Watanabe Hirobumi, poeta comico del quotidiano

Sono molti i film giapponesi ambientati in campagna, ma pochi i registi giapponesi che provengono dalle loro location di provincia; uno di questi è Watanabe Hirobumi, che è nato, cresciuto e vive tuttora a Otawara, una cittadina della Prefettura di Tochigi, nel Giappone settentrionale, che non è esattamente un’attrazione turistica o un luogo ameno. L’agricoltura è la principale attività e il suo paesaggio è piuttosto piatto e anonimo. 
Eppure per sette film, a partire dalla sua opera prima And the Mud Ship Sails Away... del 2013, Watanabe ha trasformato Otawara nel centro di un universo cinematografico particolare e del tutto personale, anche se nella sua estetica in bianco e nero, nell’atteggiamento punk e nell’umorismo eccentrico ricorda il primo Jim Jarmusch. 

Watanabe lavora a stretto contatto con il fratello minore Yuji, che ha scritto le colonne sonore di tutti i suoi film. La musica, che spazia dai classici cavalli di battaglia a sinistri rumori elettronici, spesso fornisce un ironico contrappunto all’azione sullo schermo, come quando un aumento dei livelli di tensione sonora si contrappone alla banale routine quotidiana del protagonista. 
E quella routine può rivelarsi davvero prosaica: in 7 Days del 2015 Watanabe interpreta il corpulento protagonista che faticosamente arranca tra campi, lungo un sentiero battuto dal vento che porta alla stalla in cui lavora e poi faticosamente rientra, senza proferire parola, un giorno dopo l’altro. Lo scopo non è tanto di mettere alla prova la pazienza del pubblico quanto piuttosto di trovare una bizzarra poesia visiva all’interno della routine quotidiana, ripresa con rarefatta e calibrata bellezza dal direttore della fotografia coreano Bang Woo-hyun, che collabora abitualmente con Watanabe.     

In Poolside Man, del 2016, e Party ‘Round the Globe, del 2018, Watanabe ha interpretato l’antagonista chiacchierone di un protagonista della classe operaia impersonato dal suo amico di lunga data Imamura Gaku. Mentre Imamura guida con espressione impassibile, Watanabe pronuncia un monologo pieno di osservazioni esilaranti che suggeriscono una sua eventuale carriera alternativa come cabarettista.
Nel 2018, in Life Finds a Way, Watanabe ha interpretato una versione leggermente distorta di se stesso: un regista indipendente di Otawara, che mentre cerca di finire una sceneggiatura e raccogliere fondi per il suo prossimo film, esprime opinioni su qualunque cosa, dai critici cinematografici (che detesta), alla musica della band Triple Fire (che adora e che ha fornito la colonna sonora del film).  
Nel 2019, il film Cry, con cui Watanabe ha ottenuto il premio per la miglior regia al Tokyo International Film Festival, nella sezione Japanese Cinema Splash, segna il ritorno al minimalismo comico e cupo di 7 Days. Il protagonista (ancora una volta Watanabe) stavolta non si occupa di mucche, bensì di maiali, ma è sempre schiavo della routine, nonché il silenzioso compagno della sua anziana e paziente nonna (altra collaboratrice fissa di Watanabe, deceduta nel 2019 all’età di 102 anni).  

Il film più recente, I’m Really Good, è incentrato su tre bambini: la decenne Riko, il suo fratello maggiore Keita e la sua migliore amica Natsumi. La vicenda si sviluppa tutta nel corso di un’unica giornata, e comprende l’incontro di Riko con un losco venditore ambulante (interpretato dallo stesso Watanabe) che le propone un ottimo affare per i libri scolastici; ma quando lei gli riferisce che il suo papà è un poliziotto, lui batte velocemente in ritirata. Interpretato da attori non professionisti che portano il loro vero nome, il trio protagonista del film si comporta esattamente come i bambini di tutto il mondo, con un fascino del tutto naturale. 
Come negli altri film del regista, in I’m Really Good le barriere culturali praticamente non esistono; e c’è tutta Otawara – e Watanabe, ovviamente – in ogni inquadratura.
Mark Schilling