Le strane coppie

“Love is a Souvenir” – Tears for Fears

Sulla scia del programma Le strane coppie 1 del 2019, l’edizione di quest’anno continua a interrogarsi sulle fonti di ispirazione, il dialogo e le reazioni tra film dell’Asia e dell'Occidente. Tuttavia, Le strane coppie 2: “Love is a Souvenir” adotta un approccio diverso ma complementare, analizzando la rappresentazione dell’Asia nel cinema occidentale attraverso il tema onnicomprensivo dell’amore interrazziale.

Tradizionalmente l’amore tra razze diverse è stato un tabù per il cinema hollywoodiano, che ha rispecchiato la traiettoria del razzismo, dal meticciato al suprematismo bianco e alle pratiche anti-immigrazione contemporanee, che hanno prevalso nella società americana e nel suo sistema legale sin dalla nascita della nazione.

Nel cinema occidentale le relazioni interrazziali coinvolgono prevalentemente maschi caucasici e femmine asiatiche, un esotismo “orientalista” più accettabile che deriva dalla letteratura e dalle arti sceniche del XIX secolo (ad esempio Turandot e Il Mikado). 

La relazione tra una femmina caucasica e un maschio asiatico è rara, in conseguenza della fallofobia e della paura dell’Altro, e della necessità di fermare l’empowerment dei non bianchi. Lo si vede bene ne The Cheat (I prevaricatori, 1920), in cui Sessue Hayakawa (primo divo asiatico del cinema americano) è accusato di aver violentato una donna caucasica dell’alta società; e in molti altri film dell’era del muto che demonizzano il maschio asiatico come cinese malvagio e intrigante o “Fu Manchu”.

In margine: in questo programma si ritrovano due dei tre principali attori asiatici americani di Hollywood. Hayakawa è stato il primo, nell’era del muto; James Shigeta è stato il secondo, alla fine dello studio system hollywoodiano; e John Lone è stato il terzo, negli anni Ottanta, quando l’identità asiatica americana è entrata a far parte della coscienza di massa e Hollywood riesaminava la propria interazione con la narrativa cinese (L’ultimo imperatore e L’impero del sole).

Per analizzare l’estetica alternativa e contraria all’ideologia dominante, questo programma presenta due coppie di film.

Amore in tempo di guerra
Hiroshima mon amour / Ponte verso il sole

Hiroshima mon amour (1959) di Alain Resnais è un classico della Nouvelle Vague francese che racconta la storia d’amore tra un uomo giapponese e una donna francese (Emmanuelle Riva), perseguitati dai ricordi della seconda guerra mondiale: per lui è la memoria della distruzione atomica della sua città, per lei è invece lo stigma del collaborazionismo nazista, a causa della sua relazione con un soldato tedesco. Notevolissimo all’epoca nell’affrontare due stigma insieme, quello dell’amore interrazziale e quello della collaborazione con il nemico (in realtà non con uno ma con due nemici degli alleati durante in guerra, ovvero tedeschi e giapponesi), il film di Resnais è una delle prime rappresentazioni postmoderne degli asiatici nel cinema europeo.

Hiroshima mon amour era un film d’essai, acclamato per la sua contemplazione della condizione umana: è sorprendente quindi scoprire che esiste una risposta hollywoodiana al film, realizzata da un altro europeo, il regista belga Étienne Périer, che da giovane era stato ingaggiato dalla MGM per girare due film. Il suo Ponte verso il sole (1961) è basato sulla storia vera (e sull’autobiografia) di una bionda texana che incontra e sposa un diplomatico giapponese a Washington DC nei primi anni Trenta e poi si trasferisce a Tokyo durante la guerra. 

Assolutamente atipico per i film degli studios di quel periodo, Ponte verso il sole sembra riconducibile a tre obiettivi di fondo: contrastare il rafforzamento della sinistra giapponese e del sentimento anti-americano per la presenza continuativa di basi militari statunitensi in Giappone all’epoca della produzione del film; capitalizzare il prestigio dello studio e le opportunità di mercato dopo il plauso della critica raccolto da Hiroshima mon amour; promuovere la carriera in ascesa di un raro protagonista asiatico-americano, James Shigeta, scelto per interpretare il diplomatico giapponese.

Amore in città
Il kimono scarlatto / L’anno del dragone

Il kimono scarlatto (1959) di Sam Fuller è una delle opere più sottovalutate dell’anticonformista regista americano. È stato il primo film di James Shigeta (nel ruolo di protagonista) ed esibisce lo stile esplosivo e il virtuosismo inconfondibile di Fuller. Shigeta e Glenn Corbett sono due investigatori che indagano sull’uccisione di una spogliarellista nel quartiere giapponese di Los Angeles. Lì incontrano l’artista caucasica Victoria Shaw, e a quel punto il film segue le duplici passioni dell’amore e della trasgressione. Shigeta corteggia la ragazza con il suo garbo educato e la conquista malgrado i tentativi del suo partner caucasico. È uno dei rarissimi casi in cui un uomo asiatico conquista la ragazza (bianca).

Ambientato nella Chinatown degli anni Ottanta, L’anno del dragone rappresenta uno dei due momenti salienti della carriera dell’antesignano interprete asiatico John Lone (terzo nel XX secolo, dopo Hayakawa e Shigeta). Nel ruolo dell’imperscrutabile leader di una gang, Lone viene abbinato all’altrettanto compulsivo Mickey Rourke nei panni del brusco e istintivo detective di New York che gli dà la caccia. L’anno del dragone ripropone l’orientalismo storico del rapporto uomo caucasico/donna asiatica, nella relazione di Rourke con l’affascinante giornalista televisiva Ariane Koizumi (che interpreta una giornalista cinoamericana), ma è degno di nota anche per il sottotesto omosessuale tra il cacciatore e la preda. Ampiamente criticato dalla comunità asiatica americana, indignata per la rappresentazione dei cinesi e della Chinatown di New York quando è uscito, a metà degli anni Ottanta, L’anno del dragone è una fonte di incanto inesauribile e può essere considerato un elemento della “Trilogia americana” del compianto Michael Cimino, composta da I cancelli del cielo, Il cacciatore e L’anno del dragone, tutti film in cui il “pellegrinaggio del cristiano” è guidato dall’avidità, dal razzismo e dalla violenza.

L’amore è un ricordo, ma non è sempre piacevole!

Grazie a Sabrina, Thomas e ai colleghi del Far East Film Festival di Udine per il loro continuo sostegno. Grazie in particolare a Kiki Fung per il grande impegno profuso nel collaborare a mettere insieme questo segmento. Per una piccolissima parte, questo programma riprende “Out of the Shadows: gli asiatici nel cinema americano” da me curato nel 2001 al festival di Locarno, grazie a Marco Müller. A distanza di vent’anni, forti di numerosi successi hollywoodiani e internazionali, gli asiatici americani ora sono usciti dall'ombra e sono saliti alla ribalta.
Roger Garcia