Da buon puntino rosso sulle carte geografiche, Singapore è piccola che più non si può. Quando si pensa alla sua industria cinematografica, a molti viene in mente un solo regista locale (cioè Jack Neo), che ha regnato sui botteghini negli ultimi dieci anni. La maggior parte dei film di Singapore non esce nemmeno in sala e, se questo avviene, sparisce rapidamente nell’avvicendamento del botteghino. Se invece parliamo di premi cinematografici, Singapore ha un medagliere migliore di quello che ha ottenuto alle Olimpiadi, con due premi importanti vinti nel 2018. L’anno è iniziato con il botto, quando Shirkers di Sandi Tan ha vinto il premio per la migliore regia nella sezione World Documentary al Sundance Film Festival. Qualche mese dopo, Chris Yeo ha vinto il Pardo d’Oro per il miglior film con A Land Imagined al Festival di Locarno.
Entrambi i film rappresentano dei casi anomali. Shirkers esamina quello che è accaduto a un film dallo stesso titolo che Sandi Tan aveva scritto e interpretato da adolescente, nel 1992. All’epoca il film non venne distribuito – se lo fosse stato, sarebbe passato alla storia come il primo lungometraggio indipendente moderno di Singapore, e avrebbe potuto persino cambiare il volto e il percorso del cinema locale. L’universo di Tan era decisamente bizzarro, con chiari riferimenti a fumetti e musica appartenenti alla cultura pop, e il film si dipanava come se fosse un predecessore di Ghost World di Terry Zwikoff, anche se quest’ultimo è stato realizzato più tardi, nel 2001!
Il primo Shirkers era così folle che avrebbe innalzato con grande fierezza la bandiera della bizzarria singaporiana, e sarebbe stato molto, molto più difficile cooptarlo nel mainstream rispetto alla stragrande maggioranza degli indipendenti di Singapore di oggi. Il film, girato in 135 location diverse e con un budget di 400.000 dollari di Singapore, parlava del paradosso per cui si uccidono le persone che si amano; ma è misteriosamente scomparso insieme al suo regista, Georges Cardona. Dopo la morte di quest’ultimo sono ricomparse dal nulla 70 bobine di pellicola da 16mm, grazie alla vedova di Cardona.
La nuova versione di Shirkers rievoca il tutto attraverso i ricordi del cast e della troupe che ribadiscono l’impossibilità perfino di realizzare il film. Quel che più conta è la consapevolezza che i talenti più eccentrici non vengono assolutamente notati dai finanziatori di Singapore, dato che nemmeno la seconda incarnazione di Shirkers ha ancora trovato finanziamenti ufficiali. Ma come dice Tan nel film: “Quando avevo 18 anni, pensavo che si potesse trovare la libertà costruendo mondi nella propria testa”.
Allo stesso modo, A Land Imagined di Chris Yeo ha dovuto abbracciare il realismo magico per rivelare la fantastica realtà di Singapore. Come nel caso di Shirkers, il film di Yeo assume la forma di un mistero, con la scomparsa e le possibili morti di un lavoratore cinese migrante e di un lavoratore del Bangladesh in un sito di bonifica. C’è del simbolismo nella storia: una comunità di immigrati cinesi ha preso il controllo di Singapore dopo la sua fondazione da parte degli inglesi nel 1819 e molto più tardi sono arrivati operai dal Sud-est asiatico che, reclutati alla fine degli anni Settanta per il limitato mercato del lavoro, oggi rappresentano una parte importante della forza lavoro straniera.
Lo spazio, e il bisogno di averne di più, è sempre stato un’ossessione per questo “puntino rosso”. La bonifica delle terre per aumentare la massa di terreno coltivabile del paese è diventata una questione così controversa che si dice che Singapore, con le sue enormi importazioni di sabbia, abbia contribuito ai problemi ambientali della Cambogia (di conseguenza, la Cambogia ha vietato le esportazioni di sabbia verso Singapore nel 2017). Con un film che accenna appena alla realtà, Yeo ricrea lo shock e lo stupore che i singaporiani a volte provano per il loro paese, una sensazione che spesso trova espressione soltanto nella loro immaginazione. O come dice Tan, “costruendo mondi nella propria testa”.
Shirkers è stato acquistato da Netflix e distribuito (non in sala) lo scorso anno, mentre A Land Imagined è uscito nel febbraio 2019. Quest’ultimo però è riuscito a ottenere finanziamenti ufficiali per la produzione, forse grazie al curriculum del produttore Fran Borgia che ha avuto molti film selezionati a Cannes.
Nel frattempo il montatore di A Land Imagined, Daniel Hui, ha diretto il suo terzo film, Demons, che è stato presentato al Festival Internazionale del Cinema di Busan, in Corea, lo scorso anno. Come per A Land Imagined, anche qui il realismo magico pervade il film, ma questa volta è incentrato sulla relazione tra un violento regista teatrale e la sua attrice. Lo si può definire un horror psicologico; c’è un sufficiente numero di scene orribili e raccapriccianti da fare scappare il pubblico raffinato da cinema d’essai. È successo alla Berlinale, dove ad ogni proiezione circa il dieci per cento del pubblico ha lasciato la sala.
È facile leggere questo film liquidandolo semplicemente come la narrazione della dinamica tra un’attrice e un regista, dal momento che il nome del regista viene trasposto sul protagonista, e tanto più che lo stesso cineasta interpreta l’amante della protagonista. Ma il “doppio” che ricorre nel film mette in campo l’idea che Singapore sia il posto ideale per trovare il proprio gemello malvagio! Facendo un ulteriore passo avanti, la dinamica tra attrice e regista si può definire “politica”, in quanto mostra una relazione di potere tra le persone e il loro leader.
L’ironia è doppiamente divertente se si pensa che Glen Goei (presente al FEFF in una delle prime edizioni, con Forever Fever), che interpreta il regista in Demons, ha diretto The Blue Mansion (2009), un racconto allegorico sulla famiglia del leader del partito al governo a Singapore. In un certo senso, Goei riprende il ruolo che non ha mai avuto nel suo film, con una interpretazione che è un capolavoro.
I sottotesti abbondano nel cinema di Singapore e questo fa sì che le recensioni locali e quelle straniere sembrino appartenere a pianeti diversi. Tuttavia, mentre nelle interviste e nelle recensioni pubbliche molto rimane inespresso (oppure omesso, tanto per provocare), ciò ha portato a una specie di carriera professionale compulsiva chi di noi ha seguito questi film per tutti questi anni. I tre titoli summenzionati sono degni di nota per il loro pedigree. Ad esempio, mentre Shirkers è un amorevole inno alla Singapore degli anni Novanta, la regista è considerata “una regista statunitense nata a Singapore”. Non solo Daniel Hui è il montatore del film di Chris Yeo, ma fanno parte entrambi di un collettivo indipendente, 13 Little Pictures, diversi membri del quale compaiono anche in Demons. Si tratta di un’avanguardia cinematografica che si distingue dal mainstream di Singapore.
Complessivamente, l’anno scorso sono usciti in sala circa nove titoli, incluso il film di Jack Neo Wonderful! Liang Xi Mei, con un incasso al botteghino di 1,7 milioni di dollari di Singapore. Altri film erano Ramen Teh di Eric Khoo, su uno chef giapponese che mette insieme la zuppa di costine di maiale di Singapore (chiamata bak kut teh) con la zuppa di noodles giapponese (ramen). Questa è anche una ricerca di famiglia, dato che la defunta madre veniva da Singapore. Il regista giapponese Saitoh Takumi interpreta lo chef e c’è uno straordinario cameo della diva Matsuda Seiko.
La reputazione e l’ossessione di Singapore per il cibo si ripropongono nella commedia di Kelvin Tong Republic of Food. In un futuro distopico il consumo di alimenti non lavorati è vietato a causa di un virus globale di origine alimentare. Ma, a Singapore, un club gastronomico clandestino continua a sfornare pietanze di tutti i tipi, fino a quando non vengono tutti arrestati. Zombiepura di Jacen Tan cerca di calcare le orme sia del successo coreano Train to Busan (2016) che delle commedie sull’esercito di Jack Neo, Ah Boys to Men (di cui è in preparazione il quinto sequel), con un film su un campo militare infettato da un virus che trasforma in zombie. Nel frattempo Gilbert Chan ritorna con un sequel di 23:59 (2011), dal titolo 23:59: The Haunting Hour. È in buona parte la stessa faccenda dell’esercito in salsa horror, con uno slogan che recita: “Nessun esercito è al sicuro dall’inferno”.
Il debutto alla regia di Mike Wiluan, Buffalo Boys, è stato il candidato di Singapore agli Oscar di quest’anno per la categoria di miglior film in lingua straniera. Molti esperti sono stati colti alla sprovvista perché il film, costato quattro milioni di dollari di Singapore, dava l’impressione di essere un film indonesiano, un western con cowboy ambientato nell’Indonesia coloniale. “Non si fanno film western in questa parte del mondo”, ha detto Wiluan. “Volevo capire come creare una storia interessante che avesse senso, così ho usato la storia indonesiana e ho riempito il film di fatti interessanti sul colonialismo”.
Tra i titoli più tradizionali figurano A Simple Wedding di Lee Thean Jeen, un film che segue le difficoltà di una giovane coppia, e Wayang Kids di Raymond Tan, una commedia per bambini che sottolinea l’armonia interculturale. Non c’è da meravigliarsi se il film ha ricevuto finanziamenti dal Fondo Lee Kuan Yew per il bilinguismo. La recente preoccupazione per il regionalismo interculturale è emersa con l’arrivo del fondo cinematografico del Sud-est asiatico. Il fondo, che è amministrato dalla Singapore Film Commission, riconoscerà fino a 250.000 di dollari di Singapore per film, purché questo sia prodotto e sviluppato da produttori singaporiani, con partner del Sud-est asiatico. Forse questo è il motivo per cui Buffalo Boys è stato scelto come candidato di Singapore per gli Oscar.
Per quanto a Singapore la frequenza cinematografica pro capite rimanga la più elevata al mondo, con 19 milioni, è noto che c’è stato un calo nel numero totale, da 22 milioni nel 2016 a 19 milioni nel 2017. Ma nuove sale cinematografiche sono in costruzione. La Eagle Wings, un nuovo esercente indipendente, è entrato nel mercato alla fine dello scorso anno con un multisala composto da due sale premium e due standard, portando così da 257 a 261 il numero totale di schermi e a otto il numero di esercenti con più di una sala.
Questa visione lungimirante è evidente anche in una serie di film indipendenti e autofinanziati. Il più intrigante di tutti è Konpaku (Soul) di Remi M Sali, un giovane regista che ha iniziato con i cortometraggi nel 1995 (dopo Sandi Tan). Il film di Sali, realizzato come sempre con il suo partner cinematografico, il direttore della fotografia Dzulkifli Sungit, è un’opera provocatoria e politicamente scorretta sulla minoranza malese a Singapore. Ispirato a un esorcismo islamico realmente accaduto, il film è una storia d’amore tra un uomo e uno spirito femminile. Lo si potrebbe definire un aggiornamento dei film di Pontianak (vampiri femminili) degli anni Cinquanta, poiché Konpaku affronta il fenomeno sociale dei matrimoni misti ai giorni nostri. In questo caso lo spirito femminile è giapponese, e si dà il caso che sia uno spirito molto libidinoso (per chi non lo sapesse, iku iku in giapponese significa “sto venendo”). A differenza di altri film horror di Singapore, Konpaku sfoggia con orgoglio la sua appartenenza culturale. Immaginereste mai che buona parte del dialogo è un dibattito con il fantasma circa il matrimonio e la necessità della conversione all’Islam?
Infine, Jimami Tofu di Jason Chan e Christian Lee rappresenta il futuro globale senza confini. Entrambi i registi sono residenti permanenti a Singapore, il primo proveniente dall’Australia e il secondo dagli Stati Uniti. La loro casa di produzione, Banana Mana Films, ha sede a Singapore e il loro film Jimami Tofu, che ha ottenuto il premio del pubblico all’Hawaii International Film Festival nel 2017, è incentrato su uno chef singaporiano, interpretato da Chan. Il film però è stato girato in gran parte ad Okinawa, con un cast giapponese. Il titolo si riferisce a un piatto di Okinawa e la storia parla di uno chef che si innamora di una critica gastronomica giapponese e cerca di superare i confini culturali affrontando una cucina diversa. Lo si può definire davvero un film di Singapore? Chi lo sa, e chi se ne importa? Crazy Rich Asians potrebbe anche essere il gemello malvagio di questo film!
Philip Cheah