Al di là dello specchio oscuro: visioni di Manila nel cinema filippino

Molti, soprattutto tra gli stranieri, sono ossessionati da fantasie su Manila. La capitale storica delle Filippine è spesso vista come compendio di tutti i mali, con tutti i peccati del mondo che si concentrano in una grande città. In una simile percezione può esserci in parte del vero, ma la realtà è ovviamente più complessa. Questo modesto programma di cinque film su “Metro Manila” vuole offrire una percezione più realistica di questa città dalle tante sfaccettature, com’è vista da chi è dentro alle cose, ossia i cineasti filippini, senza pregiudizi.

Manila by Night (a.k.a. City After Dark) è uno dei film più (tristemente) famosi sui “misteri notturni” della città, nonché uno dei più noti di Ishmael Bernal, insieme a A Speck in the Water (1975) e Miracle (Himala, 1980). Manila by Night racconta la vita notturna di un gruppo eterogeneo di persone nei quartieri a luci rosse di Ermita e Malate, lungo la baia di Manila, verso la fine dell’era Marcos (quando, per quanto possa sembrare paradossale, c’era una certa tolleranza per il sesso e gli emarginati). Attraverso vari personaggi che gravitano nell’area della baia (tema ripreso in modo molto personale da Mario O’Hara nel 2003 in Woman of the Breakwater*) e tra i bar di piacere e i luoghi del divertimento di Malate, Bernal coglie l’essenza stessa della notte, così com’era all’epoca, con un cast azzeccatissimo di ottime attrici come Charito Solis, Alma Moreno, Lorna Tolentino, Rio Locsin, Cherie Gil e così via. 

La complessa relazione tra questi personaggi, immersi in un mondo di sesso e di droga, costituisce l’invito che Bernal rivolge al pubblico a diventare testimoni privilegiati di quella particolare City After Dark (“città dopo il tramonto”). Il titolo originale del film è Manila by Night, ma a quanto si dice il titolo sconvolse l’ente della censura, e soprattutto la First Lady dell’epoca, Imelda Marcos, la quale sosteneva che la menzione di Manila nel titolo avrebbe messo in cattiva luce la “sua” città e l’intero paese ai festival internazionali. 

Per questa ragione il titolo venne modificato in City After Dark e i produttori furono costretti a tagliare le scene più “sordide” per poter distribuire il film. La versione che viene presentata al FEFF è la versione originale restaurata di due ore e trenta minuti, grazie al Film Development Council of the Philippines (FDCP).  

Un altro film emblematico di quell’epoca passata è Manila in the Claws of Light (o anche of Neon) di Lino Brocka, realizzato nel 1975, appena un anno prima del superbo Insiang. Scritto da Edgardo Reyes (autore del romanzo) e Clodualdo “Doy” del Mundo Jr, il film è l’ennesima immersione nella cruda realtà di Manila, ambientata stavolta perlopiù a Binondo (o Chinatown), attraverso le vicende di Julio Madiaga (Bembol Roco, una vera rivelazione), un pescatore che si reca in città alla ricerca del suo primo amore, Ligaya (Hilda Koronel). Com’era prevedibile, Julio diventa preda di gente senza scrupoli, e di una città dove la prostituzione e la disumanità sono fin troppo comuni. La sua ribellione innesca un finale potente che è tipico dello stile di Brocka. Il film, che si avvale dell’elegante fotografia di Mike de Leon e Doy del Mundo e vanta una narrazione mozzafiato, prefigura un’altra pietra miliare nella filmografia di Brocka, Macho Dancer (1988), un altro viaggio nel gioco di luce e di ombra dei famigerati bar gay di Manila (ora quasi del tutto scomparsi).  

Trent’anni dopo il film di Brocka, Brillante Mendoza, maestro dei film iperrealistici di oggi, ci porta nel moderno Quiapo, uno dei quartieri più sovrappopolati e marginali di Manila, con Slingshot (a.k.a. Tirador, 2008). Il film, che è ambientato durante la Settimana Santa, con la famosa traslacion del Nazareno Nero (Cristo) nei pressi della chiesa di Quiapo, segue i destini di quattro ragazzi impegnati a sopravvivere nel difficile periodo elettorale. La corruzione è ai massimi livelli, sia tra i politici che desiderano essere (ri)eletti che tra i criminali comuni di bassa lega. Slingshot, che racconta di dura sopravvivenza nei bassifondi e di vite che oscillano tra violenza quotidiana e sesso occasionale, è un ottima testimonianza di ciò che accade a Quiapo.      

In tempi più recenti, un film simile è Neomanila (2017) di Mikhail Red, un’altra esperienza allucinante nella Manila più misera, in cui un ragazzo è il protetto di un’assassina che diventa la sua madre surrogata e lo addestra a diventare un killer, per sfuggire ad altri banditi. Neomanila, che si avvale dell’ottima fotografia di Mycko David, è una testimonianza della violenza di strada nel periodo della cosiddetta “guerra alla droga” scatenata dal presidente Duterte a partire dal 2017 e costata migliaia di morti.   

Metro Manila di Sean Ellis (2013) è la storia di una famiglia indigente che emigra nella capitale per trovare lavoro e finisce vittima dell'avidità e della tratta di esseri umani. I loro sogni, come accade a migliaia e migliaia di persone che emigrano dalla provincia, si infrangono contro il muro di una vita urbana spietata, ripresa questa volta da una prospettiva straniera da Sean Ellis, regista britannico.  

Ci auguriamo che il pubblico voglia intraprendere questo modesto viaggio al di là dello “specchio oscuro” per andare alla scoperta delle diverse sfaccettature di Manila!    

* Woman of the Breakwater doveva far parte della retrospettiva prevista nell’ambito del  FEFF24, ma sfortunatamente non è disponibile. Lo stesso dicasi per The Film Biker (Lagarista, 2000) di Mel Chionglo.
Max Tessier