Vivacità o precarietà? Il cinema vietnamita nel 2023

Se mi chiedessero di descrivere il panorama cinematografico vietnamita, la mia risposta attuale sarebbe: “Uno spettacolo pirotecnico”. Con moltissimo movimento, con molti aspetti degni di nota. A volte, il cinema è la ragione per la quale i componenti della mia famiglia che vivono all’estero mi cercano su WhatsApp o Viber.

Una chiamata tra me e mia zia, se non ricordo male, verteva sul poliedrico Trấn Thành e il film epico in costume Song of the South (Đất rừng phương Nam) che ha interpretato e coprodotto. Malgrado il film, uscito a metà ottobre, si stesse avvicinando rapidamente al trăm tỷ, ovvero alla soglia che sancisce il successo commerciale di un film vietnamita, pari a oltre 100 miliardi di VND (4 milioni di dollari), questi dati non sono diventati argomento di conversazione. Per tutto il tempo della chiamata ci siamo concentrati sull’accuratezza storica, il processo di adattamento e la loro definizione; proprio come tutti gli articoli presenti sui giornali di quel periodo. Sembrava che tutti avessero qualcosa da dire sull’adattamento del famoso romanzo di Đoàn Giỏi. I fuochi d’artificio sembravano esplodere ovunque, online e offline.

Dovrebbe quindi essere una certezza dire che l’anno di Thành e degli altri è stato più positivo all’inizio. Esattamente il primo giorno del Tết o anno nuovo lunare, che è sempre stato considerato il periodo più interessante e vantaggioso per l’uscita dei film, è uscita in sala la commedia drammatica vietnamita The House of No Man (Nhà bà Nữ) che Thành ha interpretato, in parte scritto, coprodotto e diretto. Il film, su una signora che vende la zuppa di noodles con granchio più costosa di Saigon, ha incassato oltre 450 miliardi di VND (18 milioni di dollari) secondo i dati di botteghino. Ciò che a mio parere ha reso il cinema locale più sottotono, verso la fine del 2023, è stato il risultato poco soddisfacente di film con nuovi elementi narrativi. A seconda della persona a cui si chiede, o con cui potenzialmente si discute (soprattutto online), ciò deriva o da una sensibilità poco allineata con quella del pubblico o da una regia mediocre, che ha oscurato il protagonista moralmente ambiguo di Fanti, la struttura antologica di Giao Lộ 8675, la violenza allegorica di Drowsy City (Thành Phố Ngủ Gật) o le premesse vampiresche di Daydreamers (Người Mặt Trời).

Nei loro resoconti di fine anno, i media locali hanno spesso citato gli incassi risicati di Fanti e Daydreamers – rispettivamente 1,8 miliardi di VND (73.000 dollari) e 5,1 miliardi di VND (208.000 dollari). Anche il fatto che i registi, Andy Nguyễn e Timothy Linh Bùi, siano vietnamiti-americani può aver influito sull’accoglienza di questi film da parte del pubblico. Alle anteprime di questi film e negli incontri con il pubblico i cineasti, pur sforzandosi di parlare vietnamita, non avevano una padronanza della lingua tale da rispondere chiaramente alle domande dei partecipanti, molti dei quali erano giornalisti e influencer. Tra la folla sentivo dire: “Era confuso”... “Non sono sicuro di cosa scrivere”... “Tu hai capito?”... “Questo forse è troppo ‘occidentalizzato’ per me”. L’atmosfera avrebbe potuto essere più vantaggiosa per i film se ci fosse stato un traduttore per il regista o un moderatore bilingue.

Gli incassi risicati di Drowsy City (230 milioni di VND, pari a 9.300 dollari) hanno anche messo in evidenza qualcosa che mi incuriosisce da diverso tempo: il rapporto tra i film locali che hanno attirato l‘attenzione internazionale e il supporto locale. O la mancanza di tale supporto. Proprio come Children of the Mist (Những đứa trẻ trong sương) di Hà Lệ Diễm, che è entrato tra i quindici documentari finalisti agli Oscar, e Inside the Yellow Cocoon Shell (Bên Trong Vỏ Kén Vàng) di Phạm Thiên Ân, che ha vinto la Caméra d’Or al festival di Cannes, ma che dopo tutti questi successi all’estero non ha ottenuto una grande accoglienza al suo debutto in patria. Ci sono molte teorie in merito a questo scollamento, ma attraverso osservazioni e discussioni direi che ce ne sono tre in particolare sulle quali torno spesso. La prima è che per molti spettatori vietnamiti i film sono ancora uno strumento di evasione, e quindi i loro riconoscimenti potrebbero dare l‘idea che saranno un’esperienza più pesante del solito. La seconda, in qualche modo correlata, è che la stampa locale, gli esercenti vietnamiti e gli enti che premiano i film su scala internazionale non ne hanno dato comunicazione nel modo adeguato (o per niente?) al pubblico, in modo che i riconoscimenti cinematografici abbiano un senso, o diventino il più grande punto di attrazione per gli spettatori. La terza è che tra le comunità di appassionati di cinema e di discussione cinematografica si dà eccessiva enfasi agli Oscar, in parte a causa dell’anglofilia della stampa e delle società di pubbliche relazioni, e che quindi i film possano essere poco attrattivi qualora abbiano ottenuto riconoscimenti diversi da quelli legati alla statuetta d’oro.

Qualunque sia il motivo – ed è risaputo che alcuni scatenano veri fuochi d’artificio emotivi, come l’accusa di togliere spazio alle altre proiezioni (chèn ép suất chiếu, come viene definito dalla stampa e dalla gente) in modo che i loro film possano prevalere – è stato scoraggiante vedere la fredda accoglienza riservata dal pubblico locale a film che hanno avuto successo o attenzione fuori dal paese. Spesso mi chiedo cosa debba pensare del Vietnam la scena cinematografica mondiale quando l’approvazione internazionale genera così poco successo a livello locale. Mi chiedo anche se il cinema vietnamita vuole veramente essere accolto da un pubblico che vada oltre i confini nazionali. Io dico che dovrebbe, in modo che io possa continuare a lavorare.

Mi piace pensare di avere anch’io un ruolo in questo sforzo di espandere la portata del cinema vietnamita. Ho sottotitolato produzioni locali come The Soul Reaper (Kẻ Ăn Hồn) e The Last Wife (Người Vợ Cuối Cùng). È stato un piacere offrire le mie competenze per una traduzione cinematografica, invece che letterale. Ad oggi, molti sottotitolatori locali sono ancora confusi fra l’una e l’altra, oppure dimenticano alcuni accorgimenti tecnici, facendo sì che il pubblico legga il film quando dovrebbe guardarlo. In un quadro più ampio, questa confusione continua a minare l’importanza della capacità dei sottotitoli di fungere da ponte per gli spettatori di tutto il mondo, qualcosa di cui il cinema vietnamita può beneficiare.

Tutti questi discorsi sui sottotitoli sono collegati ai numeri al botteghino. Per parlare ancora di The Soul Reaper, presumibilmente il primo horror vietnamita in costume che durante il suo lancio locale ha incassato 67 miliardi di VND (2,7 milioni di dollari), il film ha sottotitoli che gli consentono di accedere a mercati internazionali e riscuotere ulteriore successo, in particolare negli Stati Uniti. Questo sarebbe un buon contesto per notare che, nonostante le misure per compiacere la censura come tagli, inquadrature o restrizioni imbarazzanti, il Vietnam ha una scena cinematografica horror, o venata di horror, piuttosto attiva. Oltre al lungometraggio di Trần Hữu Tấn, quest’anno sono usciti anche un horror basato su un feto, Vong Nhi (di Hoàng Tuấn Cường), il sequel del film di zombie Bến Phà Xác Sống (di Nguyễn Thành Nam), il folkloristico Taboo (o Điều Cấm Kỵ Kinh Hoàng, di Vũ Thành), Quỷ Cẩu, che parla di creature straordinarie (un grande successo di Lưu Thành Luân che ha incassato 108 miliardi di VND, pari a 4,4 milioni di dollari), e Live: Phát Trực Tiếp, incentrato sul fenomeno del mukbang (di Khương Ngọc, proiettato anche negli Stati Uniti grazie al distributore 3.388 Films, e forse ai manifesti “realizzati” dall’intelligenza artificiale).

Al momento in cui scriviamo, The Soul Reaper è primo in classifica in Cambogia. Variety aveva già riferito che questo sarebbe stato uno dei mercati in cui l‘agente locale Skyline Media avrebbe esportato il film.

A proposito di mercati esteri, a un certo punto The Last Wife è arrivato anche in Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Repubblica Ceca, sempre grazie a 3388 Films. Secondo i dati, la sua disponibilità sui mercati internazionali ha contribuito a portare gli ingressi totali del film, un dramma romantico ambientato durante la dinastia Nguyễn, da 97,6 miliardi di VND (quasi 4 milioni di dollari) all’ambita soglia dei 100 miliardi. L’ultimo successo di Victor Vũ è attualmente su Netflix, piattaforma d’elezione per molte opere vietnamite dopo la loro uscita in sala. La performance di The Last Wife fa anch’essa parte di un’altra narrazione che è piaciuta a tutti. Alla fine dell’anno, i primi 10 film al botteghino erano tutti vietnamiti: Nhà Bà Nữ, il film drammatico sulle differenze di classe Sister Sister 2 (Chị Chị Em Em 2 di Vũ Ngọc Đãng, con 121 miliardi di VND o 4,91 milioni di dollari), Hustler vs Scammer (Siêu Lừa Gặp Siêu Lầy di Võ Thành Hòa, con 122 miliardi di VND o 4,95 milioni di dollari), il film d’azione Lật Mặt 6 (di Lý Hải, con 273 miliardi di VND o 11 milioni di dollari), Song of the South e The Last Wife. Secondo quanto riferito, questo è il primo evento del suo genere nella storia del settore, qualcosa che dovrebbe indurre le persone a rivalutare l’importanza delle proprietà intellettuali straniere – vale a dire i remake coreani e i blockbuster di Hollywood – e a riconsiderare l’appeal di quelle locali. Nessun film hollywoodiano è riuscito a raggiungere la soglia dei 100 miliardi in biglietti venduti. Il pubblico sembra essere più selettivo riguardo a ciò che vorrebbe vedere al cinema e sembra anche più disposto a sostenere le voci e le storie locali. Ma rimangono ostacoli da superare per essere davvero storie di impatto, o per avere un impatto significativo. I soggetti in grado di dettar legge su quali film possono essere realizzati e portati in sala possono prendere decisioni difficili da accettare. Non riesco ancora a capire perché Inside the Yellow Cocoon Shell sia uscito in sala contemporaneamente a Oppenheimer, in campo senza Barbie (che è stato vietato). Come già detto, la volontà di sostenere i film vietnamiti, per quanto grande, sembra dissiparsi nel momento in cui tali film riescono a interagire con il mondo esterno – o arrivano nelle sale vietnamite dopo un passaggio all’estero. Sarebbe bello non sentire più gli addetti ai lavori pronunciare il ritornello: “Perché servono i sottotitoli in inglese per i film vietnamiti? Siamo vietnamiti, possiamo capirli ugualmente”, soprattutto quando si ricorda di averli sentiti dire in precedenza: “Il mondo ha bisogno di vedere più film vietnamiti” oppure “Il linguaggio del cinema è universale”. C’è anche l’interessante questione di come alcuni spettatori interpretino il termine “d’essai” per poi attribuire questa etichetta a un film semplicemente perché ha vinto premi internazionali, oppure, ancora, premi che non siano gli Oscar. È qualcosa che mi lascia veramente e immancabilmente senza parole. Comunque, guardando dove sta andando il cinema vietnamita, devo dire che mi sento fiducioso. Nel complesso, la scena è ancora sufficientemente malleabile per essere audace – o ancora abbastanza sorprendente da incoraggiare i cineasti ad essere più audaci. Il 2023 ha visto la presenza in sala di Wolfloo and the Mysterious Island (Wolfloo và hòn đảo kỳ bí) di Phan Thị Thơ, il primo lungometraggio commerciale di animazione del Vietnam. I film finanziati con fondi governativi hanno aderito a lungo allo schema “una proiezione e poi basta”, perché sono considerati di nicchia, ma poi, inaspettatamente, succede che Peach Blossom, Pho & Piano (Đào, phở & piano) di Phi Tiến Sơn ha ricevuto e continua a ricevere richieste da parte di altri segmenti di mercato. Sembra che molti progetti promettenti abbiano ottenuto finanziamenti o siano in produzione, come Baby Jackfruit Baby Guava di Quang Nông Nhật, Skin of Youth di Ash Mayfair, Picturehouse (Chớp bóng) di Nguyễn Võ Nghiêm Minh, Don’t Cry, Butterfly di Dương Diệu Linh, Việt and Nam di Trương Minh Quý e Cu Li Never Cries (Cu Li không bao giờ khóc) di Phạm Ngọc Lân.

Quest’ultimo film ha vinto il premio GWFF per la migliore opera prima alla 74a edizione del festival di Berlino, il 25 febbraio di quest’anno. È stato anche annunciato che Ho Chi Minh City ospiterà il suo primo festival cinematografico internazionale. Poiché l’evento è programmato dal 6 al 13 aprile, non sono in grado di dire come si svolgeranno le cose o come saranno accolte. Posso solo sperare che tutto vada bene.

Ho detto prima che abbiamo molto da vedere e da raccontare. Ma, come suggerisce il titolo che ho scelto per questo articolo, il mio è un cauto ottimismo, e cerco di contenere la mia gioia. Alcuni personaggi del settore stanno facendo molto per il cinema vietnamita e questo gli assicura slancio, ma penso che tali personaggi dovrebbero chiedersi se le loro attività rendono il cinema locale davvero interessante per un panorama internazionale. Per citare un esempio in particolare, in un articolo di Liz Shackleton per Deadline si dichiara che “il Vietnam attualmente non riceve il sostegno del governo per la promozione all’estero”. In un contesto da “spettacolo pirotecnico” come quello locale, non è come rifiutarsi di invitare le persone a venire a vedere il modo in cui abbiamo illuminato il cielo notturno del cinema? Anche se alcuni di loro hanno detto esplicitamente di essere interessati a noi? E così, per me, la scena cinematografica vietnamita è tanto vivace quanto instabile, tanto bella quanto scottante. Sarebbe importante decidere quale dei due tratti bisognerebbe comunicare alla popolazione creativa, e ora siamo nel miglior momento possibile per farlo. Speriamo si scelga quello più valido. In alternativa, dato che mi è stato detto che i draghi, l’animale simbolo del 2024, possono vedere nel futuro, forse dovrei interpellare uno di loro. Qualcuno sa chi potrei contattare? Uno che usa Viber o WhatsApp, come mia zia?

Nguyên Lê