Chi scrive ha intervistato Phạm Gia Quý, conosciuto anche come Erik Pham, sulla situazione del cinema vietnamita. Oltre a essere regista e produttore, Quý è anche co-fondatore della società di produzione locale Spring Auteurs. — Come vede il cinema vietnamita in questo momento? Il cinema vietnamita sta attraversando un’affascinante serie di eventi e si trasforma giorno dopo giorno con cambiamenti e fenomeni del tutto nuovi. Ci sono film di genere che stabiliscono nuovi record al botteghino locale e un numero sempre crescente di opere che si aggiudicano premi ai festival cinematografici internazionali. Il Vietnam è in una posizione davvero interessante, è molto “in”, mi sembra. Negli anni scorsi avevamo grossi problemi perché il pubblico locale snobbava il cinema vietnamita. La frase “Oh, è un film vietnamita, passo” era la reazione comune all’uscita di un nuovo film. La fiducia si costruisce nel tempo, con fatica e partendo dalle opere e dagli autori che sono venuti prima. Credo anche che il Vietnam stia cambiando dal punto di vista culturale: i diversi settori e visioni del mondo sono più collegati di quanto non lo siano mai stati, tanto nel caso del pubblico quanto dei registi. Le informazioni sono più accessibili e circolano più idee e film in grado di ispirare persone che hanno aspirazioni cinematografiche. E tutto questo ha trasformato lo scenario locale.
— È vero che il cinema locale adesso vive una “new wave”? Mi sembra che il Vietnam stia vivendo l’età dell’oro di Hollywood e la nouvelle vague francese messe insieme, con delle peculiarità tutte sue, ovviamente. Da un lato abbiamo blockbuster commerciali come Neighbourly Trilogy di Trấn Thành oppure Bố Già, Nhà Bà Nữ e MAI. Dall’altro c’è una manciata di autori d’essai che hanno vinto alla grande a Cannes, alla Berlinale e a Busan, con film come Inside the Yellow Cocoon Shell, Cu Li Never Cries e Ròm. Sono due mondi contrastanti che possono coesistere. Ma devo dire che tra questi due estremi non ci sono vie di mezzo. Quando i film possono essere solo “mainstream” oppure “d’essai”, diventa difficile ottenere i fondi per la realizzazione di pellicole di genere o di proprietà intellettuali di natura un po’ più sperimentale (che il pubblico potrebbe trovare troppo stravaganti) ed è necessaria una maggiore prudenza nel processo creativo delle produzioni più importanti. Ma la cosa è comprensibile, dal momento che il mercato locale non è poi così vasto. Il rischio di fallimento è considerevole perché non c’è un grande supporto e non ci sono grandi investimenti. Il mercato globale non ha ancora visto alcun progetto in lingua vietnamita in grado di attrarre somme importanti, il nostro Parasite, ad esempio. Le grosse produzioni locali devono rispondere innanzitutto al pubblico vietnamita, e il complesso di proprietà intellettuali per il mercato interno e per quello internazionale sono ancora troppo separate. — Dove può arrivare il cinema vietnamita? E cosa si sta facendo perché raggiunga l’obiettivo? Immagino che con una nuova generazione di pubblico cinematografico in Vietnam, i nuovi cineasti, ognuno con la propria sensibilità, condurranno il cinema vietnamita ad avere una portata più globale, si spera, producendo titoli di grande successo commerciale e acclamati dalla critica in tutto il mondo. Ho avuto una formazione cinematografica negli Stati Uniti e lavoro con vietnamiti da abbastanza tempo per essere fiducioso che i progetti dei registi di nuova generazione siano una forza da non sottovalutare. Varrebbe la pena di rischiare [investendo in questi progetti]. C’è grande serietà nel preparare e confezionare qualcosa che potrebbe funzionare in altri paesi e nel mercato globale. È per questo che io e alcuni miei amici con background e visioni simili abbiamo creato la Spring Auteurs. Siamo partiti mettendo in piedi una comunità su Facebook, e ora siamo una società di produzione vera e propria. Ci concentriamo sulla promozione di un polo per giovani cineasti che stanno iniziando la loro carriera, cercando di trasmettere loro tutto ciò che sappiamo sulla scena internazionale e su quella locale. Desideriamo anche far sì che per loro sia più facile pensare in grande e lavorare intensamente per il futuro del cinema vietnamita.
Con la Spring Auteurs vogliamo creare una new wave di registi che speriamo possano avere successo non solo ai festival ma anche nei mercati cinematografici. Sponsorizziamo spesso iniziative che promuovono i diversi strumenti e conoscenze standard del settore, ma anche approcci diversi all’arte che vengono da tutto il mondo, e ospitiamo workshop di recitazione, sceneggiatura e regia, oltre a proiezioni ed eventi che riuniscono gli addetti ai lavori del settore. Tutti questi sforzi daranno sicuramente frutti in futuro, quando i film che assumono dei rischi saranno una realtà e non solo sogni irrealizzabili. Un giorno, il mondo guarderà al Vietnam e vedrà che può offrire anche qualcosa a metà tra le due nozioni di “cinema d’essai” e “cinema commerciale”.
— Potrebbe dirci qualcosa in più sui vostri progetti? Alla Spring Auteurs stiamo lavorando a diversi progetti che crediamo possano promuovere il Vietnam nel modo più prestigioso possibile. Nel nostro listino abbiamo film, cortometraggi e contenuti a episodi e stiamo lavorando duramente a questi progetti con molti dei nostri collaboratori e talenti. Allo stesso tempo comunichiamo anche con chi ci ha preceduto. Nutriamo la speranza che essi contribuiranno con noi alla costruzione di un brand per nuovi film dal Vietnam e dall’attuale generazione.
Stiamo lavorando allo sviluppo di progetti internazionali, come ci piace chiamarli, dove molti di noi vedono un potenziale ad ampio raggio. Uno di questi del quale posso parlarvi ora è Legend of the Fairy Bugs, un film di animazione che trasporta lo spettatore nell’affascinante mondo di “questi insetti fatati”. Ci sta guidando un team talentuoso di produttori, doppiatori e compositori e speriamo che questo film, un’avventura entusiasmante e genuina, conquisterà un pubblico di tutte le età. Abbiamo un film storico del regista Jay Do che esplora la scena artistica durante il turbolento periodo della fine dell’Indocina. Poi c’è un cortometraggio di Annie Pham che esplora le esperienze di diaspora e il concetto di casa nell’epoca moderna. E questi sono solo alcuni! Non ci sottraiamo alla forza dei cortometraggi, perché sappiamo che è dai corti che possiamo attingere per trovare nuove voci e nuove visioni. Ultimamente, abbiamo anche iniziato a lavorare a dei progetti con il regista thailandese Tanaseth Tulyathan, al quale abbiamo prestato un nostro talentuoso sceneggiatore, Oliver Tran. Uno di questi progetti è Morlam, un corto su un cantante bambino non vedente che deve cantare per affrancarsi dalla gang che lo controlla. Un altro progetto che vi posso menzionare è una serie episodica incentrata su racconti asiatici autentici, che vedrà anch’essa la partecipazione di Tulyathan.