Il cinema vietnamita, che nel 2019 aveva preso slancio, nel 2020 si è visto mettere i bastoni tra le ruote dal diffondersi della pandemia da Covid-19. Anche se molti film sono stati considerati dei veri e propri fenomeni al box office, il botteghino vietnamita ha avuto un calo di oltre il 50% rispetto agli incassi record dell’anno precedente. Inoltre, l’assenza di film d’essai nazionali e internazionali è stata una grande perdita per il pubblico.
Sin dalla fine dello scorso decennio, quando il cinema vietnamita e il mercato dell’intrattenimento hanno avuto una ripresa, i cinema hanno visto un rapido incremento degli incassi, un anno dopo l’altro. Il 2019 è stato l’anno di maggior crescita, con un incasso totale di 4.100 miliardi di VND (dong vietnamiti), di cui all’incirca un terzo provenienti da film locali prodotti e distribuiti in Vietnam, con un aumento del 40% circa rispetto al 2018.
L’insorgenza del Covid-19 in Cina nei primi mesi del 2020 e la sua successiva diffusione in tutto il mondo ha avuto un impatto devastante sul mercato cinematografico: la pandemia ha fatto sì che la distribuzione dei blockbuster hollywoodiani fosse cancellata o posticipata, e per il mercato questo è stato un duro colpo. Le grosse produzioni estive di Hollywood negli anni precedenti avevano attirato un vasto pubblico, cosa che non si è purtroppo ripetuta durante la pandemia. Per un paio di grossi film hollywoodiani è stata tentata la distribuzione, per testare la reazione del pubblico, ma si è trattato di buchi nell’acqua.
Tenet, il blockbuster diretto da Christopher Nolan, è uscito in sala in Vietnam ad agosto, con il misero risultato di 40 miliardi di dong. Wonder Woman 1984, anche se distribuito nel periodo natalizio, ha incassato meno di 50 miliardi. Il film internazionale campione d’incasso in Vietnam è stato Peninsula, il sequel di Train to Busan, che ha incassato circa 90 miliardi, superando il primato per i film coreani stabilito in precedenza da Parasite.
I film vietnamiti hanno iniziato a recuperare terreno alla fine di settembre con la pellicola indipendente Ròm, che si è aggiudicata il premio principale al Busan Film Festival nel 2019: il riconoscimento è stato utile a dare una bella spinta al film, che però ha diviso il pubblico locale. A ottobre Blood Moon Party (Tiệc Trăng Máu), remake dell’italiano Perfetti sconosciuti, è balzato in cima alle classifiche di botteghino e vi è rimasto per cinque settimane di fila, incassando all’incirca 180 miliardi di VND e diventando uno dei tre film vietnamiti di maggior incasso di tutti i tempi, insieme a Win My Baby Back (Cua lại vợ bầu) e Furie (Hai Phượng).
Tra Natale e Capodanno, il film d’azione Sister Thirteen: Three Deadly Days (Chị Mười Ba: 3 Ngày Sinh Tử) ha infiammato il botteghino, incassando oltre 100 miliardi di dong e superando Wonder Woman 1984 per piazzarsi al terzo posto tra i film di maggior successo dell’anno.
Ma i film vietnamiti di successo si potrebbero contare sulle dita di una mano. Durante il Capodanno Lunare, prima che la pandemia si diffondesse in Vietnam, sono stati solo tre i film locali che hanno avuto fortuna al box office: The Royal Bride (Gái Già Lắm Chiêu 3), The Eyes (Đôi Mắt Âm Dương) e 30 Chưa Phải Là Tết (“New Year’s Eve Is Not Tet Yet”).
Nel 2019, il thriller poliziesco era considerato un genere in grado di dare nuove prospettive al cinema vietnamita, ma due titoli molto attesi, Invisible Evidence (Bằng Chứng Vô Hình, remake dell’originale coreano) e Monster Heart (Trái Tim Quái Vật), pur appartenendo a questa categoria non sono stati all’altezza delle aspettative. I film sono stati realizzati da Ta Nguyen Hiep e Trinh Dinh Le Minh, due cineasti giovani e preparati che si sono rivelati competenti ma anche esageratamente conservatori e hanno mancato l’obiettivo a causa di storie poco convincenti e interpretazioni prive di smalto.
Mentre l’anno scorso erano usciti in sala ben 42 titoli vietnamiti, una cifra record, quest’anno i film in uscita sono stati solo 23, la maggioranza dei quali con risultati estremamente deludenti al botteghino. Film come Hoa Phong Nguyệt Vũ, Sài Gòn Trong Cơn Mưa (“Saigon in the Rain”), Chồng Người Ta (“Someone’s Husband”) e Secrets of the Wind (Bí Mật Của Gió) hanno incassato solamente dai 2 ai 4 miliardi di VND, quando per un film vietnamita la soglia di redditività deve essere di almeno 20 miliardi di dong. Di solito i budget si aggirano sugli 8-10 miliardi e metà dell’incasso rimane agli esercenti; di conseguenza, un incasso inferiore ai 15 miliardi viene ritenuto un fiasco. Malgrado ciò, l’assenza di blockbuster hollywoodiani durante la pandemia ha fatto sì che per la prima volta al botteghino vietnamita si siano visti primeggiare i film locali, che nella classifica dei primi dieci film hanno battuto Hollywood per sei a quattro.
Anche se il cinema vietnamita è incentrato sull’intrattenimento e con un occhio sempre puntato al box office, ci sono ancora alcuni giovani registi e cineasti che aspirano a cambiare la situazione locale, ad aumentare la varietà dell’offerta cinematografica e a fare sperimentazione. Negli ultimi anni, infatti, alcuni film hanno espresso un drastico cambiamento di soggetto e di genere, come nel caso di Furie (Hai Phượng del regista Le Van Kiet e dell’attore/produttore Ngo Thanh Van) che ha attirato l’attenzione degli appassionati di arti marziali e film d’azione, Sister Sister (Chị Chị Em Em per la regia di Kathy Uyen) che ha reso più popolare il genere del thriller poliziesco, Goodbye Mother (Thưa Mẹ Con Đi diretto da Trinh Dinh Le Minh), che ha messo in rilievo tematiche LGBT e legate alla famiglia. Ai film indipendenti invece ha aperto la strada il socialmente consapevole Ròm, del regista Tran Thanh Huy.
A differenza di film del passato in cui gli stessi argomenti venivano affrontati timidamente per timore di incorrere nella censura o per la convinzione che il pubblico vietnamita possa essere accontentato solo con commedie romantiche o film horror, negli ultimi due anni tali soggetti sono stati presentati dai cineasti in modo più diretto. Una simile innovazione ha rotto il tedio del cinema locale e ha poco alla volta attirato gli spettatori verso film che trattavano temi diversi dal solito. Il pubblico vietnamita è molto aperto ad argomenti nuovi, se affiancati all’intrattenimento, e desidera vedere film su questioni che facciano riflettere.
Ròm, una storia cupa su bambini che vendono biglietti della lotteria contraffatti in una baraccopoli di Ho Chi Minh City, è uno di quei film indipendenti che hanno avuto il coraggio di gettare uno sguardo diretto sui problemi sociali e sugli emarginati; il suo linguaggio narrativo sperimentale è pionieristico, ma la sua sceneggiatura sciatta, che rappresenta il suo punto debole, ha reso impossibile per Ròm conquistarsi tutto il pubblico locale e lo ha, invece, diviso.
La cosa è tipica delle pellicole sperimentali che esplorano nuovi orizzonti. I film vietnamiti che affrontano temi della vita reale o riflettono questioni sociali o il lato oscuro dell’esperienza umana sono tutti vittima di sceneggiature superficiali, trame sviluppate in modo semplicistico, personaggi che riflettono semplicemente il punto di vista dello sceneggiatore e registi inesperti che non fanno sufficiente approfondimento. Alcune pecche, d’altra parte, sono attribuibili alle rigide regole della censura. In generale, il cinema vietnamita ha ancora un gran bisogno di film sperimentali o che sappiano osare molto, un po’ alla stregua di film coreani come Old Boy, Memorie di un assassino, I Saw the Devil, Goksung – La presenza del diavolo e Parasite.
L’assenza di sceneggiatori esperti e l’incapacità di realizzare film in grado di conquistare il pubblico locale hanno obbligato i cineasti vietnamiti a continuare a girare remake di successi internazionali come Sweet Twenty (Em Là Bà Nội Của Anh), Go-Go Sisters (Tháng Năm Rực Rỡ) e, più di recente, Blood Moon Party (Tiệc Trăng Máu).