Nel corso degli anni, il FEFF di Udine ha presentato alcuni film del maestro del cinema taiwanese, Lee Hsing. Quest’anno, il festival proporrà tre opere di un’altra figura chiave del cinema ufficiale di Taiwan durante la dittatura, Pai Ching-jui: Lonely Seventeen, Accidental Trio e Good Bye! Darling, recentemente restaurati dal Taiwan Film and Audiovisual Institute. Sebbene i due registi, che si conobbero all’università, fossero amici stretti, non avrebbero potuto essere più diversi per stile e tematiche. Pai Ching-jui era un regista contraddittorio, profondamente affascinato dalla cultura popolare taiwanese ma al tempo stesso pienamente consapevole della sua identità di cineasta cinese. I suoi film, scissi tra il successo commerciale, il gusto personale dell’autore (spesso in contrasto con la linea ufficiale) e la censura, incarnano perfettamente le restrizioni dell’epoca della legge marziale.
Pai era nato in Cina nel 1931 e arrivò a Taiwan da solo nel 1948, come studente sfollato, quando il KMT (Kuomintang, Partito Nazionalista Cinese) venne sconfitto dai comunisti. In quanto waishengren (persona proveniente dalla Cina continentale), si trovò a confrontarsi con la cultura ibrida dei benshengren (taiwanesi locali), appena usciti da 50 anni di dominio coloniale giapponese. Solo e senza il sostegno della famiglia, Pai lavorò inizialmente come illustratore, attore, sceneggiatore e giornalista, finché riuscì a mettere da parte abbastanza denaro per realizzare il suo sogno: studiare cinema in Italia. Grande appassionato del neorealismo italiano, nel 1961 si iscrisse alla Scuola Nazionale di Cinema. Tornato a Taiwan nel 1963, fu invitato a entrare nel più importante studio cinematografico statale, la Central Motion Picture Corporation (CMPC). Il suo primo film, il documentario A Morning in Taipei – una semplice e affettuosa sinfonia urbana che cattura la vita quotidiana – non soddisfece le aspettative dei dirigenti e rimase chiuso in un cassetto per decenni.
Dopo questa iniziale battuta d’arresto, Pai lavorò come sceneggiatore e nel 1966 firmò la co-regia di un film storico di propaganda, il cui successo gli permise finalmente di realizzare il suo primo film, Lonely Seventeen, nel 1967. Nel 1964 la CMPC aveva lanciato il movimento del “Sano Realismo”, sostenuto da Lee Hsing, che promuoveva una visione idealizzata ed entusiasta della modernizzazione di Taiwan sotto il governo del KMT. Il film di Pai non rientrava esattamente, a dir poco, in questa linea. Da un lato, ritraeva audacemente una giovane adolescente, Tan-mei, i suoi desideri e le sue fantasie infantili per il fidanzato della sorella, interpretato dal ragazzaccio per eccellenza del cinema taiwanese, Ko Chun-hsiung. Dall’altro lato, il film era una critica feroce della borghesia taiwanese degli anni Sessanta.
I genitori e la sorella di Tan-mei sono fisicamente assenti ed emotivamente distanti, immersi in un vortice infinito di attività sociali. La loro casa è piena di oggetti che simboleggiano la loro ricchezza – un frigorifero, un televisore, un grande acquario e vari soprammobili – ma questi comfort materiali offrono alla solitaria adolescente solo un freddo surrogato del calore umano. Pai utilizza magistralmente immagini incorniciate da altre immagini [il cosiddetto surcadrage] per intrappolare visivamente la protagonista in una gabbia dorata. Quando Tan-mei, tormentata dal senso di colpa per la morte accidentale del ragazzo che ama, precipita nella depressione, la sua famiglia e i suoi insegnanti la rimproverano perché sta trascurando gli studi, senza mai interrogarsi sulle cause della sua tristezza. Il film segue questa discesa nelle tenebre, concludendosi bruscamente con un forzato lieto fine. Lonely Seventeen segnò il primo grande scontro di Pai con la censura, a cui rispose rendendo i vincoli imposti palesemente visibili. Il pubblico fu scioccato dall’improvviso cambio di tono del film, una strategia che avrebbe poi perfezionato nel suo film più personale, Good Bye! Darling (1970).
Per Good Bye! Darling, Pai scelse il suo attore preferito, Ko Chun-hsiung, per il ruolo di A-lang, il classico furfante taiwanese. Ispirandosi liberamente a Generals di Chen Yingzhen, Pai cercò di realizzare un film neorealista a Taiwan. Sebbene la narrazione segua Kuai Chi, una giovane innocente venduta dalla madre a una banda musicale itinerante, che si innamora di A-lang, è proprio quest’ultimo a calamitare l’attenzione della macchina da presa. Con il suo fascino rude, l’atteggiamento da bad boy giapponese e lo sguardo concupiscente, sprigiona un magnetismo crudo poco frequente nel cinema taiwanese. La sua mascolinità sudata e selvaggia contrasta nettamente con gli archetipi maschili promossi dal KMT: uomini ordinati, obbedienti e laboriosi. Com’era da immaginare, la censura colpì di nuovo, questa volta sotto forma di un’inopportuna e artificiosa voce narrante all’inizio e alla fine del film, che cercava di neutralizzarne il messaggio sovversivo presentando la storia come un reperto del passato e riaffermando il darwinismo della modernizzazione di Taiwan. Nonostante queste modifiche imposte, la visione di Pai rimane amorevole ma ambigua. Con una scelta coraggiosa per l’epoca, mantenne alcune battute in lingua taiwanese sullo sfondo, sfidando la repressione del governo nei confronti dei dialetti locali.
Lo sguardo acuto, divertito ma allo stesso tempo empatico di Pai sulla società taiwanese dell’epoca è evidente anche in Accidental Trio (originariamente intitolato Nobody Goes Home Today), realizzato nel 1969. Il titolo della canzone principale del film fu successivamente cambiato in Everybody Goes Home per preservare i valori tradizionali della famiglia. Proprio come Lonely Seventeen, anche questo film, sebbene adotti uno stile comico da slapstick, influenzato dalle commedie italiane e occidentali, ritrae famiglie borghesi sull’orlo di una crisi di nervi: un’adolescente trascorre una notte brava con un seduttore, un padre stanco cerca un po’ di svago con una ragazza da bar, mentre un giovane marito inganna la moglie per vedersi con la sua ex fidanzata. Sotto la patina della commedia, quella di Pai è una critica sociale pungente: perdita degli ideali, diffusione della prostituzione e comportamenti predatori. Gran parte della storia si svolge di notte, tra bar, sale da ballo e hotel – una vita nascosta – mentre sotto la legge marziale vige un rigido coprifuoco.
In questi tre film (e in altri, come Love in Cabin) Pai si schiera costantemente dalla parte dei giovani in cerca di libertà e degli emarginati della società, come Old Monkey in Good Bye! Darling o il padre di famiglia esasperato che cerca rifugio dal caos in Accidental Trio. Le sue scelte stilistiche – ritmo veloce, rapidi zoom in avanti e in indietro, musica energizzante e una mise-en-scène giocosa, ricca di dettagli che si accumulano – sfidavano l’estetica rigida e tradizionale che dominava il cinema taiwanese ufficiale di allora.
Amato dal pubblico ma limitato dalle restrizioni governative, Pai Ching-jui rimane uno degli esempi più emblematici di un cineasta la cui libertà creativa sotto la legge marziale fu oggetto di mediazione continua. Dopo questa età dell’oro, Pai si rivolse verso un cinema sentimentale, più sicuro dal punto di vista commerciale, pur mantenendo il suo inconfondibile stile visivo. Tuttavia, all’inizio degli anni Ottanta, le audaci innovazioni stilistiche e tematiche del movimento del Nuovo Cinema Taiwanese segnarono una netta rottura con la generazione precedente, rappresentata da King Hu, Lee Hsing e dallo stesso Pai Ching-jui. Proprio lui, un tempo portavoce della gioventù, era ormai diventato una reliquia del passato. Pai Ching-jui è deceduto nel 1993.
Wafa Ghermani