Tanti successi e uno scivolone: i film di Hong Kong nel 2016

Nel 2016 un nuovo record al botteghino locale e un successo ottenuto ai vertici della classifica nella Cina continentale hanno dato nuovo impulso al cinema di Hong Kong. L’appariscente thriller Cold War 2 di Longman Leung e Sunny Luk è diventato il film parlato in cinese di più grande successo di tutti i tempi a Hong Kong, grazie a un’intensiva programmazione estiva, mentre la commedia ecologica fantasy di Stephen Chow The Mermaid ha prevalso su tutti nella Cina continentale, dove ha conquistato il primo posto nella classifica annuale, con più del doppio degli incassi del film classificatosi al secondo posto. Ma se questi ottimi risultati hanno allietato gli animi, i dati chiave dell’industria cinematografica nel corso del 2016 sono peggiorati e la congiuntura negativa della produzione locale hongkonghese, che dura da parecchio tempo, ha avuto il suo peso.
Dopo una crescita del 20% degli incassi al box office nel 2015, lo scorso anno gli introiti complessivi per il cinema hongkonghese sono calati quasi del 2% per cento, anche se il numero di film usciti in sala è leggermente aumentato. Era circa un decennio che non si registrava un calo degli incassi al botteghino, e lo stesso dicasi per la contrazione della quantità di biglietti venduti. Mentre il numero di film di Hong Kong usciti in sala nel 2016 è leggermente aumentato, dai cinquantanove nel 2015 a sessantuno, la loro quota di mercato è scesa al 18%, rispetto al 19,4% dell’anno precedente. Complessivamente nella top ten dello scorso anno ci sono state solo due produzioni locali, un risultato comunque migliore rispetto all’anno precedente, quando un solo titolo hongkonghese figurava ai primi posti in classifica.  
Per l’ennesima volta in testa alla classifica del box office di Hong Kong c’era un supereroe della Marvel: questa volta è toccato a Capitan America: Civil War. I due film hongkonghesi che gli hanno fatto compagnia nella top ten sono stati Cold War 2 al terzo posto e The Mermaid al settimo. Cold War 2, sequel dalla trama incalzante del primo fortunato episodio del 2012, degli stessi due registi, è stato favorito da un’uscita molto pubblicizzata in luglio e richiamava il pubblico con alcuni elementi della trama attinenti all’attuale clima politico della città.  
La nuova formula di Chow, che in The Mermaid unisce fantasy, commedia e storia d’amore, ha raggiunto il successo nella stagione festiva del Capodanno Lunare, un periodo in cui, tradizionalmente, famiglie e amici affollano le sale cinematografiche. I risultati di questi due film al box office, però, rappresentano un’eccezione: il terzo classificato tra i film hongkonghesi, la commedia trash infarcita di divi From Vegas to Macau III di Wong Jing e Andrew Lau ha incassato meno della metà di The Mermaid, e solo sei film locali hanno superato i dieci milioni di dollari hongkonghesi (1,3 milioni di dollari USA) di incasso in patria. 

Anche se i successi di Cold War 2 e The Mermaid hanno sollevato gli animi di registi e pubblico, il quadro generale nel corso dell’anno è stato piuttosto contrastante. Potevano passare intere settimane senza che un nuovo film locale raggiungesse le sale, e nella lunga estate ci sono stati pochi blockbuster di produzione locale. Troppo spesso, negli ultimi tempi, i film locali entrano ed escono dalle sale di Hong Kong senza farsi notare, e i cinefili più incalliti devono sempre tenere sott’occhio la programmazione, per non perdersi un film poco pubblicizzato che per esempio passa la mattina in un qualche cinemino fuori mano. La qualità rimane un problema, e il pubblico è più attento al rapporto qualità-prezzo al botteghino. Molti spettatori, dopo essere rimasti delusi in passato, oggi tendono a non fidarsi del livello delle produzioni locali.
Fortunatamente per i suoi sostenitori, invece, nel 2016 il cinema di Hong Kong ha sfornato delle piacevoli chicche. Si pensi, oltre a Cold War 2 e The Mermaid, a Soul Mate, il primo lungometraggio diretto da Derek Tsang da solo. Tsang ha confezionato la storia raffinata e sensibile di un rapporto di amicizia pluriennale tra due giovani donne della Cina continentale, raccogliendo ampi consensi. A Taiwan il film ha ottenuto inaspettatamente due premi per la migliore interpretazione femminile ai Golden Horse Awards, e in patria era il favorito, con dodici nomination, agli Hong Kong Film Awards.

La qualità è presente anche in Call of Heroes, film d’azione in costume di Benny Chan, un prodotto di fascia alta dove abbondano i combattimenti e nel quale semplici contadini si oppongono ai soldati di un malvagio signore della guerra. Se Chan ha ricreato l’atmosfera nostalgica del cinema hongkonghese di arti marziali, il regista Derek Yee ha dato un nuovo aspetto un po’ di materiale datato nell’epopea wuxia Sword Master, tratto dalla stessa storia di Death Duel di Chor Yuen (1977), nel quale Yee era il protagonista. Mentre si dipana la triste storia degli spadaccini che tentano di allontanarsi dal mondo delle battaglie, Yee e il suo team si scatenano in combattimenti arricchiti efficacemente da sgargianti effetti speciali.
Chi cercava invece buoni film d’azione di ambientazione contemporanea è stato accontentato con Operation Mekong di Dante Lam, un blockbuster esplosivo ispirato alla storia vera di alcune navi da carico cinesi che erano state assaltate nel Triangolo d’Oro. Sebbene si prenda alcune libertà nella trama e promuova temi patriottici cinesi, per esempio quando gli eroi inseguono un signore della droga locale, il film ha consolidato la fama di Lam come uno degli artefici principali di impagabili brividi per il grande schermo.
Per realizzare questo tipo di intrattenimento a grosso budget i registi di Hong Kong, come Lam, devono cercare i finanziamenti a nord, sotto forma di coproduzioni tra Cina continentale e Hong Kong; una pratica che ha ottenuto grande impulso a seguito di un accordo commerciale del 2003 e delle sue successive revisioni. Il mercato cinese, con i suoi oltre quarantamila schermi, resta un obiettivo chiave per l’industria cinematografica di Hong Kong, soprattutto da quando le sale, in patria, non sono più in grado di garantire grandi folle e i tentativi di raggiungere altri mercati, come il Sud-Est asiatico, non raggiungono i risultati sperati.
I registi di Hong Kong trovano sempre un vantaggio nel girare film di genere a grosso budget dedicati al mercato cinese, e per chi riesce a mettere a segno un grosso successo nella Cina continentale la risposta può andare ben al di là di ogni aspettativa. Nel 2016 quattro film hongkonghesi – The Mermaid, l’epopea fantasy di Soi Cheang The Monkey King 2, From Vegas to Macau III e Operation Mekong – sono entrati nella top ten generale del redditizio mercato della Cina continentale.
Se il sensibile calo delle entrate da botteghino in Cina nel 2016 può smorzare gli entusiasmi dopo anni di forte crescita, la co-produzione dovrebbe continuare a invogliare i talenti di Hong Kong, nonostante i problemi che essa pone. Ovviamente i film sono sottoposti alla censura cinese e l’effetto limitante delle sue regole aumenta quando i film escono a Hong Kong con gli stessi tagli. Qualsiasi materiale palesemente sensibile dal punto di vista politico viene bocciato, così come lo sono i temi che coinvolgono alcune questioni morali e il soprannaturale. A farne sempre le spese è il cinema horror, perché per essere approvati dai censori le manifestazioni spettrali devono essere smontate sullo schermo con una spiegazione razionale.
Un ulteriore grattacapo per le coproduzioni è rappresentato dalle divergenze tra i gusti del pubblico continentale e quello hongkonghese. I due mercati possono avere risposte diverse rispetto ai divi, alla comicità e alla narrazione, e spessissimo gli hongkonghesi evitano semplicemente le storie destinate alla Cina continentale. Operation Mekong, ad esempio, in Cina si è classificato al settimo posto assoluto, mentre a Hong Kong non è entrato nemmeno nella top ten delle produzioni locali.  
L’uscita nella Cina continentale però non è fondamentale: alcuni importanti registi di Hong Kong sono felicissimi di rinunciare alla co-produzione per sviluppare opere incentrate a livello locale, senza i vincoli necessari per garantirsi l’approvazione oltreconfine. Tra questi film, il migliore lo scorso anno è stato Trivisa, che porta la firma di tre registi della nuova generazione, Frank Hui, Jevons Au e Vicky Wong. Le storie di tre criminali intessute nel film sono pervase da un malcontento latente su com’è diventata Hong Kong dopo il 1997. Sarebbe stato impossibile far uscire il film in Cina, ma a Hong Kong il pubblico ha apprezzato il film e lo ha sospinto nella top ten dei film di produzione locale.

Le altre produzioni di Hong Kong del 2016 costituiscono una discreta varietà di film, appartenenti a generi diversi. Per i thriller, il celebre regista Johnnie To ha realizzato Three, nel quale la tensione tra poliziotti e banditi si sviluppa in un crescendo iperstilizzato all’interno di un ospedale. I temi di interesse locale sono ben rappresentati in The Menu di Ben Fong, uno sguardo vivace alle tormentate vicende del giornalismo di Hong Kong. Il film è l’adattamento di una serie tv locale, e non è stato l’unico thriller derivato dal piccolo schermo. Anche Line Walker di Jazz Boon è tratto da una serie tv e narra un’intricatissima vicenda di traffico di droga e polizia che lavoro sotto copertura tra Hong Kong e Brasile.
Per quanto riguarda i film d’azione, il veterano Sammo Hung ha diretto e interpretato The Bodyguard, la storia di un anziano afflitto da demenza senile che decide di raddrizzare i torti nel suo quartiere. In Nessun Dorma di Herman Yau, la storia di una ragazza vittima di un sequestro prima di un matrimonio infernale, il poliziesco è venato da toni da thriller psicologico. Yau si è dedicato anche all’allegoria politica in The Mobfathers, che mette in scena le manovre elettorali all’interno delle triadi come una satira pungente dell’evoluzione della riforma politica locale. Anche il veterano del thriller Ringo Lam si è rituffato nel genere con Sky on Fire, una saga poliziesca che ruota attorno a una cura per il cancro, ma il film rappresenta una delle sue opere meno convincenti, per la sceneggiatura disordinata e il climax assurdo.  
Tra i film drammatici, il sommesso Happiness di Lo Yiu-Fai ha raccolto consensi per l’interpretazione di Kara Wai nei panni di una donna malata di Alzheimer che si prende in casa un giovane sbandato. Ha destato scalpore anche Weeds on Fire di Steve Chan, una convincente opera prima ambientata nel mondo del baseball, nella quale le emozioni sportive si intrecciano a una storia di formazione. Il curioso Heaven in the Dark di Yuen Kim-wai, tratto da uno spettacolo teatrale e costellato di ampi flashback, è incentrato su una giovane donna che affronta l’uomo che anni prima, quando era un pastore, è stato riconosciuto colpevole di averla molestata.
Il prolifico Patrick Kong ha continuato la sua serie di saghe incentrate su travagliate relazioni amorose nel sequel L for Love, L for Lies Too, con l’obiettivo di attrarre il pubblico più giovane con una storia intessuta di tradimenti e rancori. Tra le produzioni hongkonghesi degne di nota vanno ricordate quelle di due registi malesi: Lim Kah-wai segue il viaggio in Cina di un’attrice hongkonghese nel delicato road movie Love in Late Autumn, mentre in Show Me Your Love di Ryon Lee, una saga familiare che abbraccia più generazioni, il dramma amoroso si spinge fino in Malesia.
Il dramma incontra la commedia in See You Tomorrow, prodotto da Wong Kar-wai e diretto dall’autore cinese Zhang Jiajia. Il film si avvale della presenza nostalgica di due divi hongkonghesi di prim’ordine come Tony Leung Chiu-wai e Kaneshiro Takeshi che gigioneggiano con gag da cinema hongkonghese vecchio stile, ma nel contempo rinfrescano temi e meccanismi tipici di tutte le opere passate di Wong. Tra le altre commedie va ricordato House of Wolves di Vincent Kok, una commedia spassosa e deliziosamente assurda nella quale gli attori Francis Ng e Ronald Cheng corteggiano la stessa ragazza nel loro villaggio.

Nel 2016 anche tra i documentari l’offerta è stata variegata. Snuggle di Wong Siu-pong affronta il tema dell’invecchiamento della popolazione della città e dello stress che subiscono i parenti quando i membri della famiglia vivono fino a un’età molto avanzata. The Taste of Youth di Cheung King-wai si sofferma invece su un gruppo di giovani riuniti per un evento musicale, per poi seguirli e cogliere i problemi che affronta la gioventù del posto. Il movimento hongkonghese pro-democrazia chiamato la rivoluzione degli ombrelli del 2014 è al centro del documentario indipendente Yellowing del regista Chan Tze-Woon, che ha trascorso diverso tempo con gli attivisti accampati per settimane nelle strade della città in segno di protesta. Verso la fine dell’anno il film documentario si è rivolto al cinema stesso, con The Posterist di Hui See-wai. Il regista, figlio dell’attore comico Michael Hui, ha rintracciato l’artista che dipinse non soltanto gli iconici manifesti dei grandi successi di suo padre negli anni Settanta, ma anche decine dei più noti manifesti cinematografici di Hong Kong negli anni Ottanta.
Quello di Hui è solo uno dei tanti esordi alla regia del 2016. Soul Mate, Trivisa e Weeds on Fire sono stati dei trampolini di lancio di alto profilo, come pure Mad World di Wong Chun, storia di una malattia mentale che ha ottenuto vari premi in patria e a Taiwan. Anche Line Walker, Happiness e Heaven in the Dark sono esempi felici di opere di registi esordienti. Parlando degli strumenti ufficiali che contribuiscono a far emergere nuovi talenti, sia Mad World sia Weeds on Fire hanno partecipato al programma governativo First Feature Film Initiative, che finanzia i progetti vincitori di un concorso annuale di sceneggiatura.
Il Fresh Wave International Short Film Festival di Hong Kong, dedicato ai talenti nuovi ed emergenti, continua a fare la sua parte finanziando e proiettando ogni anno circa trenta cortometraggi. Negli ultimi dodici mesi gli ex allievi della Fresh Wave hanno raccolto ampi consensi per film come Trivisa e Mad World, a riprova dell’importanza del programma come rampa di lancio. L’anno scorso due film antologici, dal titolo Good Take!, sono stati il frutto di un altro progetto, in cui dei talenti emergenti sono stati coinvolti nella realizzazione di alcuni cortometraggi prodotti dal veterano dello schermo Eric Tsang.
Tra gli attori della scena hongkonghese, anche nel 2016 i veterani dello schermo Chow Yun-Fat, Andy Lau, Tony Leung Chiu-wai, Lau Ching-wan, Francis Ng, Tony Leung Ka-fai, Jacky Cheung, Nick Cheung e Louis Koo hanno continuato ad ottenere ruoli da protagonisti. Pure all’attore taiwanese Eddie Peng sono state affidate diverse parti principali. Tra gli attori delle nuove generazioni spicca Shawn Yue, che recentemente si è visto arrivare delle nomination per Mad World. Tra gli altri interpreti degni di attenzione vanno ricordati Gregory Wong e Aarif Lee, oltre a Lam Yiu-sing e all’emergente Tony Wu di Weeds on Fire.

Tra le attrici, nelle grosse coproduzioni si registra la tendenza a scritturare a fianco dei protagonisti maschili hongkonghesi attrici della Cina continentale. Fortunatamente restano i ruoli femminili chiave per le produzioni di portata più limitata, come The Menu (Kate Yeung, Catherine Chau), Dark Heaven (Karena Lam), Weeds on Fire (Hedwig Tam) e Show Me Your Love (Michelle Wai). Se è facile individuare i talenti recitativi più promettenti, sia maschi che femmine, ben pochi di essi riescono ad avere la forza necessaria per rappresentare un richiamo potente al botteghino.  
Il 2017 è iniziato sotto il segno dell’incertezza per il cinema hongkonghese. Stephen Chow si è proposto nelle vesti di co-sceneggiatore e produttore per Journey to the West: The Demons Strike Back, un sequel diretto da Tsui Hark del fantasy di successo di Chow del 2013, ispirato al classico della letteratura Viaggio in Occidente. Anche se il film ha ottenuto buoni risultati in Cina, posizionandosi in testa alle uscite del Capodanno Lunare e battendo il record degli incassi per singola giornata, a Hong Kong questa epopea infarcita di computer grafica è stata poco sostenuta dal passaparola.

Un altro film importante uscito per il Capodanno lunare in Cina è stato Kung Fu Yoga di Stanley Tong, una raffica di comicità elementare a grosso budget che vede Jackie Chan sulle tracce di un tesoro dalla Cina a Dubai e all’India (il film è uscito a Hong Kong soltanto un mese più tardi). A Hong Kong uno dei pezzi forti della stagione del Capodanno Lunare è stata la commedia drammatica The Yuppie Fantasia 3 di Lawrence Cheng, pensata per il mercato locale, che racconta la complicata vita domestica di un impiegato, ventisette anni dopo il secondo capitolo della saga. Nella stagione festiva ha destato molto meno interesse Cook Up a Storm di Raymond Yip, ambientato a Guangzhou e incentrato sulla rivalità tra chef. Il film risente di una sceneggiatura debole e di una regia zoppicante, proprio il tipo di prodotto che alimenta la diffidenza degli hongkonghesi per le produzioni locali, che considerano mediocri.
Dopo il periodo del Capodanno Lunare, il cinema di Hong Kong ha offerto alcuni film allettanti. I famosi artisti teatrali Roy Szeto e Kearen Pang hanno esordito nella regia cinematografica, rispettivamente con Shed Skin Papa e 29 + 1, entrambi in uscita. È in arrivo anche un altro esordio, il film del direttore della fotografia Jason Kwan, dal titolo A Nail Clipper Romance. Tra i nomi più noti del settore, esce a breve Love Off the Cuff di Pang Ho-cheung, terza parte di una trilogia iniziata nel 2010 con la commedia romantica Love in a Puff, mentre Herman Yau è pronto con il suo thriller Shock Wave, con Andy Lau, sugli artificieri preposti alla bonifica delle bombe, mentre Ann Hui sta ultimando la sua epopea bellica Our Time Will Come.  
Il cinema di Hong Kong continua ad affrontare un mercato difficile, ma registi come questi continuano imperterriti a impegnarsi nella realizzazione di film di qualità per il grande schermo, rivolti al pubblico hongkonghese e non solo.


Tim Youngs