Storie allegoriche: i film di Singapore nel 2019/20

Singapore è uno dei leader mondiali del cinema allegorico. Ma le emozioni che ne scaturiscono devono spesso essere assaporate in privato, perché pochissimi spettatori apprezzano i film abbastanza da lasciare un segno al botteghino. È ancora così, anche per quei film che hanno fatto man bassa di premi a livelli inimmaginabili per i film di paesi vicini, anche molto più grandi.

Prendiamo ad esempio Revenge of the Pontianak di Glen Goei e del malaysiano Gavin Yap: questo film non si è nemmeno preso la briga di aspettare l’approvazione del botteghino nazionale, e praticamente è andato dritto su Netflix dopo una tenitura nazionale molto limitata. Era come se i cineasti pensassero: “Perché preoccuparsi? Se non vi siete appassionati alle nostre allusioni l’ultima volta (per The Blue Mansion, 2009), non staremo ad aspettare di vedere se ci riuscirete stavolta!”
Certo, ci deve essere un’allegoria da qualche parte. Quando i cineasti dichiarano solo due date nel loro film, meglio fare attenzione. Le date sono il 1965 (indipendenza di Singapore) e il 1956 (anno in cui la Malaysia annunciò che avrebbe ottenuto l’indipendenza nel 1957, e questo annuncio lo si vede nel film).
All'interno di questa cornice si sviluppa il melodramma horror di una donna non amata che viene uccisa e ritorna sotto forma di pontianak (vampiro femmina) quando l’amante si sposa con un’altra donna. Il mito della pontianak di solito implica anche un bambino morto o non nato (nota: anak in lingua malese significa bambino), e ovviamente ce n’è uno anche qui: la donna morta era incinta di un feto vivo, che è cresciuto ed è diventato un ragazzo.
Nella scena migliore del film, la pontianak accarezza la guancia morbida del figlio con la mano insanguinata e gli artigli affilati, e il figlio la riconosce come sua madre. È una scena di separazione necessaria per la narrazione, e tuttavia colma di tenerezza e amore. Si notino le date indicate: il 1965 è stato l’anno dell’indipendenza di Singapore e della “separazione” dalla Malaysia. Qui sta il punto: quella separazione politica storicamente traumatica, simboleggiata in questo film, non era colma di altrettanta tenerezza! Inoltre, dispiace dirlo, a questo film avrebbe fatto bene un po’ di trauma in più! 

Passando a Wet Season di Anthony Chen, ci troviamo davanti a un film gravido (sic) di motivi allegorici. Il film è infarcito di notiziari sulle proteste di strada della Malaysia che chiedono le dimissioni del primo ministro. L'attrice protagonista Yeo Yann Yann è malaysiana e interpreta una donna malaysiana sposata con un uomo di Singapore. Se si considera la società di Singapore come sterile, salta agli occhi il gioco di ruolo freudiano. L’attore protagonista, Koh Jia Ler, che interpretava il figlio nell’opera prima di Chen, Ilo Ilo (2013), ha nuovamente una relazione amorosa con Yeo Yann Yann, l’attrice che interpretava sua madre in Ilo Ilo e che in Wet Season fa l’insegnante. Non è certamente sterile (si pensi alla fine del film) e senz’altro non si tratta di un’esercitazione… Si potrebbe anche sostenere la tesi di un rapporto sessuale tra Singapore e Malaysia, ma non spingiamoci fino a questo punto. 
Alcuni lo descriverebbero come un film “essenzialmente accorato” ma è davvero un melodramma televisivo che tradisce alcune solerti ambizioni artistiche. Un’insegnante desidera disperatamente un figlio dal marito lontano, che la lascia soltanto per prendersi cura del padre malato. Lei ha una relazione con uno studente che alla fine la convince a tornare alle sue radici malaysiane. Il tema del tempo piovoso non è mai stato utilizzato con altrettanta efficacia in un film di Singapore: solo Tsai Ming-liang (che è malaysiano) ha fatto di meglio, in The Hole – Il buco (1998). Parlando di allegorie, la pioggia in Wet Season spegne qualsiasi incendio che potrebbe accendere questo film – la passione, il sesso e sì, persino la rivoluzione. Devi tornare in Malaysia, baby, se vuoi vedere un cambio di governo.

Lo scorso anno sono usciti in sala circa nove film di produzione locale, lo stesso numero del 2018, ma alcuni di essi non sono stati realizzati espressamente per il grande schermo. Ad esempio, From Victoria Street to Ang Mo Kio di Eva Tang era un documentario commissionatole dalla sua alma mater, la scuola femminile St Nicholas, per l’85° anniversario. Allo stesso modo, Unteachable di Yong Shuling è un pluripremiato documentario sul sistema educativo che cercava una distribuzione in sala. Revenge of the Pontianak era fondamentalmente un film realizzato per Netflix.
Gli altri film erano opera dei soliti sospetti. L’attore comico Mark Lee ha diretto il suo primo film da regista, Make It Big Big, per il pubblico del Capodanno cinese. Il campione del botteghino Jack Neo è tornato con Killer Not Stupid, un film d’azione. Entrambi i film sono andati malissimo, proprio come la storia d’amore e di zombie di Han Yew Kwang When Ghost Meets Zombie.

Se chi legge pensa che Singapore tenda verso un cinema più o meno sempre uguale a se stesso, va detto che questo concetto ha un suo corrispettivo speculare sul fronte della politica cinematografica. Nel dicembre 2019 il governo ha costituito il Consiglio Consultivo Internazionale dei Media, formato da quelli che il governo considera i pesi massimi dell’industria dell’intrattenimento: i componenti appartengono a Netflix, Disney Asia, iQIYI e persino alla Formula Uno! Il gruppo si riunirà una volta all’anno per concentrarsi sull'industria asiatica dei contenuti, che da qui al 2024 avrà un valore potenziale di 4,4 miliardi di dollari statunitensi.
Questa evoluzione riflette il piano del governo di stanziare 14,7 milioni di US$ per fondi di coproduzione, in modo da rendere Singapore un soggetto chiave all’interno dei fondi per i media più performanti. Siamo assediati ogni anno da una serie di iniziative analoghe dedicate al cinema, che risalgono alla fondazione della Singapore Film Commission nel 1998. Di tanto in tanto, nel circuito festivaliero, può capitare di imbattersi in alcuni dei “pesi massimi dell’industria dell’intrattenimento” che un tempo facevano parte di tali comitati consultivi di Singapore, e che chiedono sempre di non essere citati...

Frattanto, il pluripremiato A Land Imagined (2018) di Chris Yeo ha avuto una distribuzione limitata nelle sale, prima di essere reso disponibile su Netflix. Lei Yuan Bin, anche lui della scuderia 13 Little Pictures, ha fatto uscire Dream of Singapore, quasi un documentario da affiancare a A Land Imagined. Nel documentario, un lavoratore migrante del Bangladesh, ferito, viene rimpatriato e pensa ai bei tempi e agli amici che si lascia alle spalle. Si può scegliere di immaginare o sognare quale tra i due film sia il più reale.

Una caratteristica tutta particolare dei film di Singapore è la tendenza a trovare una loro nicchia all’estero prima di inseguire il successo nel mercato interno. È il caso, ad esempio, di Jimami Tofu (2017) di Jason Chan e Christian Lee, che ha ricevuto un premio del pubblico alle Hawaii prima di ingranare a livello locale con proiezioni singole. Il film continua a essere proiettato almeno una volta alla settimana all’interno del circuito cinematografico.

L’ultimo film di questo excursus, Repossession di Goh Ming Siu e Chris Chong Hillyard, lo scorso anno è stato presentato in anteprima al Cinequest Film Festival negli Stati Uniti, e successivamente al Five Flavours Asian Film Festival in Polonia, ma a Singapore non è ancora uscito in sala. Repossession, che ricalca il modo in cui Audition (1999) di Miike Takashi cambia le carte in tavola a metà del percorso, si pone come un horror psicologico. Il film inizia come un dramma familiare, con un dirigente cinquantenne che viene licenziato. Il suo tenore di vita pieno di vizi e capricci precipita inesorabilmente verso il basso, soprattutto perché non riesce a dire alla moglie spendacciona che ha perso il lavoro.
Come in Audition, a poco a poco nel film vengono inseriti elementi horror che poi prendono il sopravvento. Si vorrebbe che Repossession diventasse totalmente e completamente fuori di testa, come il film di Miike, ma ahimé questo non accade. L’attore protagonista Gerald Chew lo spiega benissimo: “Tutto a Singapore è altamente regolamentato quindi, in questo senso, bisogna seguire le regole a livello sociale, emotivo e psicologico. Bisogna stare al gioco, altrimenti si è fuori”.
Forse questo è un tema entusiasmante per il cinema di Singapore, fuori da Singapore.
 
Post Scriptum 2020
All’inizio dell’anno nessuno poteva immaginare la strage al botteghino che la diffusione del coronavirus avrebbe provocato nel mondo intero. Mentre è risaputo che la Cina ha chiuso le sale cinematografiche per tre mesi, le cattive notizie sul cinema di Singapore non sono state divulgate. Fonti del settore affermano che quando nessuno compra i biglietti gli spettacoli vengono semplicemente cancellati. Le sale cinematografiche iniziano le proiezioni più tardi, poco prima dell’ora di pranzo, mentre in precedenza iniziavano dopo la prima colazione. Anche le produzioni cinematografiche sono state rinviate. Il premiato produttore con sede a Singapore Fran Borgia conferma che la produzione del film d’esordio di Jow Zhi Wei, Tomorrow Is a Long Time, è stata posticipata agli ultimi mesi dell’anno. You Are There, di Nicole Midori Woodford in coproduzione con Jeremy Chua, in cui sono previste delle scene in Giappone, doveva essere girato in giugno ma la lavorazione è stata rinviata a fine anno.
È a repentaglio la presentazione a Singapore di Repossession di Goh Ming Siu e Chris Chong Hillyard; è interessante notare che, a causa dell’uscita ritardata, il film avrà una risonanza emotiva maggiore. L’orrore cupo della disoccupazione che deve affrontare il protagonista è esattamente quello che stanno affrontando settori significativi della forza lavoro singaporese.
Philip Cheah