Il tempo del sogno: intervista con Yoshida Daihachi

Presentato in concorso alla 37ª edizione del Tokyo International Film Festival, Teki Cometh di Yoshida Daihachi è tratto da un romanzo di Tsutsui Yasutaka del 1998 che racconta la storia di un professore in pensione di nome Watanabe Gisuke (interpretato da Nagatsuka Kyozo). Watanabe vive tranquillamente l’ultimo periodo della sua vita quando riceve sul PC un misterioso messaggio che gli annuncia che il suo “nemico” (teki) sta arrivando dal nord.

Il film si è aggiudicato tre premi al festival di Tokyo che si è svolto dal 28 ottobre al 6 novembre dello scorso anno: miglior film, miglior regista (Yoshida) e miglior attore (Nagatsuka).

Girato in bianco e nero, il film inizia come una cronaca dell’esistenza quotidiana di Watanabe, dalle sue preparazioni meticolose dei pasti (è una sorta di gourmet) alla sua relazione platonica con una ex studentessa (Takeuchi Kumi), che è pervasa da una passione reciproca inespressa, ma evidente.

Tuttavia, una volta che il “nemico” ha annunciato la sua presenza, il film si addentra in un territorio più cupo e disturbante, mentre i sogni inquieti di Watanabe sembrano invadere la sua vita da sveglio. La sua defunta moglie (Kurosawa Asuka) disapprova quello che considera un tradimento – e si rifiuta di rimanere solo un fantasma.

Mentre scriveva la sceneggiatura del film, Yoshida ha dichiarato in un’intervista prima del TIFF di aver aggiornato le parti in cui il romanzo descrive le interazioni di Watanabe con il mondo digitale, poiché i social media hanno ormai sostituito le chat room degli anni Novanta. Tuttavia, lo stesso Watanabe rimane ciò che Yoshida definisce un “tradizionalista, proprio come la casa in stile giapponese nella quale vive”.

Il suo protagonista è stato professore di letteratura francese, campo di studi che non è esattamente una tipica scelta giapponese. “Watanabe è un simbolo del giapponese che vive in una stanza con tatami ma beve Coca-Cola, e che si trova sempre in bilico tra la cultura occidentale e quella giapponese”, ha dichiarato Yoshida. “Per i giapponesi, si tratta di un atteggiamento molto naturale e diffuso”.

Yoshida ha incorporato nel film elementi autobiografici come la rappresentazione della vita onirica iperattiva di Watanabe. “Quando ero giovane, facevo molti sogni che avrebbero potuto essere trasformati in film”, ha detto. “Ma col passare degli anni, facevo sempre più sogni legati alle cose che vedevo il giorno prima o alle preoccupazioni che avevo riguardo al futuro. Poi sono arrivato al punto in cui non riuscivo a distinguere il sogno dalla realtà, e quando mi svegliavo, continuavo a pensare per un po’: ‘Oh, che cosa orribile ho fatto!’ Ora faccio sempre più sogni che sono realistici in senso negativo”, ha aggiunto.

Yoshida confessa di rilevare altre sovrapposizioni tra la sua vita e quella del suo protagonista settantasettenne, il quale sente che il suo mondo si sta restringendo sempre di più malgrado lui stia cercando di trovare nuovi punti di partenza. “L’anno scorso ho compiuto sessant’anni”, ha detto Yoshida. “Prima di allora, riuscivo a lavorare senza pensare troppo alla mia età ma ora, quando comincio a lavorare alle sei del mattino, non mi sento molto bene. Sto anche riflettendo maggiormente su cosa dovrei fare in futuro, non solo per quanto riguarda il lavoro, ma anche per come dovrei vivere la mia vita”.

“Questo vale non solo per me, ma anche per il popolo giapponese nel suo insieme. Ci sono sempre più anziani intorno a me, e il numero dei bambini sta diminuendo. Ciò mi mette a disagio”, ha affermato.
Per questo, quando Yoshida ha riletto il romanzo di Tsutsui dopo alcuni anni, la storia di un uomo anziano che cerca di rimettere in moto la sua vita mentre è ancora perseguitato dal suo passato gli è sembrata molto attuale. “Ho pensato che per me fosse un buon argomento su cui lavorare”, ha detto.
Yoshida, però, non ha realizzato Teki Cometh per trasmettere un messaggio sul momento presente. “Mi piace molto la sensazione che il pubblico sia attivo e coinvolto”, ha dichiarato. “Quindi spero che questo film possa stabilire con il pubblico un rapporto che non sia unilaterale, ma che sia più come un sogno che si possa interpretare attraverso la propria immaginazione. Un sogno che si desidera ripetere”.
Mark Schilling