Esaminando il passato: intervista con Mishima Yukiko

La pluripremiata regista Mishima Yukiko che, come dichiara inevitabilmente in ogni intervista, non ha alcun collegamento con il famoso scrittore Mishima Yukio, ha realizzato film di ogni genere, dal cupo dramma familiare Dear Etranger (2017) al docudrama sul periodo del Covid Alone Together (2020); ma nessuno è personale quanto la sua opera più recente, il film antologico Voice.Ispirato e influenzato dalla sua personale esperienza di un’aggressione sessuale subita da bambina, all’età di sei anni a Osaka, il film analizza gli effetti di un trauma e di un senso di colpa che durano una vita, da tre diverse prospettive: quella di un’anziana trans (Carrousel Maki) la cui figlia è morta dopo aver subito una violenza sessuale 47 anni prima, quella di un agricoltore (Aikawa Show, icona dei film sulla yakuza) che deve affrontare la gravidanza non spiegata della figlia che lui ha cresciuto da solo dopo la morte della moglie, e infine quella di una donna (Maeda Atsuko) che deve ancora fare i conti con le ferite psicologiche di una violenza sessuale subita in età infantile.

La scelta di Carrousel Maki, una celebrità transgender nota per l’ironia irriverente, è stata inconsueta ma perfetta. “Questo ruolo è completamente diverso dalla sua immagine pubblica, non è vero?” dice Mishima in un’intervista che si svolge nel caffè dello storico cinema PorePore di Tokyo. “Lei interpreta qualcuno che ha procreato una figlia ma, siccome lei è morta in seguito a una violenza sessuale, si è fatto tagliare i genitali come una sorta di punizione, e da allora vive come una donna. Carrousel è stata in grado di rappresentare la solitudine [del personaggio], il fatto che lei non abbia nessuno in grado di capire cosa lei ha passato nella vita”.

La scelta di tre ambientazioni del tutto distinte per ogni episodio del film – il lago Toya nello Hokkaido nel primo caso, l’isola di Hachijojima nel secondo e il distretto Dojima di Osaka nell’ultimo – assume un significato simbolico, spiega Mishima mentre disegna uno schema sul bloc notes.

“Il film mostra tre luoghi che sono molto distanti tra loro e delle persone che sono tutte sole”, continua. “Così, uno penserebbe che non possano sentire la voce l’una dell’altra. Ma io volevo credere che fossero in grado di farlo, e ho simboleggiato quelle connessioni con delle imbarcazioni. Metti la voce di una persona su una barca e [traccia una linea] arriva qui, e quella di un’altra su un’altra barca [traccia un’altra linea] che arriva lì. Per me, ognuna di queste persone si trova su una barca da sola, e naviga in solitario in un viaggio senza fine”.

Mishima dichiara di aver avuto “una ragione personale” per realizzare questo film. “Mi trovo a un punto della vita nel quale posso finalmente guardare indietro allo stupro che ho subìto”, afferma. “Ho pensato che sarebbe stato opportuno fare un film su questo. Volevo partire dalla mia esperienza privata per esaminare la cosa da prospettive diverse”. Il primo e il terzo episodio trattano le conseguenze di un’aggressione sessuale ma anche, dice Mishima, “un’assenza di amore”, al contrario del secondo episodio nel quale la donna che ritorna a casa, ad Hachijojima “ha fatto sesso con qualcuno che amava ed è rimasta incinta, ma quella persona amata da giovane ha commesso un reato”. Non sapendo se suo padre riuscirà ad accettare questa relazione, la donna cerca di nascondere la propria condizione.

Il terzo episodio, nel quale il personaggio interpretato da Maeda Atsuko ritorna a Osaka per il funerale di un ex amante e, accompagnata da un gigolò col quale ha avuto un rapporto occasionale, ritorna sul luogo in cui è stata abusata da bambina, è il più autobiografico del film – e il primo che Mishima ha scritto.

“Ho pensato che la storia dovesse descrivere il senso di colpa che provavo”, dice. “Per questo ho scritto l’episodio di Osaka su una donna che era stata violentata e che si sente in colpa per questo. Ma credevo che se avessi presentato la cosa solo dal punto di vista della vittima, non avrei scavato molto in questo senso di colpa. Volevo esaminarlo da prospettive diverse”. Ed è per questo che ha aggiunto anche gli episodi ambientati ad Hachijojima e in Hokkaido.

Per il personaggio di Maeda, Reiko, la colpa si trasforma in rabbia. Accompagnata dal gigolò, si reca al parcheggio dove è stata aggredita da bambina e fa a pezzi i fiori, che le ricordano le labbra del suo aggressore. “Dopo ciò che mi è accaduto, perché dovrei sentirmi in colpa?” afferma Mishima, descrivendo i sentimenti di Reiko.

“Avevo solo sei anni quando sono stata aggredita a Osaka”, continua, disegnando sul bloc notes per illustrare come ha portato Maeda in quel luogo preciso per prepararla alla scena. “Ho camminato per circa un’ora nel distretto di Dojima con Maeda, tenendola per mano mentre camminavamo e parlavamo. Credo lei abbia capito come mi sono sentita durante quell’episodio”.

La scena, racconta, è stata girata in un’unica ripresa. “Avevo la macchina da presa davanti a Maeda e io stavo lì vicino. Stavamo girando come se stessimo respirando all’unisono, come se ci stessimo davvero fondendo una con l’altra. Maeda ha detto che guardava solo me, e sentiva solo ciò che sentivo io”.

Alla fine Reiko si avvia lungo la strada da sola, in qualche modo liberata. Intanto nella colonna sonora si sente Maeda, che prima di diventare attrice era una famosissima popstar, cantare una canzone che parla di regalare fiori, non distruggerli. “Immagino Reiko che vive intensamente”, dice la regista, “aggrappandosi alla propria rabbia, ma anche alla speranza di provare gioia in futuro”.

“Volevo dirle: ‘Non sei sporca. Sei bella’. E sono certa che per lei le cose cambieranno. Le cicatrici non spariranno mai, ma non saranno più le stesse di prima”.

Mark Schilling