disinvolto e il film ha lo stesso approccio, raccontando l’ascesa del gruppo nel mondo del rock, dalla fine degli anni Sessanta in poi. I toni sono invece molto più cupi in Somewhere Beyond the Mist di Cheung King-wai, la storia di una studentessa che fa fuori i suoi genitori, un film crudo e accuratamente strutturato con tocchi di forte atmosfera. Più provocatorio, Chung Ying Street n. 1 di Derek Chiu è un sorprendente film a basso budget incentrato sulle vicende di alcuni giovani di sinistra durante i sanguinosi tumulti di Hong Kong del 1967, alternate a scene relative all’attivismo e alle tensioni odierne.

Tracey, film drammatico sul coming out di un transgender diretto dal regista esordiente Jun Li, è andato bene in sala e il pubblico mainstream è accorso a guardare la convincente interpretazione del protagonista Philip Keung. Ha destato molto interesse anche un’altra opera prima, Tomorrow Is Another Day di Chan Tai-lee, incentrato sulla vita di una casalinga alle prese con un figlio autistico e un marito infedele. Anche in questo caso il punto di forza è la straordinaria interpretazione degli attori, soprattutto Teresa Mo.

Il raffinato In Your Dreams, diretto dall’esordiente Tam Wai-ching, racconta una relazione proibita tra studente e insegnante; mentre in Distinction il giovane talento Jevons Au rivolge il suo sensibile sguardo all’educazione speciale e segue alcuni bambini che si preparano per un musical. Il nostalgico When Sun Meets Moon di Benny Lau narra una vicenda amorosa adolescenziale; G Affairs, opera prima di Lee Cheuk-pan, propone un’interpretazione peculiare e creativa di una vicenda criminale.

Oltre a Project Gutenberg e Operation Red Sea, per gli amanti del film d’azione e dei thriller sono usciti diversi film importanti: Master Z: The Ip Man Legacy prende uno dei combattenti del film Ip Man 3 del 2015 e sviluppa la sua storia in una nuova, divertente epopea ambientata negli anni Sessanta. Il film, interpretato dall’asso delle arti marziali Max Zhang e diretto dal veterano coreografo d’azione Yuen Woo-ping, ha al centro un asso del Wing Chun che ha la meglio sui malviventi locali e su un grosso narcotrafficante. Donnie Yen, la star dei precedenti film di Ip Man, è il protagonista di Big Brother di Kam Ka-wai, di cui è anche coproduttore. È un film che ha al centro questioni sociali collegate al sistema educativo di Hong Kong. I fanatici dei film d’azione avranno storto il naso all’idea di seguire tutta la vicenda drammatica, ma Yen mantiene le sue promesse esibendosi in vari combattimenti strada facendo.

In Golden Job, diretto dallo specialista d’azione Chin Ka-lok, una banda di hongkonghesi si sposta a Budapest e in Giappone ma la rapina, che avevano progettato per motivi umanitari, finisce male e qualcuno tradisce. Sebbene sia essenzialmente un pretesto per rimettere insieme la squadra dei film sulle triadi della serie Young and Dangerous degli anni Novanta, essendo una coproduzione con la Cina continentale Golden Job presenta i protagonisti sotto una luce più virtuosa. Un altro thriller d’azione ambientato all’estero è Europe Raiders di Jingle Ma, una sciocca saga su cacciatori di taglie che, in Italia, cercano di impadronirsi di un sistema globale di sorveglianza e di guerra. Wine War, diretto dal cantante Leon Lai, è una favola divertente che inizia con l’intrigo di un enofilo francese e si trasforma in azione sfrenata.

Il famoso attore Nick Cheung ha dato una scossa al genere del thriller con The Trough, racconto iperstilizzato e nel complesso sconcertante in cui un detective (Cheung) perlustra un mondo futuristico piovoso e cupo alla ricerca di un boss del crimine. Molto più convenzionale e avvincente è The Leakers di Herman Yau, storia di un’epidemia che si diffonde in Malesia, in cui si intrecciano polizia internazionale e giornalismo investigativo.

L Storm di David Lam prosegue la serie di fascia media sulla corruzione con una storia di rivalità tra forze impegnate nella lotta alla corruzione, che affiora quando gli investigatori affrontano un’operazione di riciclaggio di denaro. Il regista esordiente Sit Ho-ching si rivolge chiaramente al mercato giovanile con Keyboard Warriors, racconto tecnologico che mette in scena giovani attivisti della rete e le loro controparti poliziesche dopo che è stato trovato del denaro sparso per la strada. Anche Napping Kid di Amos Why tira in ballo dei maghi del computer per realizzare una saga anche troppo densa di crimine e attivismo sociale.

Nel 2018 sono state poche le commedie hongkonghesi vere e proprie, e questo ha contribuito al successo di Agent Mr. Chan. Il film, interpretato da Dayo Wong, prende di mira i luoghi comuni dei film di spionaggio deliziando i fan della popolare comicità cabarettistica di Wong. Altri elementi parodistici sono presenti in Keep Calm and Be a Superstar, un poliziesco di profilo inferiore di Vincent Kuk incentrato su un personaggio del cinema che scimmiotta chiaramente Jackie Chan, e delizia il pubblico con riferimenti cinematografici locali e un umorismo demenziale. L’aumento delle co-produzioni ha determinato una riduzione del numero di storie soprannaturali, di conseguenza gli amanti dei film più spaventosi hanno trovato poco pane per i loro denti. Per loro fortuna, una storia soddisfacente è Hotel Soul Good di Yan Pak-wing, in cui una ragazza crea un piccolo ostello con l’aiuto di mostriciattoli amichevoli. La trama mescola commedia e dramma con mano attenta ed è caratterizzata dalla forte atmosfera cinematografica locale. Anche il musicista e regista veterano Teddy Robin ha proposto vicende raccapriccianti in Lucid Dreams, una modesta raccolta di racconti spaventosi che si sviluppano quando un regista viene eliminato su un set cinematografico.
Tra i film meno interessanti dell’anno vanno citati Staycation e Iceman: The Time Traveller, due titoli che non contribuiscono affatto a migliorare l’immagine del cinema di Hong Kong in questi tempi difficili. La vacua commedia di Johnson Lee Staycation è incentrata su una famiglia che parte per il campeggio, verso incontri dimenticabili, buffonate da giochi a premi e lo scontro con un uccello gigantesco, con scene prese direttamente da Hollywood. Iceman: The Time Traveller di Raymond Yip comincia dal punto in cui si interrompeva Iceman, grande successo di botteghino del 2014. Il film, con Donnie Yen nei panni di un guerriero della dinastia Ming, prima nella moderna Hong Kong poi nell’antica Cina, sembra un guazzabuglio messo insieme alla meno peggio per chiudere una storia produttiva travagliata.

Ad ogni modo, il 2018 è stato sicuramente un’ottima annata per le opere prime. Grazie a Men on the Dragon e Tomorrow Is Another Day gli sceneggiatori Sunny Chan e Chan Tai-lee hanno ottenuto ampi riconoscimenti, mentre Agent. Mr Chan rappresenta il primo incarico da regista per il veterano assistente alla regia Jeff Cheung. Verso la fine dell’anno una serie di piccole e medie produzioni hanno introdotto i nuovi talenti Oliver Chan, Sit Ho-ching, Lee Cheuk-pan e Jun Li.

Il programma di cortometraggi a finanziamento pubblico Fresh Wave continua a svolgere un ruolo fondamentale nel processo di sviluppo del talento di aspiranti sceneggiatori e registi; e la First Feature Film Initiative governativa, una competizione di sceneggiature che mette in palio budget completi per la produzione, prosegue con il suo incredibile programma di sostegno a opere di qualità di registi esordienti al loro primo lungometraggio. Da parte loro, le case di produzione hanno continuato a fornire tutto il supporto necessario ai nuovi talenti emergenti, spesso finanziando progetti degli stessi registi con budget inferiori, insieme a coproduzioni di più ampia portata. Passando ai talenti davanti alla macchina da presa, nel 2018 tra i principali attori di Hong Kong figurano artisti affermati come Chow Yun-fat, Francis Ng, Anthony Wong, Aaron Kwok, Louis Koo, Tony Leung Chiu-wai, Nick Cheung, Donnie Yen e Philip Keung, mentre tra i giovani emergenti con opere degne di nota nel 2018 vanno ricordati Ng Siu-hin, Tony Wu e Ling Man-lung. Sul fronte femminile il 2018 ha registrato le interpretazioni degne di nota delle attrici hongkonghesi Teresa Mo, Stephy Tang, Kara Wai, Carina Lau, Charmaine Sheh, Catherine Chau, Jennifer Yu, Chrissie Chau, Kathy Yuen e Cecilia So. Come negli anni precedenti, però, spesso i ruoli femminili principali, nelle coproduzioni più importanti, sono andati ad attrici della Cina continentale.

Per il cinema hongkonghese il 2019 è iniziato in modo altalenante. Nei mesi precedenti il nuovo anno, si è registrato un rallentamento nelle nuove co-produzioni, sulla scia di un giro di vite delle autorità cinesi sull’evasione fiscale nell’industria cinematografica. In occasione del Capodanno Lunare, poi, i cineasti di Hong Kong non hanno trionfato al botteghino nazionale come era avvenuto l’anno precedente; ma in patria almeno la stagione delle festività offriva un panorama variegato di proposte, con diversi elementi di richiamo. Per la settimana festiva sono usciti in sala cinque film di produzione hongkonghese e, al di là di The New King of Comedy, co-regia di Stephen Chow ambientato in Cina, gli altri quattro potrebbero benissimo essere classificati come prettamente locali per temi, luoghi e cast. Fra questi film si segnalano la spensierata farsa Missbehavior di Pang Ho-cheung e il successo al botteghino Integrity, un agile thriller sull’anticorruzione diretto da Alan Mak. Può darsi che per il cinema di Hong Kong le sfide siano ancora ben lungi dall’essere finite, ma chi sperava in una nuova dimostrazione sicurezza dei cineasti della città potrebbe averla trovata all’inizio del nuovo Capodanno Lunare.
Tim Youngs