Potere e segreti: il mondo cinematografico di Yoon Jong-bin

Il regista Yoon Jong-bin ha realizzato, ad oggi, cinque lungometraggi a partire dal suo esordio, avvenuto nel 2005 con il premiato The Unforgiven. In questo lasso di tempo è assurto alla posizione di uno dei cineasti più influenti dell’industria cinematografica coreana attuale. Potrebbe sembrare strano fare un’affermazione del genere su qualcuno che è stato invitato già due volte a Cannes, ma il suo ruolo centrale nel cinema coreano contemporaneo deve ancora essere pienamente riconosciuto a livello internazionale. Questo speciale focus, “Potere e segreti: il mondo cinematografico di Yoon Jong-bin”, si pone l’obiettivo di dare al pubblico l’opportunità di immergersi più a fondo nell’opera di questo singolare regista.  

Per la maggior parte degli autori che hanno lo stesso tipo di esperienza, il termine “mondo cinematografico” potrebbe sembrare un po’ troppo altisonante. Dopotutto, quanta parte di un mondo può essere inglobata in soli cinque film? Nel caso di Yoon, però, la descrizione è calzante. C’è un elemento di ampio respiro nelle sue storie: anche se ambientato in un particolare momento o luogo, o incentrato su un gruppo ben definito di personaggi, ciò che lui racconta ci apre gli occhi su qualcosa di molto più vasto. 

Prendiamo, ad esempio, The Unforgiven, il film d’esordio di Yoon, girato in 35mm con un budget ridotto per soddisfare i criteri della facoltà di cinematografia della Chung-Ang University per la tesi di laurea del regista.  , che racconta le esperienze di due giovani uomini durante i due anni del loro servizio militare obbligatorio ed è interpretato dal futuro divo Ha Jung-woo, al suo primo ruolo da protagonista, mostra come questi due amici, che per caso si sono ritrovati insieme da commilitoni, si allontanino sempre di più a causa dei loro nuovi ruoli e delle pressioni subite. La storia non è però la semplice rappresentazione delle loro esperienze individuali: mostra anche, nei minimi dettagli, le strutture di potere, i metodi di ingerenza delle forze armate e il modo in cui chi non si adatta al sistema diventa oggetto di violenza. 

Alla sua anteprima al Busan International Film Festival, i critici hanno apprezzato il film non solamente per i suoi punti di forza a livello drammatico, ma anche perché rappresenta una specie di Stele di Rosetta che permette la comprensione dei vari aspetti della mascolinità coreana. I giurati FIPRESCI, che gli hanno dato il premio principale, hanno scritto: “Attraverso la sua straziante descrizione della violenza psicologica inflitta ai giovani coreani durante il servizio militare obbligatorio, la pellicola indipendente di Yoon offre un nuovo approfondimento sulle caratteristiche nazionali coreane.

 

Realizzato in uno stile intimo e naturalista, The Unforgiven insinua che la violenza repressa che esplode in film di intrattenimento popolare altamente stilizzati come A Bittersweet Life e Old Boy può affondare le proprie radici nella brutalità inflitta attraverso la disciplina militare e una struttura sociale autoritaria – elementi magari già tramandati dalla società coreana nel suo complesso, che però si riflettono anche sulla vita in caserma”. I giurati del NETPAC, che hanno premiato anch’essi il film, hanno elogiato “la sua riflessione critica sulla ‘mascolinità’ presente non solamente nella Corea del Sud o in ambito militare, ma nella società contemporanea in generale”. 

Nella sua opera seconda, Yoon ha rivolto la sua attenzione verso l’esclusivo quartiere della vita notturna di Seoul, Cheongdam-dong. Beastie Boys (talvolta menzionato col titolo The Moonlight of Seoul) è incentrato su due uomini che lavorano come gigolò in esclusivi club privati. In quest’industria, gli uomini vengono assunti per far bere e intrattenere clienti donne con grosse disponibilità economiche. Ha Jung-woo e Yoon Kye-sang interpretano personaggi che rimangono intrappolati in un’economia spietata nella quale l’intimità sembra essere oggetto di compravendita ed è inevitabile, in simili ambienti, che il denaro inizi a interferire in qualunque genere di rapporto.  

Nameless Gangster: Rules of the Time ha segnato il successo commerciale di Yoon, con 4,7 milioni di biglietti venduti al botteghino coreano. Choi Min-sik (Old Boy) veste i panni di un doganiere di Busan che scopre un nascondiglio di metanfetamine, e questo è il punto di partenza per la sua scalata nel mondo della criminalità. Nell’ambito dei film sulla malavita, siamo abituati a storie che narrano la drammatica ascesa e caduta all’interno di un’organizzazione attraverso  l’efferatezza e l’assunzione di rischi altissimi. Ma in questo caso la storia è diversa; il protagonista interpretato da Choi raggiunge il suo obiettivo attraverso una combinazione di sfrontatezza e di continuo sfruttamento dei rapporti familiari e dei clan. Anche se ambientato tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, il film evidenzia una tendenza profondamente radicata all’interno della società coreana, nella quale si fa leva su famiglia e legami scolastici o sociali per trarne dei vantaggi a livello personale.  

Kundo: Age of the Rampant per certi versi sembra distaccarsi dal resto della filmografia di Yoon. Ambientato verso la metà del diciannovesimo secolo durante la dinastia Joseon, è incentrato su un macellaio di basso rango (Ha Jung-woo) che, per una tragedia personale, viene spinto a unirsi al Kundo, un gruppo di banditi che hanno nel mirino le classi aristocratiche e condividono la loro ricchezza con la gente comune. Yoon afferma di aver deliberatamente evitato di dipingere il protagonista come un eroe. “Non si tratta di persone speciali o di talento, ma di persone comuni che però sono in grado di cambiare il mondo, soprattutto se si coalizzano”, ha dichiarato alla conferenza stampa del film nel 2014. Il film, che per la sua realizzazione aveva a disposizione un budget importante, offre spettacolarità e divertimento commerciale e allo stesso tempo esplora questioni legate alla ricchezza e alla diseguaglianza.

L’opera più recente di Yoon, The Spy Gone North, è stata proiettata alle Séances de Minuit del festival di Cannes nel 2018. Tratta da una stupefacente storia vera degli anni Novanta, descrive con dovizia di particolari le vicende di un agente dell’intelligence sudcoreana il quale, per un incarico sotto copertura, assume l’identità di un uomo d’affari che cerca di instaurare rapporti con la Corea del Nord. Il suo obiettivo è in realtà quello di scoprire di più sul programma nucleare segreto nordcoreano. Muovendosi andando e indietro tra Seoul, la Cina e la Corea del Nord, il film scava sempre più profondamente nella vera natura delle relazioni tra le due Coree e nella volontà della classe politica di sfruttare qualunque situazione a proprio vantaggio. Negli ultimi anni, sono diversi i film sudcoreani che hanno indagato sui rapporti tra la Corea del Nord e la Corea del Sud, ma nessuno di essi lo ha fatto con la complessità e l’approfondimento di The Spy Gone North.

Considerati nel loro insieme, i film di Yoon offrono una prospettiva caleidoscopica su vari aspetti della società coreana dal punto di vista contemporaneo e storico. La capacità del regista di intrattenere lo spettatore e nel contempo di scavare a fondo per svelare le dinamiche insite in diverse questioni sociali e politiche, aggiunge ulteriore profondità ai suoi film. Col progredire della sua carriera, Yoon è diventato anche attivo come produttore e ha lavorato dietro le quinte per la realizzazione di film di successo come A Violent Prosecutor (2016), Money (2019) e The Closet (2020). Per questo è un regista che non può essere ignorato da chiunque abbia un serio interesse nei confronti del cinema coreano contemporaneo.

Darcy Paquet