Con la diffusione della pandemia da Covid-19 nel 2020 e nei primi mesi del 2021, Hong Kong ha dovuto affrontare ancora una volta tempi duri e difficili. Nel 2019 la città era sprofondata nel caos, quando le pressioni governative per l’emanazione di un disegno di legge sull’estradizione avevano dato il via a mesi di accese proteste. All’inizio del 2020, con il diffuso malcontento sociale tutt’altro che risolto, Hong Kong si è trovata catapultata in un periodo di provvedimenti per il contrasto alla malattia. Sul fronte cinematografico, malgrado i livelli di infezione in città siano rimasti bassi, il distanziamento sociale e altre misure antiepidemiche hanno fatto sì che, nell’ultimo anno e mezzo, i cinema locali restassero chiusi per diversi mesi. Inoltre, la chiusura delle sale cinematografiche a Hong Kong, nella Cina continentale e altrove – sommata alle gravi interruzioni della produzione cinematografica – ha causato seri problemi ai professionisti del cinema della città.
Le sale cinematografiche di Hong Kong sono state chiuse per ben tre volte nel corso del 2020, e con la chiusura più recente i cinema sono rimasti inattivi durante le vacanze di Natale e del Capodanno Lunare. In occasione delle riaperture, le sale potevano contare solo su un numero limitato di posti a sedere e la distribuzione di molti titoli è stata posticipata. Il film hongkonghese che ha incassato di più nel 2020, la commedia di Dayo Wong The Grand Grandmaster, è uscito in sala nel periodo del Capodanno Lunare, alla vigilia della prima ondata di restrizioni a livello locale, ma la produzione che si è piazzata al secondo posto nella classifica dei film locali, il dramma psicologico di Kiwi Chow Beyond the Dream, uscito più avanti nel corso dell’anno, ha dovuto fare i conti con le chiusure. Lo scorso anno sono stati solo tre i film di produzione locale che al botteghino hanno superato i 10 milioni di dollari di Hong Kong (1,3 milioni di US$). Il terzo è All’s Well, End’s Well 2020 di Raymond Wong, un tradizionale film da Capodanno cinese con una storia leggera di furfanti perbene.
Quando, all’inizio dello scorso anno, la produzione cinematografica a Hong Kong e nella Cina continentale ha iniziato ad andare a rotoli e l’incertezza si è diffusa, gli addetti del settore si sono ritrovati con i progetti bloccati e senza entrate. Inevitabilmente alcuni di essi hanno dovuto cercare lavoro altrove, mentre successivamente sono state attivate misure di sostegno sia dal settore pubblico che da quello privato. Nel mese di luglio sono stati annunciati sussidi governativi per un totale di 260 milioni di HK$ (33,5 milioni di US$) per finanziamenti cinematografici, formazione di talenti e altro. Diverse società hanno avviato produzioni locali con un occhio alla ripresa e al sostegno dei neofiti, mentre un fondo di emergenza del settore cinematografico forniva degli assegni per i lavoratori colpiti dalla crisi. Gli esercenti hanno ottenuto sussidi governativi per tre volte, sebbene questo possa non bastare per far fronte agli affitti astronomici di Hong Kong: all’inizio di quest’anno la catena di multiplex UA Cinemas ha annunciato che avrebbe chiuso i battenti, dopo oltre 35 anni di attività.
Quando sono potuti tornare in sala, nel 2020, gli hongkonghesi potevano scegliere entro un discreto numero di titoli, anche se chiaramente la quantità di film in distribuzione era diminuita. Nel 2020 sono usciti in sala 34 film di produzione locale, rispetto ai 46 del 2019. Due produzioni hongkonghesi si sono piazzate tra i dieci migliori incassi, un netto miglioramento rispetto allo zero registrato nel 2019 e nel 2018. La cifra totale al botteghino dello scorso anno è stata di 536 milioni di HK$ (69 milioni di US$), con una contrazione del 72%, e il numero di uscite su base annua è passato da 329 a 218.
Il successo di The Grand Grandmaster ha segnato il trionfo di una battagliera opera locale su produzioni di gran lunga più importanti. Diretto e interpretato dal popolare cabarettista Dayo Wong (che ha venduto un appartamento per reperire i fondi necessari a realizzare il film), The Grand Grandmaster è una parodia di arti marziali in cui Wong interpreta il responsabile di una scuola di kung fu di basso livello che viene picchiato da una pugile; man mano che si avvicina il momento della rivincita, tra i due si sviluppa una relazione. Per quanto non sia proprio un film di kung fu di qualità, il pubblico è stato attirato dall’approccio rude e combattivo. Beyond the Dream, uscito in estate, è invece un dramma elegante e ambizioso sulla malattia mentale, che ha conquistato il pubblico con la storia di un giovane che si innamora di una figura immaginaria e poi incontra la sua sosia nella realtà. Il complesso intreccio del film e le immagini a volte surreali della periferia hanno riscosso consensi e il pubblico ne ha apprezzato soprattutto il sapore locale.
Anche nel 2020, come avviene da qualche anno a questa parte, il cinema di Hong Kong si è sviluppato secondo due direzioni principali: grandi co-produzioni, realizzate sperando nel successo nella Cina continentale, e opere di dimensioni più contenute, che perlopiù non si rivolgono a quel mercato. Per i registi a caccia di grandi profitti, la co-produzione tra Hong Kong e Cina continua ad essere la soluzione ideale per accedere a budget elevati e star di primaria importanza. Il mercato locale è troppo limitato per generare sempre alti rendimenti (e l’interesse del pubblico per il prodotto locale è troppo discontinuo), mentre la co-produzione garantisce il collegamento con il circuito delle sale della Cina continentale, in forte espansione con i suoi oltre 77.000 schermi e un talento nell’infrangere regolarmente i record al botteghino.
Tra le costose co-produzioni del 2020 va citato Enter the Fat Dragon, diretto dal coreografo d’azione del cinema hongkonghese Tanigaki Kenji, con Donnie Yen nel ruolo di un poliziotto obeso inviato in Giappone per un’estradizione. Quando a Tokyo cominciano i guai, questo poliziotto fanatico di Bruce Lee salta da una divertente scena d’azione all’altra. Peter Chan ha rivolto la sua attenzione al mondo della pallavolo femminile cinese con Leap, che racconta la storia della squadra nazionale e del suo allenatore e di come sono arrivati a vincere una medaglia d’oro alle Olimpiadi. In Knockout invece Roy Chow affronta il mondo della boxe, con la storia di un pugile della Cina continentale che combatte sul ring mentre alleva la figlia. Vanguard di Stanley Tong, interpretato da Jackie Chan, è incentrato su un servizio di sicurezza privata d’élite. Quando sono chiamati a sventare un rapimento, i protagonisti si lanciano in scorribande d’azione in giro per il mondo. Fatal Visit di Calvin Poon è un cupo dramma domestico ambientato negli Stati Uniti, in cui un hongkonghese in visita si ritrova con una coppia profondamente disturbata.
Tornando a Hong Kong, i’m livin’ it è incentrato su una comunità di senzatetto che durante la notte si rifugia in un fast food. Pur trattando temi sociali difficili, il film di Wong Hing-fan ha un suo fascino pop grazie a un cast popolato di star del calibro di Aaron Kwok e Miriam Yeung. Parlando di thriller, Infernal Walker di Ally Wong riformula il concetto di triadi e poliziotti che hanno entrambi delle talpe nel campo avversario, dando vita a un’azione grintosa.
Se è vero che le co-produzioni spianano la strada a budget più consistenti, per i registi hongkonghesi un problema c’è: le joint venture sono considerate opere di produzione nazionale in tutto il territorio cinese, e pertanto prima di essere proiettate devono superare la censura del governo centrale. Alcuni dei requisiti sono facilmente comprensibili: ovviamente sono esclusi i contenuti politici, le questioni sociali spinose, il soprannaturale e i misfatti impuniti. Alcuni espedienti nella trama, come ambientare questioni problematiche per Hong Kong ai tempi del dominio coloniale britannico, o fare in modo che tutti i cattivi vengano catturati o muoiano, sono diventati così di routine che gli spettatori assidui se li aspettano.
Tuttavia, altri requisiti della censura possono essere più fluidi, e le produzioni devono superare una serie di processi di approvazione, dalla pre-produzione fino al via libera finale. Quello che potrebbe funzionare un anno potrebbe non andar più bene quello successivo, a seconda delle mutevoli circostanze politiche.
Per le co-produzioni, ulteriori difficoltà sono dettate dai diversi gusti del pubblico di Hong Kong e di quello della Cina continentale in merito al soggetto e agli interpreti. Di conseguenza, un’opera che va alla grande nei multiplex continentali potrebbe essere un fallimento a Hong Kong. Anche se non si tratta di una verità assoluta – con le giuste cautele, una co-produzione può trasmettere una decisa atmosfera hongkonghese e persino veicolare un’opportuna critica sociale – ne consegue, tra gli amanti del cinema hongkonghesi, una diffidenza verso queste opere per il grande schermo, che si somma ai continui timori che l’identità originaria del cinema di Hong Kong possa esserne indebolita.
In questo contesto, non sorprende che le opere più piccole e dallo spiccato sapore locale continuino a guadagnare importanza a Hong Kong. A parte The Grand Grandmaster e Beyond the Dream, l’anno scorso era disponibile una serie diversificata di film più piccoli. Tra i migliori figurano My Prince Edward di Norris Wong e Suk Suk di Ray Yeung, entrambi prodotti nel 2019 e usciti in sala nel 2020. Il film di Wong ha colpito per la trama ambientata in un famoso centro commerciale per servizi nuziali, e racconta la storia di una donna alle prese con l’improvviso sovvertimento della sua vita amorosa. Suk Suk è un dramma delicato incentrato sulla storia di due anziani padri di famiglia che intraprendono una storia d’amore gay.
Tra gli altri titoli del 2020, Legally Declared Dead di Yuen Kim-wai ha immerso gli spettatori in una cupa saga familiare portata alla luce da un investigatore assicurativo. Le interpretazioni estreme hanno contribuito ad aumentare l’intensità, mentre il film inciampa in scene sempre più bizzarre.
Memories to Choke On, Drinks to Wash Them Down, dei registi Leung Ming-kai e Kate Reilly, è una serie di cortometraggi, incentrati su diversi aspetti della vita di Hong Kong, che abbina opere narrative e documentarie. Tra i momenti migliori: un apprezzamento di Hong Kong sul tema del cibo, quando un insegnante accompagna in giro per la città un collega straniero.
No.7 Cherry Lane di Yonfan è qualcosa di completamente diverso: un film di animazione locale intriso di nostalgia, con al centro la storia della passione tra uno studente universitario, la ragazza a cui insegna e la madre di lei. Pur con un mezzo decisamente diverso per l’autore, il film è inconfondibilmente suo per la patina di decadenza e sensualità. You Are the One di Patrick Kong è una piacevole commedia romantica in cui una ragazza audace si innamora di un ricco scapolo; The Calling of a Bus Driver, sempre di Kong, è un divertente dramma di coppia in cui una donna, dopo la separazione, si mette a indagare sulla donna di cui si è innamorato il suo ex.
Apart di Chan Chit-man, un’opera a tema politico a basso budget ma ambiziosa, parte dagli studenti universitari che si riunivano durante le proteste della Rivoluzione degli Ombrelli del 2014 e li ritrova poi anni dopo, in occasione dei disordini del 2019. Il vivace e spensierato The Secret Diary of a Mom to Be di Luk Yee-sum presenta la storia di una donna in carriera i cui progetti di vita vengono scombussolati da una gravidanza inaspettata.
Find Your Voice di Adrian Kwan è la storia ispiratrice di un coro di ragazzi problematici, sotto la guida di un direttore d’eccezione. Molto più cupo è il thriller The Fallen di Lee Cheuk-pan, in cui riappare la figlia di un signore della droga, ansiosa di vendicarsi. Una menzione speciale va a Hell Bank Presents: Running Ghost, una particolarissima saga soprannaturale incentrata su un gioco a premi nell’oltretomba. Malgrado sia diretto dal comico di Singapore Mark Lee, il film è infarcito di stile da commedia horror hongkonghese e di riferimenti culturali e politici locali.
Tra i film degni di nota usciti nei primi mesi di quest’anno figurano Shock Wave 2 di Herman Yau, The Way We Keep Dancing di Adam Wong e One Second Champion di Chiu Sin-hang. Shock Wave 2 è un thriller sulle squadre di artificieri quando dei terroristi attivano un attacco nucleare a Hong Kong. La produzione ad altissimo budget ha portato sul grande schermo un’esperienza sensazionale, con un dramma ad alto rischio messo in scena attraverso tutta la città.
In The Way We Keep Dancing, giovani ballerini e influencer vengono cooptati per promuovere un progetto di parco e gentrificazione che potrebbe di fatto danneggiare gli interessi dei creativi del luogo. Pur offrendo materiale accattivante sulla cultura pop, il film mostra l’establishment al lavoro per ingabbiare la libera espressione. One Second Champion di Chiu presenta, invece, la storia ingegnosa di un pugile che ha la capacità di vedere nel futuro, un secondo in avanti. Con le azioni sul ring e le numerose sequenze di allenamento, intrecciate a scene in cui il protagonista alleva il figlio sordo, il film crea un’atmosfera edificante per gli spettatori locali, stanchi di tempi turbolenti.
Quest’anno è uscito in sala anche il documentario di Man Lim-chung Keep Rolling, che segue la carriera della regista Ann Hui dalla New Wave di Hong Kong fino alla regia di grandi produzioni, mostrando il suo attaccamento alla città. Man, noto scenografo, ha realizzato un ritratto dettagliato di Hui, e il film è imperdibile per gli amanti del cinema. Molto meno curata è la commedia sulla quarantena All U Need Is Love, un film abborracciato in piena crisi sanitaria per tenere occupati i talenti del cinema. La trama approssimativa ruota attorno a un hotel in cui gli ospiti e il personale sono rinchiusi dalle autorità, e gli autori ci hanno infilato dentro manciate di divi e di scene gratuite – dalle acrobazie al trucco – per far lavorare più gente possibile.
In termini di talento, Hong Kong ha continuato i suoi sforzi per far emergere nuovi registi, e molti dei film più piccoli sono opere prime o seconde. Su questo fronte, gli interventi hanno trovato slancio grazie alle misure governative annunciate lo scorso luglio. Tra queste, il potenziamento della First Feature Film Initiative (“iniziativa per il primo lungometraggio”), che finanzia completamente film di registi esordienti, e copre sei progetti all’anno, ciascuno con un budget massimo di 8 milioni di HK$ (1 milione di US$).
Il Directors’ Succession Scheme (“progetto di successione dei registi”) mette insieme giovani registi e veterani del settore come Wong Kar Wai e Peter Chan per la realizzazione di 10-12 film, e ogni produzione riceve un sussidio governativo pari a 9 milioni di HK$ (1,2 milioni di US$). Il nuovo Scriptwriting Incubation Program (“incubazione di sceneggiature”) mira a premiare le sceneggiature e ad aiutare i progetti a trovare investitori. Anche il festival competitivo per cortometraggi Fresh Wave, a finanziamento pubblico, continua a scoprire e a finanziare aspiranti registi, e affermate società di produzione cinematografica appoggiano regolarmente i lungometraggi degli esordienti.
Dall’altra parte della macchina da presa, per il 2020-21 i più gettonati sono stati volti familiari da lunga data, come Andy Lau, Aaron Kwok, Louis Koo, Miriam Yeung, Lau Ching-wan, Donnie Yen, Anthony Wong, Sammi Cheng, Charlene Choi, Dayo Wong, Karena Lam e Jackie Chan, tutti in sala con produzioni importanti. Nei film più piccoli spiccano le buone interpretazioni degli emergenti Stephy Tang, Chu Pak-hong, Louis Cheung, Cherry Ngan, Babyjohn Choi, Cecilia So e Chiu Sin-hang (quest’ultimo è anche regista di One Second Champion). Cecilia Choi è stata particolarmente apprezzata per il suo debutto nel cinema hongkonghese con Beyond the Dream, e Gladys Li ha lasciato il segno con il suo primo ruolo da protagonista in You Are the One.
Mentre il cinema di Hong Kong cerca di superare il peggio della crisi dovuta al Covid-19, un nuovo sviluppo ha generato preoccupazione: la legge sulla sicurezza nazionale emanata lo scorso giugno. La legge segnala quattro crimini – secessionismo, sovversione, terrorismo e collusione con elementi stranieri – ma, secondo i critici, la sua formulazione vaga può avere preoccupanti effetti di vasta portata. Per i registi questo significa non sapere quali sono i limiti: una situazione che può sfociare nell’autocensura rispetto a qualsiasi elemento a tema politico. I distributori e le sale cinematografiche, d’altro canto, potrebbero essere ulteriormente dissuasi dal trattare film con temi spinosi.
Questa nuova legge incrementa la tensione in un contesto già teso. Lo scontro politico si è inasprito e la società di Hong Kong si è polarizzata in due fazioni: “giallo” (a favore della democrazia) e “blu” (a favore dell’establishment e della polizia). La presenza di una star considerata “blu” può scoraggiare l’accoglienza di un film tra i giovani, mentre il prodotto di una società o di un artista percepiti come “gialli” può trarre impulso dal sostegno degli spettatori. I registi che in precedenza hanno realizzato film politicamente delicati potrebbero far fatica a trovare persone con cui lavorare, mentre quei divi che hanno espresso opinioni ritenute problematiche nella Cina continentale possono finire nei guai e ritrovarsi inseriti nella lista nera cinese.
L’atmosfera sociale deprimente di Hong Kong è tale che a livello locale si è arrivati addirittura a discutere della salute e della sopravvivenza del cinema hongkonghese, un’industria che combatte le avversità dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso. Ma per chi è un sostenitore dei film locali, continuano a esserci prodotti discreti in vista: in aprile, all’Hong Kong International Film Festival sono stati presentati Septet: The Story of Hong Kong, diretta dai veterani del cinema Sammo Hung, Ann Hui, Patrick Tam, Yuen Woo-ping, Johnnie To, Ringo Lam e Tsui Hark, più il dramma sui senzatetto Drifting e la commedia nera Time, rispettivamente dei registi emergenti Jun Li e Ricky Ko.
La serie di film di registi esordienti è destinata a continuare in estate, con le uscite tra gli altri del dramma poliziesco Hand Rolled Cigarette di Chan Kin-long, il film sulla delinquenza multigenerazionale Elisa’s Day di Alan Fung e la saga sportiva I Still Remember di Lik Ho. La produzione si è rimessa in moto dopo l’interruzione del 2020 e sono ricominciate le riprese di Once Upon a Time in Hong Kong di Felix Chong, un film sui reati societari dal costo record per la produzione locale. Le recenti difficoltà hanno portato i più pessimisti a dichiarare che il cinema di Hong Kong è in agonia, ma la capacità dei registi hongkonghesi di superare i momenti difficili non delude mai.