Essere iconoclasti nella cultura moderna è piuttosto fico: si tratta di individualisti convinti, pensatori audaci che sfidano le norme culturali e si aprono percorsi del tutto personali. Nell’Europa medievale, invece, gli iconoclasti erano più che semplici anticonformisti e rischiavano di essere accusati di eresia. Prendendo in esame la perturbazione culturale, sia che si venga considerati una celebrità sia un normale venditore ambulante, la sezione documentari del FEFF di quest’anno esplora il potere del genio cinematografico, il potere della celebrità e quello della dissidenza politica come elementi che portano al cambiamento. Il filo che unisce tutti questi film è la ricerca della verità e della propria essenza profonda. In altre parole, siamo tutti poveri mortali su un microscopico granello che vaga nell'universo e prima che ce ne rendiamo conto, il nostro tempo è finito. Quindi, cerchiamo di sfruttarlo al meglio e lasciare il segno prima di ritornare tutti polvere.
Si parte con Citizen K (per la regia di Yves Montmayeur), un documentario del 2020 su una delle figure culturali più iconiche del Giappone, Takeshi Kitano. Da ragazzo di strada a giovane comico e poi ancora eminente incarnazione della yakuza sul grande schermo e autore celebrato, Kitano-san è onnipresente nel cinema giapponese, soprattutto come elemento di esportazione culturale che incarna la ferocia violenta, gelida e controllata di cui sono imbevuti i suoi molti personaggi cinematografici. Le sue radici comiche e la sua costante celebrità televisiva in patria dipingono però un personaggio completamente diverso, un maestro della commedia verbale, un critico culturale e un personaggio onnipresente negli spot pubblicitari giapponesi. Kitano-san è l’eminente celebrità di un’epoca passata. Rendergli omaggio in questa edizione del FEFF e averlo come ospite rappresenta veramente un momento topico nella vita di questo storico festival.
Nel suo documentario Fanatic, la regista coreana Oh Seyeon si mette in prima linea in quanto fan (quasi una stalker) pentita del K-Pop. Particolarmente agguerrita all’interno del fandom, si è sentita tradita quando l’idolo del K-Pop per il quale aveva avuto una devozione incondizionata è caduto in disgrazia dopo essere stato coinvolto in uno scandalo. Come forma di terapia, la regista Oh ha iniziato questo progetto per un senso di ripicca che alla fine si è rivelato curativo, rivelando conversazioni con amici e altri ex fan che sono molto sincere, contemplative e a tratti spassose.
Kim Jong-boon of Wangshimni del regista Kim Jin-yeoul esplora un altro aspetto della Corea del Sud, il periodo delle tumultuose proteste politiche avvenute alla fine degli anni Ottanta, quando decine di migliaia di cittadini, principalmente studenti universitari, andarono in piazza a protestare per ottenere riforme democratiche e maggiori diritti civili e per contrastare il pugno di ferro di un regime corrotto. La vicenda è incarnata dal lavoro e dalle battaglie di una bonaria venditrice ambulante di nome Kim Jong-boon, che trent’anni prima si era opposta al regime rivelando l’insabbiamento dei massacri da esso perpetrati, dei quali era rimasta vittima anche sua figlia. Jong-boon è stata determinante, insieme a molti cittadini comuni che hanno dato un volto al movimento che mirava a rovesciare un governo corrotto, nel momento chiave in cui i mass media potevano essere utilizzati come veicolo per il cambiamento.
Passiamo poi a Hong Kong tornando a una delle principali icone dell’industria cinematografica hongkonghese, l’attrice, cantante e influencer Josie Ho. Come tutti, quando si raggiunge la mezza età si guarda indietro al proprio passato e si ripensa a come dovrebbe essere il proprio futuro. In Finding Bliss: Fire and Ice – The Directors’ Cut, i registi Kim Chan e Dee Lam seguono Josie e il suo seguito a un ritiro spirituale alla ricerca della “felicità” che li porta a fare un viaggio dalla mite Hong Kong a un’invernale Islanda, mentre Josie e i suoi amici frequentano quelle che sembrano delle sessioni “New Age”, ma alla fine l’argomento del film è lo stare insieme e farsi delle grasse risate. Il documentario è un affascinante videodiario di questa ricerca che, per quanto frivola possa essere, è qualcosa che tutti noi intraprendiamo per giungere a uno stato di pienezza e di riflessione quando passiamo a un livello esistenziale successivo. Un’ulteriore chicca quest’anno è che la stessa Josie Ho sarà presente, cosicché sarà facile imbattersi nella superdiva per le vie di Udine.
Il nostro ultimo documentario ritorna al Giappone e si concentra su un altro iconoclasta che ci è stato portato via in modo decisamente prematuro (accidenti al cancro!). Satoshi Kon: The Illusionist, per la regia di Pascal-Alex Vincent, è incentrato soprattutto sull’opera del compianto Kon Satoshi, che proteggeva con accanimento la sua vita privata. Vincent lascia che a parlare sia l’opera di Kon, i cui film vengono spesso paragonati all’arte assurdista, surrealista e onirica di David Lynch e Terry Gilliam. Fonte di ispirazione per registi famosi in tutto il mondo come Darren Aronofosky e Christopher Nolan, Kon Satoshi rappresentava un’icona culturale che era all’apice della carriera e di cui la nostra cultura è stata privata quando ha ceduto alla sua malattia terminale nel 2010.
Nel suo complesso, la sezione documentari del FEFF di quest’anno analizza icone, idoli, iconoclasti e culture che permeano i film presentati anno dopo anno a Udine. Sono gli alfieri del cinema asiatico che ci onorano dallo schermo del Teatro Nuovo, nei Blu-ray o nei DVD che potreste avere comprato nel foyer del teatro, o nelle vecchie VHS o VCD piratati che potreste custodire in casa, chiuse in un armadio,
In ogni caso, questi documentari, assieme al programma generale del FEFF, continuano ad alimentare questo forum per i cineasti di tutto il mondo, rendendo questa edizione, in cui ci riuniamo tutti per celebrare il cinema asiatico, veramente molto speciale.
Anderson Le