Feng Xiaogang “Non sono un regista prevedibile”

Se l’etichetta di “Spielberg cinese” può, in qualche modo, essere fatta combaciare con uno solo dei suoi film (Assembly [Jijie Hao], sorta di Salvate il soldato Ryan ambientato fra la guerra civile e quella di Corea), il percorso di Feng Xiaogang è stato, fino a questo momento, soprattutto quello di un artista del cinema commerciale che ha voluto e saputo fare un cinema fuori dagli schemi pur nel rispetto di generi e filoni, mantenendosi fuori dal gregge anche quando (dopo un breve inizio come “indipendente”) ha scelto di aderire ai modi di produzione del cinema dominante. L’inventore del sino-cinepanettone (hesuipian) e della commedia romantica di tipo nuovo ha inanellato una serie di campioni di incassi – a partire dall’insolita opera seconda The Dream Factory (Jiafang Yifang), successo subito replicato con Be There or Be Square (Bujian Busan), girato interamente negli USA, a mostrare come i due emisferi si contaminino in modo non soltanto positivo; dopo il trionfo della sorprendente satira d’azione A World Without Thieves (Tianxia Wuzei), il suo San Valentino cinematografico If You Are the One (Feicheng Wurao) ha battuto nel 2008 ogni record; nel 2010 anche il sincero, sentito e spettacolarissimo film catastrofico in 3D Aftershock (Tangshan Da Dizhen) si è piazzato altissimo al botteghino; lo scorso anno la sua nuova operazione d’autore, I Am Not Madame Bovary (Wo Bu Shi Pan Jin Lian), è stata plebiscitata anche dal pubblico popolare. Ogni volta che ha catturato cifre impressionanti di spettatori, tuttavia, Feng non aveva in quei suoi film rinunciato a farsi specchio critico del costume nazionale, pur dovendo destreggiarsi fra le maglie della censura, la necessità di un relativo consenso governativo e la concorrenza dei gruppi rivali di distribuzione ed esercizio. Attore notevolissimo e regista-produttore- sceneggiatore fra i più prolifici e inventivi, capace di strutturare il fraseggio dell’azione scenica così da mantenere vivo il proprio spirito graffiante e originale anche dentro le tonalità “di massa” scelte per molte delle sue opere, il cinema di Feng è stato lieve e ironico, eclettico e spettacolare, hollywoodiano e profondamente ancorato alla tradizione estetica cinese. Ha firmato opere capaci di dissezionare i grovigli dei ceti medi emergenti, come anche di spingersi dentro il passato storico (nel sontuoso The Banquet [Yeyan], opera complessa, tormentata e discussa che gli è valsa il riconoscimento definitivo dello status di autore) a cercare una chiave di lettura dei grovigli politici del periodo recente. Feng Xiaogang esordisce nel lungometraggio nel 1994 (dopo un lungo tirocinio televisivo) e già con l’opera seconda approda a un film di notevole risonanza e rilevanza. Ha lavorato con una tribù di attori prediletti ma anche collaborato con parecchi dei divi di maggior richiamo: proprio perché egli stesso non ha smesso di recitare per altri registi, Feng ha saputo a ogni incontro esplorare e catturare la fisicità della star per esprimere attraverso le passioni tutte le contraddizioni e i conflitti dell’esistenza. Grazie al rapporto con due importanti scrittori, Wang Shuo (che ha contribuito a elaborare lo stile caustico delle prime commedie di Feng ed è stato anche partner della prima avventura di produzione indipendente) e Liu Zhenyun (a partire dalle proprie opere ha sceneggiato, oltre a due personalissimi film-di-successo – Cell Phone [Shouji], satira del maschilismo, e I Am Not Madame Bovary [Wo Bu Shi Pan Jin Lian], splendido ritratto di un personaggio femminile non riconciliato – anche l’ambizioso, audace e riuscito Back to 1942 [Yijiusier], sguardo morale su una dolorosa vicenda di carestia e esodo rurale, in bilico tra il film di guerra, il melodramma esplicito e il film d’arte), la forma e lo stile di Feng si sono progressivamente arricchiti e complicati, offrendo agli spettatori notazioni critiche a essi spesso esplicitamente dirette, attenuando la volontà didascalica grazie a un taglio leggero, sensibile alla poesia dei gesti e delle emozioni. Ogni volta che ha sperimentato una novità tecnologica l’ha piegata al felice utilizzo di un’inedita soluzione linguistica. Attraverso sedici lungometraggi, alcune serie televisive e telefilm (il tutto in meno di venticinque anni), quello di Feng è diventato il caso clamoroso, nella storia del cinema “popolare” cinese, di un regista che è riuscito a dar vita a un rapporto intenso e duraturo di affezione con gruppi di spettatori molto diversi fra loro. Lo stile di Feng Xiaogang, che può essere nello stesso film ironico e leggero, come anche emotivo e partecipante, si è sviluppato coerentemente lungo la linea di una messa in scena accurata quanto immediata, facendosi forte del contributo di attori che agiscono, si scontrano, si muovono, vivono con naturalezza sullo schermo. Le prove registiche degli ultimi anni hanno portato una sostanziale conferma di queste linee direttrici del suo cinema, che si è definitivamente chiamato fuori dalle strategie visive del cinema prodotto in serie e si è allontanato, anche nei film più “patriottici”, dalla rigidità dei codici e delle regole del cinema ufficiale. Nessun altro regista cinese contemporaneo ha saputo realizzare film tanto autenticamente popolari che, al tempo stesso, rivelano in maniera sorprendente un’impronta decisamente singolare. La sua influenza sul cinema cinese è importante – e non solo sulle nuove forme della commedia in tutte le sue declinazioni, sul film d’azione e sul film spettacolare. L’opera di Feng Xiaogang risulta di difficile categorizzazione, talmente può oscillare dall’una all’altra delle contrapposte classificazioni convenzionali: film popolare/film d’autore; commedia/ melodramma; mitologia del cinema hollywoodiano/storie cinesi. Sottraendosi in questo modo alla denominazione di origine controllata, egli continuerà a sorprenderci ancora per molti anni.
Marco Mueller