L'inverno sta arrivando: il cinema di Hong Kong nel 2024

La battuta cinematografica che meglio incarna lo spirito della cultura pop hongkonghese nel 2024 viene, naturalmente, dal film locale di maggior successo dell’anno. In una delle scene più toccanti di The Last Dance di Anselm Chan, il protagonista Dominic (Dayo Wong), un ex wedding planner costretto a entrare nel settore delle pompe funebri per sbarcare il lunario, spiega al sacerdote taoista Master Man (Michael Hui) che il rituale funebre taoista denominato “rompere le porte dell’inferno” non serve a liberare solo le anime dei defunti, ma anche quelle dei vivi. “Ci sono molte anime tormentate”, dice Dominic. “Vivere può essere un inferno”.

Per chi vive a Hong Kong non è difficile capire perché questa affermazione abbia avuto un impatto così forte sul pubblico. A prescindere dall’orientamento politico, la vita non è stata facile nel 2024. La crisi economica globale e l’inflazione galoppante hanno spinto i consumatori di Hong Kong a limitare le spese. Per le attività ricreative, molti hanno preferito recarsi nella vicina Shenzhen, nella Cina continentale, e questo ha determinato la chiusura di numerose attività in città. Non è stato solo il settore della ristorazione a risentirne: il calo della spesa al consumo ha colpito quasi tutti i settori, incluso quello cinematografico. Gli incassi al botteghino continuano a calare e nel 2024 hanno chiuso ben nove cinema (anche se in seguito uno ha riaperto con una nuova gestione). L’attore Louis Koo, fondatore della casa di produzione One Cool Film, ha dichiarato ai media che nel 2025 l’industria cinematografica sta affrontando “un rigido inverno”.

Questo è il motivo per cui, nonostante l’industria sia nota soprattutto per i forti brividi dei suoi film di genere, nel 2024 il pubblico è stato conquistato da un dramma cupo che ha fatto versare molte lacrime. Nel pieno di un periodo di crisi al botteghino, sbandierata ai quattro venti, The Last Dance ha infranto tutti i record ed è diventato il film locale con il maggior incasso di sempre perché è stato un vero four quadrant film che quindi è riuscito a toccare il cuore di ogni segmento di pubblico [maschile e femminile, sopra e sotto i 25 anni di età]. Ha affrontato temi come le difficoltà economiche, l’inevitabilità della morte, i conflitti familiari, l’ondata di emigrazione e l’assurdità della misoginia generazionale. Ovviamente, la scelta di affidare i ruoli principali a due famosissimi comici come Michael Hui e Dayo Wong, qui alle prese con i ruoli più drammatici della loro carriera, ha contribuito al successo commerciale della pellicola.

Un altro film ugualmente cupo e dal successo inaspettato è stato Papa di Philip Yung, che viene dopo il suo kolossal epico, a lungo rimandato, Where the Wind Blows. A differenza del suo predecessore dal grosso budget, Papa è un’opera più modesta, a metà tra realtà e finzione e ispirata a un duplice omicidio avvenuto nel 2010, in cui un adolescente schizofrenico uccise la madre e la sorellina. Con una straordinaria prova d’attore, Sean Lau veste i panni di un padre che si ritrova nella tragica posizione di essere parente sia delle vittime che dell’assassino. Nonostante la tristissima vicenda, il pubblico è rimasto affascinato dall’acclamata interpretazione di Lau e dal personalissimo stile narrativo non lineare di Yung, al punto che Papa è diventato uno dei film locali di maggior incasso del 2024.

Sebbene meno riuscito sul piano commerciale, anche All Shall Be Well di Ray Yeung si è fatto notare per il singolare approccio a un tema preso dalla cronaca. È un dramma delicato ma provocatorio che illustra come a Hong Kong le coppie omosessuali non abbiano nessuna tutela legale. Il film, che ha vinto il Teddy Award alla Berlinale, narra le vicende di una donna che rischia di perdere la casa dopo la morte della compagna, morta senza lasciare nessun testamento. Come nel suo precedente Suk Suk, Yeung adotta una prospettiva rilassata e descrittiva e, senza esprimere giudizi né stigmatizzare i personaggi, cerca di analizzare tutti gli aspetti della questione. Il film si conclude con un messaggio di liberazione anziché di risentimento. La prospettiva relativamente ottimistica rispetto alle tragedie della vita reale, sia in Papa che in All Shall Be Well, è la dimostrazione che il cinema può trattare temi difficili senza risultare necessariamente opprimente.

Ciò non significa però che i tradizionali film di genere abbiano smesso di attrarre il pubblico di Hong Kong. Per la maggior parte delle pellicole commerciali di oggi, l’importante è solo essere confezionate nel modo giusto. In The Prosecutor, Donnie Yen porta sullo schermo un’intricata vicenda giudiziaria ispirata a un fatto realmente accaduto, in cui persone innocenti furono condannate per traffico di droga solo per aver ingenuamente prestato il proprio recapito a dei narcotrafficanti. Il film sfida ogni aspettativa, mettendo in scena un dramma legale sorprendentemente avvincente che, tra l’altro, si apre e si chiude con impressionanti scene di combattimento.

Yen, che del film è sia regista che protagonista (ha affidato la coreografia delle scene d’azione al suo collaboratore di lunga data Ouchi Takahito), riesce comunque a fare ciò che gli riesce meglio (riempire di botte tutti senza fermarsi a chiedere i nomi) ma si concede anche una bella prova attoriale nei panni del pubblico ministero idealista che si scontra con i superiori per prosciogliere un giovane innocente da un’accusa ingiusta. In una Hong Kong dove vige la legge sulla sicurezza nazionale, le critiche del film al sistema legale hongkonghese, per quanto velate, sono già piuttosto audaci secondo gli standard attuali.

L’altro blockbuster di grande successo del 2024, Twilight of the Warriors: Walled In di Soi Cheang, ha puntato su una formula più classica per attrarre il pubblico: una miscela perfettamente equilibrata di spettacolo di arti marziali vecchio stile, una sorprendente dimostrazione dell’incanto della scenografia classica coniugata a magie generate digitalmente, nostalgia per la Hong Kong di un tempo e un tocco di intramontabile amicizia virile.

Il film è l’adattamento a grosso budget di un famoso romanzo e del fumetto che ne è stato tratto, e narra una storia di fratellanza che si svolge nella famigerata Città Murata di Kowloon, un quartiere povero noto per essere stato infestato dalla criminalità e dall’illegalità durante gli ultimi trent’anni. Cheang, tuttavia, sceglie di mettere in evidenza il cameratismo all’interno della comunità, e rappresenta la Città Murata come un luogo per lo più abitato da gente comune che vuole solo guadagnarsi da vivere, e da vicini sempre pronti ad allearsi contro gli invasori esterni.

Mentre all’estero l’attenzione degli spettatori si è concentrata principalmente sulle emozionanti sequenze d’azione (coreografate da Tanigaki Kenji, un altro collaboratore di lunga data di Donnie Yen), il pubblico di Hong Kong si è focalizzato invece sulla nostalgia per la Città Murata di Kowloon, e il film ha trasformato in idoli delle folle i giovani attori del cast, Raymond Lam, Philip Ng, Terrence Lau, Tony Wu e German Cheung. Al di là di tutto, ciò di cui si è discusso maggiormente tra gli abitanti di Hong Kong è stato se lo slogan promozionale del film – “Non puoi andartene, ma non puoi restarci dentro” – si riferisse a qualcosa di più della sola Città Murata di Kowloon.

Ugualmente spettacolare, ma dal tono ancora più cupo, è il thriller catastrofico Cesium Fallout di Anthony Pun. Il film descrive un incombente disastro radioattivo che viene scatenato da un incendio in un centro di smaltimento rifiuti; e si muove avanti e indietro tra la scena dell’emergenza – con i vigili del fuoco che lottano contro le fiamme e cercano di individuare il materiale radioattivo che l’incendio diffonde in città – e scene ambientate nella sede del governo, dove si consuma uno scontro verbale tra un esperto di inquinamento ambientale (Andy Lau) e un’ambiziosa burocrate (Karen Mok). Sebbene le spettacolari sequenze del disastro colpiscano per la loro imponente messa in scena, la coinvolgente narrazione delle evacuazioni di massa, i riferimenti a catastrofi imminenti e un epilogo tetro che mostra gli effetti devastanti delle radiazioni sui protagonisti renderà il film più straziante che adrenalinico per il pubblico.

Herman Yau si conferma uno dei cineasti più instancabili di Hong Kong con due nuovi titoli, usciti nel periodo estivo, che offrono un intrattenimento più tradizionale ed evasivo. In Crisis Negotiators, un remake piuttosto fedele del thriller hollywoodiano Il negoziatore, Yau dà il suo meglio come abile creatore di film curati e dal ritmo serrato. Vedere Sean Lau e Francis Ng affrontarsi in una battaglia di ingegni ad alta tensione farà sicuramente provare nostalgia ai cinefili di lungo corso, che ricorderanno i vecchi tempi in cui Hong Kong sfornava a cadenza mensile film di genere a medio budget come questo.

Lo scorso anno, in un’intervista realizzata per il FEFF da chi scrive, Yau ha dichiarato che Customs Frontline era stato concepito come una risposta alla nuova realtà del genere poliziesco. Rendendosi conto che, dopo le proteste del 2019, il pubblico avrebbe potuto essere meno ricettivo nei confronti delle tradizionali storie di poliziotti, Yau e i suoi produttori hanno cercato di applicare gli elementi tipici del cinema d’azione a un altro corpo delle forze dell’ordine. È venuto fuori però che il pubblico di Hong Kong non era tanto pronto a vedere agenti della dogana impegnati in spettacolari scontri a fuoco contro trafficanti d’armi nel porto di Victoria, e questo si è tradotto in recensioni perlopiù negative.

Nonostante la controversia sorta intorno al premiato To My Nineteen-Year-Old Self di Mabel Cheung (ritirato dalle sale nel 2023 dopo che una partecipante al documentario ha dichiarato di non essere stata informata che il film sarebbe stato proiettato in pubblico), il 2024 è stato un anno molto positivo per i documentari. Obedience di Wong Siu-pong, un documentario sobrio e descrittivo sul quartiere di Hung Hom (lo stesso in cui è ambientato in gran parte The Last Dance), è stato selezionato per il festival di Rotterdam, oltre a ottenere un’uscita a Hong Kong in un numero limitato di sale. Winter Chants, l’ultimo capitolo della serie di documentari di Jessey Tsang dedicati al suo villaggio natale, Ho Chung, è stato inoltre scelto come uno dei film consigliati dell’anno dalla Hong Kong Film Critics Society.

Sul versante commerciale, il popolare canale YouTube Trial and Error (fondato tra gli altri da Neo Yau, già ospite del FEFF) ha ottenuto un solido successo commerciale con il suo primo lungometraggio, il documentario Once Upon a Time in HKDSE, realizzato partendo da una serie di video, rieditati e ampliati, che raccontavano il faticoso percorso di uno studente per superare l’esame del HKDSE (Hong Kong Diploma of Secondary Education, obbligatorio per l’accesso all’università). Il film, il cui montaggio è stato curato da William Chang, è stato apprezzato dal pubblico locale per la rappresentazione puntuale dell’enorme pressione esercitata da un esame unico e standardizzato, dal quale può dipendere il futuro di uno studente. Tuttavia, il film è stato messo parzialmente in ombra dai problemi legali del suo protagonista, Hong Tang, condannato per taccheggio poco dopo l’uscita della pellicola.

Sul fronte documentaristico, la vera sorpresa del 2024 è stata un film sullo sport, dedicato a una straordinaria gara di trail running e intitolato Four Trails, esordio alla regia di Robin Lee, video maker che lavora in esterni. Si tratta di un documentario estremamente coinvolgente sull’edizione 2021 della durissima Hong Kong Four Trails Ultra Challenge, un’estenuante ultramaratona in cui i partecipanti devono percorrere 298 chilometri attraverso i sentieri montuosi di Hong Kong, in meno di 80 ore. Grazie a spettacolari riprese aeree con droni, interviste ai corridori e inquadrature dettagliate dal campo di gara, il film ha conquistato il pubblico locale, affascinato sia dallo spirito atletico mostrato dai partecipanti che dalle vedute mozzafiato di Hong Kong ripresa dalle montagne. Grazie a Four Trails, che è diventato uno dei documentari di Hong Kong con il maggiore incasso di sempre, Lee è stato candidato ai premi per il miglior regista esordiente e per il miglior montaggio agli Hong Kong Film Awards, un risultato raro per un documentario.

Mentre negli ultimi anni, nelle loro opere prime, i nuovi registi di Hong Kong hanno affrontato tematiche più serie e socialmente rilevanti, gli esordienti del 2024 hanno invece presentato film che spaziano in una gamma più ampia di generi, come hanno dimostrato gli Hong Kong Film Awards di quest’anno nella categoria dedicata al premio per il miglior regista esordiente.

La produzione di maggior successo commerciale fra questi esordi è stata Love Lies, realizzato dalla sceneggiatrice veterana Ho Miu-ki (Naked Ambition 2, La Comédie humaine), che ha ottenuto i finanziamenti nell’ambito del progetto governativo First Feature Film Initiative. Si tratta di una commedia romantica non convenzionale, in cui Sandra Ng interpreta una ginecologa ostetrica divorziata che cade vittima di una truffa online orchestrata da un giovane imbroglione alle prime armi (la pop star Michael Cheung). Con un approccio più frizzante, che si avvicina ai classici registi delle commedie romantiche hollywoodiane, come Nancy Meyers o Garry Marshall, o alle commedie per la classe media hongkonghese degli anni Ottanta prodotte dalla D&B, il film di Ho si avvale di interpretazioni eccezionali e di una sceneggiatura incisiva, scritta dalla regista in collaborazione con il suo mentore, il navigato cineasta Chan Hing-ka.

Un altro sceneggiatore storico che ha adottato un approccio più commerciale è Jill Leung, il cui esordio alla regia, Last Song for You, è il racconto commovente di un musicista ormai finito (Ekin Cheng) che durante un viaggio in Giappone con la figlia (Natalie Hsu) rievoca il suo primo amore (Cecilia Choi), ormai defunta. Oltre a mostrare un aspetto più delicato di Leung, noto soprattutto per essere il co-sceneggiatore di film d’azione come Paradox e Ip Man 3, il film vanta una performance stellare dell’esordiente Natalie Hsu, che al suo primo ruolo da protagonista è stata candidata al premio per la migliore attrice degli Hong Kong Film Awards.

Stuntman è un altro progetto finanziato dalla First Feature Film Initiative, che segna l’esordio alla regia dei fratelli Albert e Herbert Leung, attori e cascatori. Il film, nel quale il leggendario regista d’azione Stephen Tung interpreta uno stuntman caduto in disgrazia che torna sul set per un’ultima impresa, è sia un affettuoso omaggio al cinema d’azione di Hong Kong di un tempo, sia una critica al palese disprezzo per la sicurezza che caratterizzava la realizzazione di quei film. Ultimo ma non meno importante, il toccante dramma An Abandoned Team di Thomas Lee e Daniel Ho è la storia di un vecchio scorbutico dal cuore gelido (Lawrence Cheng) che comincia a sciogliersi quando accoglie un cane randagio e inizia a darsi da fare nel rifugio per animali del suo villaggio. Non sorprende che prima del suo lieto fine il film riesca a insegnare agli spettatori ad apprezzare i nostri amici a quattro zampe.

Stuntman incarna perfettamente l’attuale dilemma del cinema di Hong Kong: continuare a celebrare e sfruttare le sue glorie passate oppure fare il possibile per reinventarsi per le nuove generazioni? Potrebbe sembrare un dilemma irrisolvibile, ma lo scorso anno a Hong Kong ha dato l’avvio a una gamma di storie incredibilmente variegata. È vero che l’industria cinematografica hongkonghese potrebbe davvero trovarsi ad affrontare, per riprendere le parole di Mr Louis Koo, “un rigido inverno”, ma forse possiamo imparare una lezione dai norvegesi: quando arriva il freddo, bisogna pensare a coprirsi di più.
Kevin Ma