International Premiere | In Competition
Guest star:
MISHIMA Yukiko, director
YAMASAKI Shimpei, producer
Per molto tempo i film antologici giapponesi hanno rappresentato una vetrina per nuovi registi emergenti, mentre la critica tendeva a stabilire una classifica degli episodi che li componevano dal migliore al peggiore. Negli ultimi anni invece cineasti affermati come Hamaguchi Ryusuke (
Il gioco del destino e della fantasia) e Nakamura Mayu (
She Is Me, I Am Her) hanno realizzato film antologici di qualità eccellente e omogenea, che rendono irrilevante la classificazione dei singoli capitoli.
È il caso di
Voice, il nuovo film a episodi di Mishima Yukiko sul tema del trauma che permane per tutta la vita. Scritto e co-prodotto dalla regista, il film è ispirato alla sua esperienza personale, vittima di un’aggressione sessuale da bambina. Tuttavia, non sfocia mai in una confessione personale.
Voice utilizza un’ampia gamma di strategie narrative e di tropi stilistici per intessere i tre episodi che lo compongono in un insieme forte e coerente, man mano che i protagonisti rivelano con cruda immediatezza le ferite emotive che decine di anni non sono bastate a sanare.
I tre episodi indipendenti si svolgono in zone del paese lontane tra loro, ma in tutti ricorrono imbarcazioni e specchi d’acqua che rappresentano una connessione simbolica, con protagoniste che si imbarcano in lunghi e solitari viaggi psichici.
La prima che incontriamo è Maki (Carrousel Maki), che ha fatto la transizione da maschio a femmina diverso tempo fa. Maki, che vive da sola in una spaziosa villa sul lago Toya, in Hokkaido, sta preparando per Capodanno dei piatti che sembrano tratti da una rivista patinata.
Quando però arriva sua figlia Masako (Kataoka Reiko) insieme al marito e alla figlia adolescente, la tensione si fa palpabile dal momento stesso in cui varcano la soglia.
Masako ha sofferto a lungo per la preferenza di Maki nei confronti della sorella Reiko, morta in circostanze drammatiche dopo essere stata abusata sessualmente, 47 anni prima.
Attraverso l’intensissima interpretazione di Maki, navigata attrice transgender, comprendiamo che il dolore per la morte di Reiko non si è mai attenuato.
La scena si sposta poi a Hachijojima, un’isola a sud di Tokyo che in passato era luogo di esilio, dove apprendiamo che tradizionalmente gli abitanti utilizzavano i tamburi
taiko non solo per esibirsi con il loro stile particolarissimo, ma anche per comunicare l’un l’altro i propri stati d’animo. Uno di essi, un rozzo contadino (Aikawa Sho), deve affrontare l’improvviso ritorno della figlia incinta, Umi (Matsumoto Kiyo), dopo cinque anni. Lui aveva allevato Umi dopo la morte della madre.
Umi tenta di nascondere la sua condizione e quando il padre scova informazioni compromettenti sul suo compagno, il suono di tamburi furiosi entra nella colonna sonora. Aikawa, in passato divo dei film di gangster destinati all’home video, è piacevolmente umano nel ruolo del padre ma conferisce al suo personaggio il necessario tocco minaccioso.
È poi la volta di un’altra Reiko (Maeda Atsuko), che scende dal traghetto per recarsi al funerale di un suo ex fidanzato nel quartiere Dojima di Osaka. Dopo la cerimonia, mentre vaga da sola, viene avvicinata da un gigolò (Bando Ryota) che si fa chiamare Toto Moretti e le si propone come amante per una notte. Reiko sta al gioco e, una volta diventati intimi, gliene svela senza mezzi termini il motivo, mentre affiorano i ricordi di uno stupro infantile. La superba interpretazione commovente e catartica di Maeda è da brividi.
Il finale giustappone Maki e Reiko, le cui esperienze traumatiche si riecheggiano a vicenda, anche se le loro reazioni e i loro destini divergono.
Voice può sembrare, soprattutto nel primo e nell’ultimo episodio, un’immersione nell’eterna oscurità dell’anima, ma reca in sé anche la possibilità della luce per chi non si lascia delimitare dal proprio passato. E la sua abile regista, più di chiunque altro, lo sa benissimo.