Il mio rapporto di amore/odio con Brigitte Lin

Brigitte Lin Ching Hsia Here Comes the Icon!
Sono nato sotto il segno dello Scorpione alla fine del 1969 e il debutto di Brigitte Lin (Lin Ching-hsia) nel mondo del cinema risale ai primi anni Settanta. Il suo successo fu immediato. Tuttavia, dato che il suo film d’esordio Outside the Window (1973) fu bandito da Taiwan a causa di una disputa sul copyright, Brigitte apparve per la prima volta sul grande schermo taiwanese in Gone with the Cloud (1974) insieme alla superdiva dei sixties Tang Pao-yun, che ne interpretava la sorella maggiore. A ripensarci ora, sembrava quasi un passaggio di consegne.
Insomma, sin da quando ho memorie legate al cinema, Brigitte Lin ne è stata sempre una delle due stelle più lucenti. Solo che nel mio ricordo di cinefilo, per oltre la metà del tempo è stata “l’antagonista” dei miei idoli.

Pearl Chang vs. Brigitte Lin

La prima diva di cui divenni fan fu la star del wuxia Pearl Chang. Dal punto di vista della storia cinematografica, non si può davvero paragonare a star del calibro di Cheng Pei-pei, Polly Kuan e Hsu Feng che collaborarono con King Hu. Tuttavia, negli anni Settanta, Pearl ebbe un periodo di notorietà nel piccolo e grande schermo. La serie a episodi Bodyguard, trasmessa ininterrottamente in 256 puntate dal 1974 al 1975 (tranne un’interruzione forzata di un mese per la morte di Chiang Kai-shek), fece da apripista del genere, con un grado di popolarità che coinvolgeva non solo l’uomo della strada, ma anche politici e artisti. Un ragazzo superficiale come me non aveva ancora visto capolavori come Dragon Inn (1967) e A Touch of Zen (1971). Avevo solo una predilezione per Zhao Yanling, la terza sorella delle “guardie di sicurezza” interpretata proprio da Pearl Chang. Quel suo balzare tra le nuvole e la sua spada che trafiggeva il cuore degli avversari erano per me il massimo dell’immaginazione nel mondo del wuxia. Rispetto alla debolezza della prima sorella e all’arroganza della seconda, io mi identificavo maggiormente nel suo carattere tenace e affidabile. Dopo la fine della serie tv, seguì a ruota l’adattamento cinematografico Genuine Bodyguard (1976) che naturalmente non mi sarei perso per nulla al mondo.
Brigitte Lin al tempo era anche una garanzia di vendita al botteghino nei film romantici. In quello stesso anno (1976), recitò in The Autumn Love Song e Forever My Love del regista Pai Ching-Jui, poi anche in Sea of Love di Hsu Chin-liang e The Chasing Game di Chen Yao.
Naturalmente le fu dato un ruolo anche nel film di propaganda patriottica Eight Hundred Heroes, con cui vinse il primo premio ufficiale della sua vita (miglior attrice durante l’Asian Film Festival).
Se la prima era stella del wuxia e la seconda dei film drammatici, in teoria non si davano alcun fastidio, allora perché ho deciso di metterle una contro l’altra?

Era il 1977 o il 1978, quando il China Times Weekly di Taiwan volle lanciare un sondaggio fra i lettori, che si protrasse per parecchio, per scegliere le “Top ten superstar del cinema”. Io avrò avuto otto, nove anni e mi presentavo regolarmente dalla parrucchiera vicino casa solo per leggere le ultime notizie di gossip nelle riviste. Pur non avendo un livello di cinese sufficiente a capirne per intero il contenuto, la classifica l’avevo letteralmente mandata a memoria e anche le signore impegnate a farsi la piastra si divertivano ad ascoltare i miei “reportage”. Pearl Chang, che ovviamente era in cima alle mie preferenze, si contendeva con Brigitte Lin il primo posto sul podio. Se non ricordo male, il risultato finale fu: 1. Brigitte Lin, 2. Pearl Chang, 3. Chin Han, 4. Joan Lin, 5. Zhen Zhen, 6. Chelsia Chan, 7. Niu Tien, 8. Ku Ming-lun, 9. Terry Hu, 10. Charlie Chin. Come fan della seconda classificata, secondo voi avrei potuto non odiare la sua concorrente? La verità è che i fan sono sempre di parte, mica è colpa delle celebrità se qualcuno li detesta!

Joan Lin vs. Brigitte Lin

Quando ero piccolo, non avevo molto con cui divertirmi e guardare film era il mio più grande piacere. Agli adulti piaceva portarmi al cinema perché ero buono e silenzioso, non protestavo mai e seguivo concentratissimo qualunque tipo di pellicola, specialmente prima dei dieci anni, in quei cinema periferici di Taipei con le proiezioni una dopo l’altra senza posti numerati, neanche pagavo il biglietto grazie alla bassa statura. Pertanto, che si trattasse di un premio per un bel voto a scuola o di reggere la candela durante gli appuntamenti degli adulti, ho trascorso i momenti più felici dell’infanzia con i film di Hong Kong e Taiwan. Anche mia madre amava discutere con me su chi fosse la donna più bella nel cinema orientale del tempo: lei tifava per Zhen Zhen, io ovviamente non per Brigitte Lin, ma per l’altra delle due “Lin” rivali, Joan.

Le ”Due Lin” e i “Due Chin” (Brigitte Lin, Joan Lin, Chin Han e Charlie Chin) erano le superstar dal massimo valore commerciale nel cinema di lingua cinese dopo Alan Tang e Zhen Zhen. Io “preferivo” Joan Lin, non solo per quella “antica tenzone” con l’altra Lin, ma anche per la differenza di immagine che le due trasmettevano. Proprio come i nostri amici di Hong Kong spettegolavano della rivalità/amicizia tra Josephine Siao e Connie Chan, la delicatezza di Joan Lin conquistava di più il mio cuore rispetto alla modernità ribelle di Brigitte nei film di Chiung Yao.

Soprattutto alla fine degli anni Settanta, con l’uscita di diverse opere del regista Li Hsing, conobbi quella Joan Lin che avrei imparato ad adorare: nel ruolo dell’innamorata Wu Jizhao che, sotto la pioggia battente, va a cercare Zheng Fengxi in una notte di tempesta in He Never Gives Up (1978); in The Story of a Small Town (1979), dove interpreta A Xiu, una ragazza muta che esprime i suoi sentimenti gesticolando; in My Native Land (1980) è Zhong Pingmei, braccata dalla polizia forestale per aver rubato la legna che serve alla sua famiglia. Insomma, lei incarnava il modello femminile ideale che avevo in mente da giovane. Questo è il motivo per cui molti anni più tardi, quando mi è capitato tra le mani il sottovalutato Ask My Love from God (1978) di Sung Tsun-shou, rimasi letteralmente atterrito da quel “lato oscuro” rimasto celato per tanti anni dietro alla sua facciata di “brava ragazza”.

Brigitte Lin non è affatto così, è così bella che non ha neanche bisogno di atteggiarsi. Nella storia della cinematografia in cinese, solo lei ha potuto far sì che Chin Han e Charlie Chin, i due superdivi, comparissero nello stesso film e allo stesso tempo le facessero da spalla. Sì, sto parlando proprio di Cloud of Romance (1977). Così si scopre che per una donna potersi innamorare di due uomini completamente diversi allo stesso tempo non è solo il privilegio di Ingrid Bergman in Casablanca (1942)! È solo che quest’ultimo, ambientato in periodo di guerra, vede i protagonisti uscirne tutti d’un pezzo, mentre i personaggi così fragili di Cloud finiscono uno morto, un’altra pazza e il terzo solo come un cane. Beh, almeno così hanno raggiunto quel climax alla Chiung Yao con un finale fuori dalle righe e la deificazione degli interpreti!

La natura estrema dei romanzi (film) di questa scrittrice ha fatto sì che Brigitte Lin si innamori del padre di un’alunna in The Misty Moon (1978), e addirittura che seduca (di proposito o meno) allo stesso tempo due fratelli in A Love Seed (1979) e The Wild Goose on the Wing (1979). Tuttavia, sia nei romanzi che sul grande schermo, lo sceneggiatore riusciva sempre ad abbindolarci con un lieto fine che faceva tutti felici, mentre a me non andava giù quell’amore idealizzato e il mio coinvolgimento si limitava alle colonne sonore di Feng Fei-fei. Nei suoi film, Brigitte Lin ogni tanto flirtava con Chin Han, qualche altra volta faceva coppia con Charlie Chin, mentre fuori dalle sale si moltiplicavano le chiacchiere sul triangolo amoroso fra i tre, che terminarono solo quando Brigitte fuggì negli Stati Uniti per “ritrovare se stessa”. Tuttavia, questi eventi non mi colpirono mai tanto quanto il ritiro dalle scene di Joan Lin per amore di Jackie Chan.

Sylvia Chang e Loretta Yang vs. Brigitte Lin

La partenza di Brigitte Lin non fu solo una fuga dal giornalismo scandalistico, ma le evitò anche i cambiamenti nei trend cinematografici dell’isola. Non fu coinvolta nel calderone dei “film di vendetta femminile” erroneamente definiti “realismo sociale”, venendo invece premiata due volte con Magnificent 72 (1980) e The Switch (1982), appartenenti a due generi completamente diversi. Cosa più importante, ciò le aprì la strada alla collaborazione con i registi di Hong Kong. Anche se già nel 1977 aveva recitato in The Dream of the Red Chamber di Li Han-hsiang, quella era stata solo un’esperienza passeggera (pur prefigurando le numerose possibilità che si sarebbero aperte in futuro), non paragonabile alle successive collaborazioni con Patrick Tam (Love Massacre, 1981), Tsui Hark (Zu: Warriors from the Magic Mountain, 1983), Ringo Lam (The Other Side of Gentleman, 1984) e Jackie Chan (Police Story, 1985). Perché non è solo un addio alla scena cinematografica taiwanese, ma segna anche la fine della sua immagine iniziale e il passaggio al cinema sperimentale, thriller, wuxia, fantastico, comico e d’azione.

Tuttavia, la mia predilezione in quel periodo era per Loretta Yang, con un ammirazione per Sylvia Chang, invece che per Brigitte Lin. Questo perché il più grande stimolo per me era diventato il nuovo cinema di Taiwan.

Fra le vecchie dive, probabilmente solo Sylvia Chang era in grado trasformarsi così realisticamente nell’impiegata d’ufficio in In Our Time (1982), o di affrontare la sfida di That Day, on the Beach (1983), interpretando la studentessa di scuola media e la donna matura senza sforzo apparente. Per non parlare della sua metamorfosi in produttrice, quando allevò una nuova generazione di registi con la serie tv Eleven Women, determinando così il successo di Edward Yang e Christopher Doyle anche grazie alla sua società, la Taiwan Xinyicheng. Infine fu anche sceneggiatrice e regista, per esempio con un capolavoro come Passion (1986).

Anche se qui si parla solo di celebrità, di recitazione, i miei occhi erano anche stregati dalle mani affascinanti di Loretta Yang in Jade Love (1984), mani che lavano la faccia di lui, che gli staccano i capelli bianchi per poi cercarli in mezzo al fuoco, e che infine affondano il pugnale nel petto dell’amato, ecco, è proprio quell’ampiezza di gamma recitativa che io cercavo in un divo (attore) in quel periodo della mia vita di critico cinematografico. A metà degli anni Ottanta, per me, il sinonimo di diva era proprio Loretta Yang. Kuei-mei, a Woman (1985) con la sua forza persuasiva data dall’aumento di peso dell’attrice, poi This Love of Mine (1986), con il suo nichilismo dettato dalla disillusione della classe media… pochissimi anni e appena tre film (tutti diretti da Chang Yi) furono sufficienti a raggiungere una vetta artistica difficilmente superabile.

Idolo delle folle vs. Icona del cinema

Solo successivamente notai la Brigitte Lin impulsiva e dallo spirito libero in Peking Opera Blues (1986) di Tsui Hark, poi in Starry Is the Night di Ann Hui (1988) dove senza l’ausilio del trucco, con un semplice cambio di pettinatura e la sua capacità recitativa, mise in scena due fasi della vita di una donna completamente diverse, a 18 e 40 anni. All’improvviso mi resi conto di come questa attrice, che avevo sempre visto in “opposizione” ai miei idoli in varie fasi della vita, era in realtà un pilastro incrollabile dell’arte cinematografica!

Per la sceneggiatura di San Mao e la regia di Yim Ho, Red Dust (1990) sembra essere fatto su misura per Brigitte. Grazie alla rigorosa struttura e al supporto tecnico, la bellezza e la bravura di questa donna che avevo tanto amato/odiato le conferivano un aspetto completamente nuovo, e la sua vittoria ai Golden Horse Awards ne fu la prova, se mai ce ne fosse bisogno. Con questa affermazione, anche la rappresentazione teatrale e cinematografica di Secret Love for the Peach Blossom Spring (1992) furono un ovvio successo, un grandioso ritorno al paese natio. La cosa più interessante è che in quell’epoca ogni grande star aveva il suo doppiatore e raramente ne sentivamo la voce originale (a meno che non apparissero in tv). Penso dunque che Secret Love sia stata la prima volta nella vita in cui ascoltai la vera voce di Brigitte; vedere la diva esibirsi sul palco del Teatro Nazionale di Taipei fu davvero un’esperienza irripetibile.

Se Red Dust è la prova della recitazione di Brigitte Lin, allora Swordsman II (1992) è stato ciò che l’ha fatta assurgere a vera e propria icona. A dire il vero, già la sua reputazione dagli anni Settanta era sufficiente a garantirle un posto nell’olimpo del cinema, eppure il personaggio di Dongfang Bubai (“Asia Invincibile”), che segue i precetti del Manuale del Girasole e si evira con un coltello per eccellere nelle arti marziali, che lo si consideri mascolinamente dotato o no, è un “lui” che si innamora di Linghu Chong e questo è un fatto indiscutibile. Tuttavia egli è interpretato da Brigitte Lin: “lui” può anche essere “lei”, e ciò basta ad accogliere proiezioni di varie tipologie e orientamenti sessuali. È l’immagine più queer ma anche più straordinaria nella storia del cinema di lingua cinese. La “bellezza” di Brigitte Lin sembra qui assumere un significato speciale: non è più una facciata che nasconde le sue capacità interpretative, ma anche un potere sovversivo e inclusivo, che si riflette nei suoi occhi a tratti feroci, a tratti teneri, in ognuna delle sue coraggiose pose. Chi avrebbe mai pensato che la “ragazza di giada” degli anni Settanta potesse “capovolgere i concetti di maschio e femmina” negli anni Novanta, ottenendo addirittura una menzione speciale nell’introduzione all’enciclopedia del cinema gay Images in the Dark!

Tsui Hark espande la definizione e il confine della “bellezza” di Brigitte Lin, però sono Hong Kong Express (1994) ed Ashes of Time (1994) di Wong Kar-wai a dissotterrare la parte nevrotica di questa bellezza, gettando Brigitte Lin in un mondo ancor più confuso del finale di Cloud of Romance, in una condizione non dissimile da Blanche DuBois, la protagonista di Un tram che si chiama Desiderio.

I sintomi della nevrosi in Hong Kong Express sono l’onnipresente corredo di occhiali da sole, impermeabile e parrucca dorata. È interessante notare che quando Kaneshiro Takeshi incontra Brigitte Lin nel locale, e prova ad abbordarla in cantonese, inglese e giapponese senza successo, alla fine ci riesce solo per mezzo del cinese mandarino. Ecco come due conterranei (di Taiwan) in terra straniera (a Hong Kong) trovano maniera di dialogare e interagire. Solo così riescono a liberarsi delle maschere e dei simboli menzionati all’inizio del paragrafo.

Ashes of Time è ancora più estremo. In questa pellicola adattata da Jin Yong ma che nulla ha a che fare con l’autore, i personaggi delle “pianure centrali” interpretati da hongkonghesi parlano in dialetto cantonese, mentre Brigitte Lin, la principessa del periferico regno di Yan, parla cinese standard (putonghua). Per poter uscire di casa, la donna si traveste da uomo e cambia il suo nome da Murong Yin a Murong Yang, uno spadaccino che solleva onde esplosive di acqua sulla superficie del lago con una semplice sciabolata. A prima vista sembrerebbe una parodia di Swordsman II, mentre in realtà è la tragedia di una persona che, non avendo mai ricevuto un secco rifiuto da nessuno, piomba per lo sconforto nel caos mentale e nella follia. La gabbia vuota che Brigitte tiene in mano e la luce perennemente frammentata, cristallizzata su di lei illustrano chiaramente la sua vacuità e schizofrenia.

Brigitte Lin ci consegna alcune performance davvero speciali in Ashes of Time. Ad esempio quando, davanti alla macchina da presa, con indosso abiti da uomo (Murong Yang) recita le parti della ragazza (Murong Yin), e nel suo alienamento si lascia sfuggire le parole sincere che ne rivelano il tormento. Vicinissima alla cinepresa, può solo eseguire movimenti limitati dal collo in su per convincere gli spettatori che ha scambiato Leslie Cheung (Ouyang Feng), sempre inquadrato ma molto più in profondità, per Tony Leung Ka-fai (Huang Yaoshi), riversando in lui la propria disperazione. Proprio come quando la mano di Brigitte Lin viaggia di notte sul corpo di Leslie Cheung mentre lei sta pensando all’altro, una situazione simile a quella di Angeli perduti (1995), dove Kaneshiro Takeshi e Michelle Reis sono avvinghiati l’uno all’altro dentro la macchina, ma allo stesso tempo la loro mente è rivolta altrove. Quando Murong Yin/Murong Yang alla fine cambierà il proprio nome in Dugu Qiubai (“Solitario in cerca di sconfitta”), in realtà sarà già un personaggio lacerato, distrutto.

Con una performance così speciale prima di abbandonare il grande schermo, non c’è proprio da lamentarsi. Dopo il 1994 Brigitte Lin è come se si fosse ritirata dalle scene, senza però essere mai stata dimenticata dal pubblico, dai media e dal mondo del cinema. Ogni sua mossa è sempre rimasta al centro dell’attenzione.

Spesso mi chiedo, quale altra stella dello spettacolo avrebbe mai avuto la pazienza di attendere che uno testardo come me cambiasse idea? Ci vuole il carattere di una persona che domina le correnti senza esserne mai travolta. Brigitte Lin si era già fatta un nome a Taiwan, ma a Hong Kong ha raggiunto nuove vette artistiche e ciò, insieme alla sua trasmutazione da idolo a icona, l’ha davvero resa una stella estremamente rara nel firmamento del cinema.

Altro che amore/odio, io Brigitte Lin la adoro veramente!

Traduzione dal testo originale cinese in Brigitte Lin, Filmmaker in Focus courtesy of Hong Kong International Film Festival Society.
Traduzione dal cinese di Francesco Nati.
Wen Tien-hsiang