I Choose Evil - Lawbreakers Under the Military Dictatorship
Il 2019 celebra ufficialmente i 100 anni del cinema coreano. Nel 1919, il proprietario di un cinema di Seoul decise di investire una parte del denaro guadagnato proiettando film di importazione per girare una produzione locale. Il risultato fu Fight for Justice, la storia di un uomo che cerca di impedire all’avida matrigna di mettere le mani sul patrimonio di famiglia. Il film fu un successo, anche se si può discutere se si possa o meno chiamare Fight for Justice un film. Si trattava di un kinodrama, ossia un misto tra una performance dal vero degli attori e la proiezione di materiale filmato. Per questa ragione alcuni storici del cinema sostengono che si dovrebbe festeggiare il centenario del cinema coreano nel 2023, quando vennero realizzati i primi veri lungometraggi. Ma, nel bene o nel male, a Fight for Justice è stato concesso lo status ufficiale di primo film coreano.
Se guardiamo indietro ad alcuni dei precedenti anniversari del cinema coreano, possiamo renderci conto di quale sentiero impervio abbiano dovuto percorrere i cineasti coreani nell’ultimo secolo. A nessuno sarebbe interessato festeggiare il venticinquesimo anniversario del cinema coreano nel 1944, quando il dominio coloniale giapponese aveva raggiunto il culmine della repressione e gli unici film realizzati in Corea erano lungometraggi di propaganda in lingua giapponese che dovevano sostenere lo sforzo bellico. La situazione sembrava più positiva per il cinquantenario del cinema coreano, nel 1969, quando la produzione locale aveva raggiunto i suoi massimi livelli (229 film coreani usciti in sala) e l’industria cinematografica locale scoppiava di talenti. Ma, retrospettivamente, il cinema coreano stava per imbarcarsi in quasi trent’anni di crisi, in parte dovuta a una rigida censura e a dannose politiche cinematografiche che inibivano lo sviluppo del settore. Per il settantacinquesimo anniversario, nel 1994, il mercato cinematografico coreano si era aperto alla concorrenza straniera: le società di produzione hollywoodiane stavano espandendo aggressivamente la loro presenza in Corea, la quota di mercato dei film locali aveva appena toccato un altro minimo storico e in molti temevano che il cinema coreano fosse sull’orlo del baratro. È stato solo negli ultimi vent’anni che l’industria del cinema si è consolidata e ha avuto una rapida espansione.
C’è stato un tempo, in un passato non molto remoto, in cui i classici del cinema coreano erano quasi sconosciuti fuori dal paese e non ottenevano grandi riconoscimenti nemmeno in patria; ma, grazie anche all’instancabile lavoro del Korean Film Archive, che ha restaurato vecchie pellicole, sostenuto la ricerca e rinvenuto diversi film che sembravano ormai perduti, i risultati dei cineasti del passato sono ora più ampiamente riconosciuti.
Qui al Far East Film Festival abbiamo presentato un’ampia varietà di classici del cinema coreano, a cominciare dal 2003, con la nostra prima retrospettiva sugli anni Sessanta, l’epoca aurea del cinema coreano. Abbiamo messo in luce i melodrammi degli anni Cinquanta del regista Shin Sang-ok, presentato musical e commedie coreani nell’ambito delle retrospettive Asia Sings! e Asia Laughs!, abbiamo scavato nel “decennio oscuro” degli anni Settanta quando i cineasti coreani erano limitati al massimo, e presentato una selezione di classici restaurati digitalmente e relativi al periodo tra gli anni Sessanta e Ottanta.
Per festeggiare il centenario del cinema coreano abbiamo preparato qualcosa di leggermente diverso. Invece di concentrarci su un particolare periodo o genere, presenteremo una selezione di otto film di spicco che, sebbene molto diversi in termini di contenuto, stile ed epoca in cui sono stati prodotti, hanno qualcosa in comune: sono stati tutti realizzati durante il periodo di dittatura militare che si è esteso dal colpo di stato di Park Chung Hee’s nel 1961 fino all’insediamento del presidente Kim Young Sam nel 1993, e sono tutti incentrati su persone che hanno infranto la legge.
A tale riguardo, il nostro obiettivo non sono i film polizieschi di per sé, ma piuttosto i personaggi articolati che per diverse ragioni finiscono per “scegliere il male”. L’immagine del fuorilegge era interpretata in modi diversi durante il periodo della dittatura militare, quando i leader ponevano pubblicamente grande enfasi su legge e ordine. Nel caso del cinema, il governo utilizzava la censura e altre forme di pressione per garantire che i cineasti presentassero un’immagine positiva della Corea del Sud facendola apparire come una società onesta e disciplinata. I censori non si opponevano alla descrizione di criminali nei film sudcoreani, ma ci si aspettava di solito che i personaggi che infrangevano la legge venissero puniti e il pubblico non fosse propenso a simpatizzare apertamente o a identificarsi con tali personaggi.
Eppure, i protagonisti degli otto film di questa retrospettiva costituiscono delle eccezioni. Sono personaggi contraddittori che dal punto di vista morale rappresentano un’intrigante mistura di luci e ombre. Le leggi che essi infrangono sono molte – contrabbando, prostituzione, crimine organizzato, adulterio, furto, aborto, insubordinazione, crimini ideologici e/o assassinio – ma le ragioni per cui lo fanno sono complicate, e il pubblico spesso nutre una profonda simpatia per loro. Quando delle persone ragionevoli “scelgono il male” è spesso perché si ritrovano in un mondo corrotto, privo di significato e profondamente ingiusto.
In questo senso, i fuorilegge di questa retrospettiva spesso funzionano come critica indiretta (o, talvolta, affatto diretta), della società sudcoreana e del regime che la controlla. Le loro azioni e decisioni riflettono il mondo nel quale essi vivono, e per questo la critica sociale di queste opere è racchiusa negli stessi personaggi. Com’era prevedibile, parecchi di questi film subirono i tagli della censura o vennero direttamente proibiti a causa delle loro tematiche pessimistiche e critiche. Ma per fortuna ora siamo in grado di proiettarli nelle loro versioni originali e non censurate.
La frase “Io scelgo il male” è tratta dall’iconico film di gangster del 1964 Black Hair del regista Lee Man-hee. Il capo della gang che pronuncia queste parole è un personaggio affascinante, minaccioso e carismatico in egual misura, e che, malgrado la sua crudeltà, finisce per attirarsi le simpatie del pubblico. Analogamente, crediamo che il pubblico troverà i protagonisti degli otto film di questa retrospettiva unici e indimenticabili.
Sia Black Hair che il capolavoro di Lee Doo-yong The Last Witness (1980) vengono raramente proiettati fuori dalla Corea a causa della loro complicata situazione di copyright, ma grazie allo sforzo tenace dello staff del festival e alla cooperazione del Korean Film Archive siamo finalmente riusciti a portare queste opere a Udine. Siamo anche enormemente grati al Korean Film Archive per aver fatto realizzare due nuovi DCP rimasterizzati del poco conosciuto ma affascinante film di Jo Keung-ha The Body Confession (1964) e del delirante e cupo Promise of the Flesh di Kim Ki-young (1975). Anche il generoso sostegno del Korean Film Council è stato essenziale per far diventare realtà questa retrospettiva.
* La versione integrale del testo appare come Introduzione al volume 100 Years of Korean Cinema: “I Choose Evil” – Lawbreakers Under the Military Dictatorship, Udine 2019.
Darcy Paquet